Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 367 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 367 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
Oggetto: Progettazione e appalto – Vizi del bene – Azione ex art. 1669 c.c.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13712/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con studio in Taranto.
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
COGNOME NOME
-intimato – avverso la sentenza n. 7/2019 della Corte d’Appello di Lecce, pubblicata il 7/1/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con atto di citazione del 5/6/2015, NOME COGNOME propose appello avverso la sentenza n. 1096/2015, emessa dal Tribunale di Taranto il 27/03/2015, con cui era stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni dallo stesso proposta, con atto del 20/9/2001, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente appaltatore il primo e progettista e direttore dei lavori il secondo, in relazione ai lavori di sopraelevazione al rustico di un locale terraneo sito in Grottaglie, per essersi manifestate lesioni, ai piani terra e primo, sui muri esterni, sulle tramezzature e sui travetti di calcestruzzo del solaio del piano terra, oltre a sconnessioni nella pavimentazione del primo piano.
Il giudizio di gravame si concluse, nella resistenza del solo NOME COGNOME essendo rimasto, invece, contumace COGNOME NOME, con la sentenza n. 7/2019, con la quale la Corte d’Appello di Lecce respinse l’appello, ritenendo insussistenti problemi connessi alla staticità dell’edificio.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria. COGNOME NOME si è difeso con controricorso, mentre COGNOME NOME è rimasto intimato.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1127, 1176, 1669 e 2697 cod. civ., legge n. 1086/1971 (d.m. 14 Febbraio 1992), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano escluso la responsabilità dei convenuti, senza considerare che spettava ad essi, in qualità rispettivamente di progettista e costruttore, valutare la fattibilità tecnica della sopraelevazione anche tenendo conto dell’idoneità della struttura preesistente a sostenerne il carico e approntare i rimedi tecnici idonei ad evitare
lesioni, quand’anche non previsti in progetto, o eventualmente rifiutarsi di eseguire opere tecnicamente non realizzabili, oltreché dimostrare la propria non imputabilità, non essendo all’uopo sufficiente affermare, come avvenuto, la loro inconsapevolezza dello stato della struttura, atteso che l’accertamento delle condizioni statiche della stessa costituiva presupposto del diritto di sopraelevare ex art. 1127, secondo comma, cod. civ., ed essendo infondata, invece, la deduzione sul peso eccessivo delle rifiniture (pavimentazione e sottofondo) fatte eseguire da terzi.
2. Col secondo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per motivazione apparente e/o perplessa e obiettivamente incomprensibile ex art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito confermato l’impugnata sentenza, sostenendo che l’appello fosse stato fondato sulle medesime argomentazioni sostenute in primo grado circa l’acritica condivisione delle conclusioni del c.t.u. e il travisamento delle osservazioni da lui svolte, senza considerare che spetta al giudice dare risposta ai rilievi anche tecnici della parte, nella specie mancante, e senza tener conto di quanto scritto nella relazione peritale in ordine alla ‘mancanza di un irrigidimento trasversale del solaio al di sotto delle murature di topagno’, che aveva prodotto gli spostamenti verticali del solaio dovuti al peso di quelle murature e alla sua eccessiva flessibilità. I giudici non avevano, peraltro, considerato come il quadro fessurativo descritto in sentenza, oltre a non essere causa dell’assestamento, ma sua conseguenza, non contraddicesse in sé la presenza di normali fenomeni di assestamento del solaio al piano terra, come costituissero gravi difetti di costruzione anche quelli non influenti sulla staticità dell’edificio, come la valutazione sull’esecuzione corretta e a regola d’arte dei lavori non risultasse neppure dalla c.t.u., come fosse erroneo il giudizio di non prevedibilità dell’assestamento del solaio al piano terra e come non risultasse da
alcun atto la sussistenza di un accordo tra le parti volto ad escludere interventi sul preesistente solaio.
