Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11909 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11909 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1666/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliati in TORINO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
nonchè
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in TORINO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 703/2022 depositata il 22/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 20 giugno 2011 NOME COGNOME evocava in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME personalmente, per vedere dichiarata la nullità, annullabilità o rescissione di un contratto di compravendita stipulato il 27 aprile 2009 con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Si costituiva la società con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME. Il giudizio veniva definito con sentenza del Tribunale di Torino del 14 settembre 2015 che dichiarava la nullità del contratto, condannando i convenuti al pagamento delle spese di lite per complessivi euro 11.856,00. Avverso tale sentenza proponevano impugnazione gli originari convenuti e il difensore degli appellanti eseguiva la notifica presso l’avvocato di controparte, ad un domicilio dal quale lo stesso risultava già trasferito. Conseguentemente nel giudizio di appello veniva eccepita l’inammissibilità del gravame per nullità della notifica dell’atto di impugnazione.
A seguito di ciò gli appellanti revocavano il mandato ai difensori. L’avv. COGNOME per l’attività svolta richiedeva al Consiglio dell’ordine competente la liquidazione delle proprie competenze.
Successivamente, con ricorso del 28 marzo 2017, chiedeva la condanna del cliente al pagamento delle somme a titolo di compenso professionale, dopo aver decurtato gli importi già corrisposti. Il tutto per complessivi euro 12.986,43.
Con separato ricorso per decreto ingiuntivo il professionista richiedeva il pagamento di ulteriori compensi per euro 8.314,71. Le somme venivano corrisposte a seguito dell’ingiunzione.
Nelle more, la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 15 maggio 2017 dichiarava l’inammissibilità dell’appello per tardività della notifica.
Con atto di citazione dell’11 gennaio 2018 la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME evocavano in giudizio il professionista deducendo la sussistenza di un grave errore professionale, sia per la tardività della notifica, sia per la mancata proposizione di una domanda riconvenzionale di condanna alla restituzione delle somme pagate in virtù del contratto successivamente dichiarato nullo.
Costituitosi in giudizio l’avvocato COGNOME otteneva di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice per la responsabilità professionale, Reale Mutua.
Il Tribunale di Torino con sentenza del 30 marzo 2020 accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME in un separato giudizio, tesa alla restituzione delle somme nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME.
In sede penale, con sentenza della Corte d’appello di Torino del 23 aprile 2018, veniva riformata la sentenza di primo grado, con assoluzione di NOME COGNOME dal reato di usura e conseguente eliminazione del presupposto della declaratoria di nullità del contratto di compravendita del 27 aprile 2009.
Nel giudizio civile si costituiva la Reale Mutua che eccepiva la mancata osservanza del patto di gestione della lite e, nel merito, aderiva alle difese dell’assicurato.
Il Tribunale di Torino, con la sentenza relativa giudizio di responsabilità professionale n. 118 del 2021, dichiarava l’estinzione del giudizio tra gli attori e l’avvocato COGNOME attesa la rinuncia agli atti nei suoi confronti. Il Tribunale accertava l’esistenza di un errore professionale, ma rigettava le domande risarcitorie per l’insussistenza della prova del nesso causale tra inadempimento e danno; aggiungeva che la domanda di restituzione delle somme versate al professionista a titolo di compenso in forza dei decreti ingiuntivi avrebbe dovuto costituire motivo di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre nell’autonomo giudizio di responsabilità la questione era coperta dal giudicato; infine, condannava gli attori ai sensi dell’articolo 96, terzo comma c.p.c.
Avverso tale decisione proponevano impugnazione la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME articolando quattro motivi. Si costituiva in giudizio NOME COGNOME eccependo l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’articolo 348 bis c. p.c., il passaggio in giudicato della sentenza nella parte in cui era stato escluso l’errore professionale, il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME e contestava la fondatezza dell’impugnazione. Si costituiva la società RAGIONE_SOCIALE associandosi alle difese del professionista.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 23 giugno 2022 in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava la condanna di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME ai sensi dell’articolo 96, terzo comma c.p.c. e confermava, nel resto, la decisione del Tribunale, provvedendo sulle spese.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso NOME COGNOME spiegando ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Entrambe le parti depositano memorie sensi dell’articolo 380 bis -1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 324 c.p.c. e 2909 c.c. La Corte avrebbe errato nel ritenere che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto far valere l’inadempimento de l legale come motivo di opposizione avverso i due decreti ingiuntivi. Questione sulla quale sarebbe, invece, maturato il giudicato interno. Secondo i ricorrenti, solo al momento del deposito della sentenza della Corte d’appello di Torino del 14 giugno 2017 le parti avrebbero avuto conferma dell’inadempimento del professionista riguardo alle modalità di notificazione dell’appello. Inoltre, lo stesso riferimento operato dalla Corte d’appello all’eventualità di una richiesta di sospensione del giudizio di oppo sizione sino all’esito di quello di secondo grado (relativo alla ritualità o meno della notifica) lascerebbe intendere che la questione non avrebbe potuto essere sollevata davanti al giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo; in sostanza l’errore profe ssionale al momento della notifica dei decreti ingiuntivi non era ancora maturato, ma soltanto prospettato nel giudizio di appello.
Il motivo è inammissibile perché generico, in quanto sostanzialmente ripetitivo del primo motivo di appello rispetto al quale la Corte territoriale ha fornito una adeguata motivazione.
Costituisce circostanza pacifica che il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo si estende anche all’inesistenza di fatti impeditivi, estinti e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione. Nel caso di specie, il motivo del ricorso per cassazione si fonda sulla premessa giuridica dell’accoglimento della domanda degli odierni ricorrenti tesa alla restituzione delle somme versate a titolo di compensi p rofessionali all’avvocato COGNOME in forza dei decreti ingiuntivi non opposti e, dunque, ormai coperti dal giudicato.
Il giudicato sostanziale, secondo costante orientamento di questa Corte, copre infatti sia l’esistenza del credito azionato, sia l’inesistenza di fatti impeditivi. I ricorrenti avrebbero dovuto dedurre in quella sede l’inadempimento qualificato del profess ionista al fine di ritenere ingiustificate le somme oggetto di ingiunzione.
Tale questione non è stata in alcun modo prospettata poiché gli odierni ricorrenti hanno rinunziato a proporre l’opposizione a decreto ingiuntivo. Conseguentemente, la corte ha correttamente ritenuto coperta dal giudicato la domanda di restituzione delle somme versate a seguito della notifica dei due decreti ingiuntivi.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione degli articoli 1218, 1223, 2697 c.c. e 91,113 e 115 c.p.c. Si lamenta, altresì l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe violato le norme del Codice civile indicate invertendo l’onere della prova riguardo alla dimostrazione del nesso causale. Al contrario, la condanna alle spese fu conseguenza della dichiarazione di inammissibili tà dell’appello, come anche il pagamento del doppio contributo unificato. Inoltre, a causa dell’errore processuale del difensore (nullità della notificazione) l’esame del merito è stato di fatto inibito, con conseguenze inutilità dell’intero giudizio di ap pello.
Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il nesso causale non riguarda la circostanza se la condanna alle spese e il pagamento del doppio contributo siano stati la conseguenza della inammissibilità dell’appello. Riguarda, invece, un profilo assolutamente differente e cioè la dimostrazione da part e dell’attore che, in assenza del vizio della notificazione (e quindi dell’inadempimento del professionista), questi avrebbe avuto la possibilità, secondo il criterio del più probabile che non, di ottenere una statuizione favorevole.
La Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte, ha escluso la sussistenza della prova di tale profilo. La giurisprudenza richiamata dai ricorrenti non è pertinente poiché in tema di nesso causale in materia di re sponsabilità professionale o medica l’insegnamento delle Sezioni Unite n. 577 del 2008 è stato da tempo (almeno dal 2017) superato dal consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui incombe sull’attore, anche in tema di responsa bilità contrattuale, la prova dell’esistenza del nesso causale, essendo insufficiente la mera allegazione dell’inadempimento qualificato (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25567 del 01/09/2023, Rv. 668902 02).
Va ribadito che la Corte territoriale ha correttamente evidenziato che l’appellante non aveva fornito alcun elemento che potesse consentire una prognosi favorevole riguardo all’oggetto e al merito della controversia, attesa l’impossibilità di svolgere qual siasi accertamento o valutazione sul punto.
Quanto al secondo profilo (omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c.), il motivo è inammissibile poiché in presenza di doppia conforme l’articolo 348 ter, quinto comma, non consente l’impugnazione in cassazione ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. La parte che intenda proporre una siffatta impugnazione è tenuta a dimostrare che la sentenza di secondo grado non si fonda sui medesimi elementi fattuali di quella di primo grado. Nessuna allegazione in tal senso è presente nel ricorso.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. la violazione l’articolo 2909 c.c., per avere la Corte d’appello di Torino ritenuto che il Tribunale avesse accertato la responsabilità professionale dell’avvoca to e che sul punto si fosse formato il giudicato per mancata impugnazione della relativa pronuncia. Al contrario, non vi sarebbe una decisione neppure implicita di accoglimento delle domande degli attori, ma
solo una statuizione implicita di rigetto, con conseguente erroneo rigetto dell’eccezione formulata sul punto dagli appellati.