3. Col terzo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano frainteso il senso dell’azione esercitata, che non era quella di inadempimento contrattuale, ma di responsabilità ex art. 1669 cod. civ., e avevano errato quando avevano affermato che le lamentate lesioni erano riconducibili a fenomeni di assestamento della struttura e non alla manifestazione di una patologia e non minavano la staticità e sicurezza dell’edificio, essendo state le prove di carico svolte nei punti meno sollecitati dell’immobile; che i lavori di sopraelevazione erano stati progettati ed eseguiti a regola d’arte; che l’assestamento del solaio, risalente a venticinque anni prima, non era prevedibile al momento della realizzazione della sopraelevazione e fosse normale, senza considerare che spettava ai nuovi tecnici valutare il carico della sopraelevazione e le condizioni dell’edificio preesistente; che una più accurata posa in opera delle rifiniture avrebbe evitato o ridotto notevolmente le lesioni, senza considerare che il c.t.u. non si era riferito alla loro realizzazione, ma alla tipologia di materiali usati (l’alterativa costituiva infatti un intervento rimediale), non avendo intonaci e pavimenti rivelato vizi autonomi, ma scaturenti dall’errata applicazione delle regulae artis nella progettazione ed esecuzione dell’opera commissionata; che al primo piano erano stati constatati limitati fenomeni fessurativi, benché nulla fosse emerso in tal senso, ma la presenza di aspetti deformativi della struttura, rimediabili con una spesa di notevoli sproporzioni; che il ripristino delle rifiniture aveva un costo pari alla metà del rinforzo strutturale del solaio terraneo e che esisteva un intercorso accordo tra le parti volto a escludere un intervento sul preesistente solaio, senza considerare che tale presunzione non
aveva alcun fondamento e che non tutte le parti avevano consapevolezza dello stato del solaio.
4. I tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, vertendo sostanzialmente sul medesimo thema decidendum della individuazione dei vizi dell’opera idonei a dar luogo all’azione ex art. 1669 cod. civ., alla responsabilità per essi del progettista e dell’appaltatore e alla loro compiuta disamina da parte dei giudici di merito, ora affrontato sotto il profilo del vizio di motivazione, ora della violazione delle norme in materia, sono infondati.
Deve in primo luogo osservarsi come, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U,
07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass ., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
Nella specie, i giudici di merito hanno ampiamente dato conto, con articolata ed esauriente motivazione, delle ragioni per le quali hanno ritenuto di respingere l’appello, sicché non può dirsi violato il criterio del ‘minimo costituzionale’ di cui si è detto.
Venendo alle dedotte violazioni di legge, cui si correla la doglianza di travisamento della qualificazione giuridica dell’azione, e prendendo le mosse dal dettato normativo, occorre evidenziare come la responsabilità di cui all’art. 1669 cod. civ. sia riconducibile alla violazione di primarie regole (di rilievo pubblico) dettate per assicurare la sicurezza dell’attività costruttiva, sì da potersi configurare una sua attrazione nell’ambito della responsabilità extracontrattuale (Cass., Sez. 1, 6/12/2000, n. 15488; Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 1036), sia pure con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 cod. civ. (Cass., Sez. 2, 10/11/2023, n. 31301; Cass., Sez. 2, 26/9/2023, n. 27385; Cass., Sez. 1, 12/04/2006, n. 8520; Cass., Sez. 3, 09/01/1990, n. 8; Cass., Sez. 3, 14/04/1984, n. 2415; Cass., Sez. 2, 23/03/1977, n. 1136), il quale mantiene, invero, un margine di applicabilità allorché manchino, in concreto, le condizioni, oggettive e soggettive, per il regime speciale di cui all’art. 1669 cod. civ., essendo quest’ultimo non una norma di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, ma finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale (Cass., Sez. 2, 26/9/2023, n. 27385, cit.; Cass., Sez. 2, 10/11/2023, n. 31301; Cass., Sez. U, 3/12/2014, n. 2284).
Tale regime si distingue da quello generale anche sotto il profilo dell’onere della prova, giacché dà luogo ad una presunzione iuris tantum di responsabilità, che può essere superata soltanto quando
l’appaltatore dimostri l’ascrivibilità dei gravi difetti dell’immobile al caso fortuito o all’opera di terzi (Cass., Sez. 3, 17/1/2013, n. 1026), mentre l’azione ex art. 2043 cod. civ. impone l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dalla norma, compresa la colpa del costruttore (Cass., Sez. 2, 26/9/2023, n. 27385, cit.; Cass., Sez. 2, 10/11/2023, n. 31301; Cass., Sez. U, 3/12/2014, n. 2284). L’art. 1669 cod. civ. postula che l’immobile, destinato per sua natura a lunga durata, rovini, in tutto o in parte, ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti, per vizio del suolo o per difetto di costruzione.