In particolare, nell’atto di citazione la prima domanda proposta riguardava l’accertamento dell’errore professionale , questione non riproposta in appello. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il Tribunale non avrebbe in alcun modo dichiarato l’esistenza di un errore professionale.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse. Il controricorrente incidentale nel presente giudizio è parte interamente vittoriosa e non ha prospettato un concreto interesse connesso ad un effettivo pregiudizio riguardante la propria posizione processuale.
Il motivo è, altresì, inammissibile per violazione l’articolo 366, n. 6 c.p.c. poiché si fonda sull’assunto secondo cui, a fronte di un atto di citazione nel quale sarebbero state formulate nove diverse domande, di cui la prima aveva ad oggetto la dichiarazione di inadempimento o errore professionale, nel giudizio di appello tale domanda non sarebbe stata più formulata.
Tale ultima deduzione non è ritualmente formulata, poiché il ricorrente incidentale avrebbe dovuto trascrivere i passaggi essenziali dell’atto di appello e le relative conclusioni, al fine di dimostrare che la domanda di accertamento e di dichiarazione del l’inadempimento dell’errore professionale non era più stata riproposta (a tal fine è insufficiente il rinvio, contenuto a pagina 9 del controricorso, alle pagine da 56 a 59 dell’atto di appello).
Ma, anche a prescindere da tale profilo di inammissibilità, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, la domanda proposta dagli odierni ricorrenti, anche nel giudizio di appello, presuppone necessariamente l’inadempimento qualificato poiché tale requisito, unitamente alla prova del nesso causale e quindi alla dimostrazione della riferibilità del danno alla concreta condotta inadempiente del professionista, costituisce presupposto imprescindibile dell’azione.
Come giustamente evidenziato dalla Corte territoriale ‘risulterebbe del tutto inutile indugiare sull’accertamento del nesso eziologico qualora non si sia previamente accertata la sussistenza di un errore professionale, questione logicamente antecedente’. E questo a prescindere dal consolidato orientamento secondo cui la responsabilità dell’avvocato non può essere affermata per il solo fatto del non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo l’ulteriore requisito della verifica della ricond ucibilità dell’evento pregiudizievole alla condotta del professionista.
Il motivo è, infine, infondato sotto un altro profilo. Posto che la decisione non è stata adottata secondo il criterio della cd ragione più liquida, ove il Tribunale avesse escluso la sussistenza di un inadempimento qualificato, non avrebbe avuto la necessità di indagare le eventuali conseguenze dannose in termini di nesso di causalità. Il Tribunale ha verificato la sussistenza del nesso di casualità sul presupposto della accertata inesatta esecuzione della prestazione professionale.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione di articoli 2909 c.c. e 112 e 84 c.p.c. per avere la Corte d’appello ritenuto non rinunciata la questione relativa al preteso errore professionale attribuito al professionista circa la mancata formulazione di una domanda riconvenzionale e la conseguente domanda specifica di risarcimento del danno che ne sarebbe derivato.
Con riferimento alla questione relativa alla domanda riconvenzionale subordinata all’accertamento della nullità dell’atto di compravendita, i ricorrenti avrebbero rinunziato, nel giudizio di appello, ‘in questa sede a tale voce di danno’. Al contrario, la Corte d’appello avrebbe disatteso l’eccezione di giudicato riguardo alla rinunzia, affermando che quest’ultima riguardava solo il rimborso delle spese di lite riferite ad un futuro giudizio da intraprendere e non alle altre voci. Secondo il ricorrente incidentale, al contrario, tutte le domande di
risarcimento restitutorie erano collegate alla medesima condotta inadempiente riferita all’errore nella modalità di notificazione dell’atto di appello.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse per le ragioni già prospettate sopra.
In ogni caso è inammissibile per violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. perché parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere le conclusioni della citazione in appello e i passaggi più rilevanti al fine di consentire alla Corte di legittimità di valutare l ‘estensione dell’atto di rinunzia, che costituisce il punto centrale della questione dedotta con il secondo motivo.
In conclusione, il ricorso principale e quello incidentale vanno dichiarati inammissibili con compensazione delle spese di lite nei rapporti tra tali parti, mentre vanno poste a carico dei primi le spese di lite sostenute dalla compagnia assicurativa controricorrente.
Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo da parte dei ricorrenti principali e incidentale.
PTM
Dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa le spese di lite nei rapporti tra i ricorrenti principali e NOME COGNOME e condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese in favore della controricorrente, Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., liquidandole in € 4.200,00 per compensi, ivi co mprese spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ivi compresi esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 2 dicembre 2024
Il Presidente NOME COGNOME