Costituiscono gravi difetti dell’edificio, secondo quanto chiarito da questa Corte, quei vizi costruttivi che incidono in misura sensibile sugli elementi essenziali di struttura e funzionalità della costruzione in quanto opera destinata a lunga durata; che incidono sugli elementi necessari a che l’opera possa fornire la normale utilità in relazione alla sua funzione economica e pratica secondo la sua intrinseca natura e destinazione; che determinino una situazione sensibilmente menomatrice del normale godimento della cosa; che comportino un’alterazione dello stato normale della costruzione tale da influire sulla sua solidità, da non escludere l’eventualità di un pericolo futuro e da giustificare un timore per la conservazione dell’immobile (Cass., Sez. 2, 24/5/1972, n. 1622).
In sostanza, i ‘gravi difetti’ non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, ma con quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono, a causa dell’imperfetta esecuzione dell’opera, il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura, sicché rilevano, a tal fine, pure vizi non totalmente impeditivi dell’uso dell’immobile, come quelli relativi all’efficienza dell’impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità (Cass., Sez. 2, 4/10/2018, n. 24230; Cass., Sez. 2, 15/9/2009, n. 19868;
Cass., Sez. 2, 19/2/2007, n. 3752; Cass., Sez. 2, 4/11/2005, n. 21351), tutte situazioni queste la cui gravità costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass., Sez. 2, 13/12/2021, n. 39599; Cass., Sez. 2, 24/5/1972, n. 1622).
A tali considerazioni, deve aggiungersi che il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore, il progettista e il direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 cod. civ., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass., Sez. 2, 3/9/2020, n. 18289; Cass., Sez. 2, 23/7/2013, n. 17874), e che, nel caso di intervento edilizio su un’opera preesistente, è richiesta al progettista e direttore dei lavori una diligenza particolarmente qualificata, in ragione della quale egli è tenuto, prima di procedere alla sopraelevazione, ad accertare l’idoneità statica delle strutture già esistenti (Cass., Sez. 3, 14/11/2022, n. 33465).
Nella specie, i giudici di merito hanno escluso che fosse ravvisabile siffatta responsabilità, fondando la decisione su due relazioni di consulenza tecnica d’ufficio (effettuate a distanza di tre anni l’una dall’altra), che avevano consentito di accertare come il fenomeno fessurativo osservato tanto nel solaio della struttura preesistente, in coincidenza, quanto a direzione, con la sua orditura, quanto nel piano sopraelevato, in corrispondenza di porte e finestre di alcuni locali, in uno con la presenza di lesioni in alcune mattonelle della sopraelevazione, non facesse temere per la tenuta statica del manufatto, secondo quanto confermato dall’assenza di esso nei pilastri e dalle severe prove di carico poste in essere, ma fosse da ricollegare a un fisiologico assestamento della struttura, amplificato dalla mancanza di finiture a regola d’arte e da un carico, la
sopraelevazione, applicato ad un solaio snello e tendente a deformarsi in maniera accentuata, tant’è che la situazione, a distanza di tre anni dalle prime verifiche, era rimasta immutata. Ad avviso dei c.t.u., detto fenomeno non soltanto non era prevedibile al momento della realizzazione dei lavori, né imponeva l’esecuzione di lavorazioni dirette a garantire la staticità e la sicurezza del fabbricato, ma sarebbe stato meno accentuato se fosse stata fatta una più accurata sistemazione degli intonaci esterni e interni (non in modo tradizionale, ma con rete metallica e fibra) e della pavimentazione (con fughe più idonee), lavori questi ultimi eseguiti, peraltro, da altra impresa.
Orbene, a fronte di tali considerazioni, in sé idonee ad escludere la responsabilità delle parti controricorrenti, non vengono prospettate, neppure nella censura, situazioni tali da integrare l’ipotesi residuale della sussistenza di ‘gravi difetti’ idonei a inibire la normale utilità dell’opera in relazione alla sua funzione economica e pratica secondo la sua natura e destinazione o a menomare il normale godimento della stessa, con la conseguenza che le doglianze si risolvono nel sostanziale sollecito di una rivisitazione nel merito del compendio probatorio, ciò che ne comporta l’infondatezza.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei motivi, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8/11/2024.