Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33316 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33316 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
Oggetto
Arbitrato – Arbitrato irrituale Responsabilità civile degli arbitri
–
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3396/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’ Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Ministero della Giustizia;
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4867/2021 depositata in data 2 luglio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, NOME COGNOME, NOME COGNOME e il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna, in via concorrente e/o alternativa, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, causatigli dall’illegittimo spossessamento del chiosco di sua proprietà sito all’interno del Centro Commerciale Cinecittà Due di Roma; spossessamento ascritto a responsabilità: a) del COGNOME per aver pronunciato quale unico arbitro lodo erroneo, in controversia tra la RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE, la risoluzione di contratto di affitto d’azienda senza
e contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
e nei confronti di
e di
-resistente –
accertare che di questa non faceva parte il chiosco; b) del COGNOME, quale ufficiale giudiziario, e del Ministero ex art. 2049 cod. civ., per avere portato ad esecuzione l’ ordine di rilascio di detto bene.
Esteso il contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE chiamata in garanzia dal COGNOME, il Tribunale, con sentenza n. 15398 del 2017, rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE condannandola alle spese del grado.
A fondamento di tale decisione, e per quanto ancora interessa, ha posto anzitutto il rilievo, espressamente indicato come « assorbente e dirimente », dell’assenza di nesso causale tra il lodo irrituale pronunciato dall’avv. COGNOME e lo spossessamento del chiosco, avendo l’esecuzione tratto titolo, esclusivamente, dalla sentenza del Tribunale n. 25225/2010, che, accertato l’inadempimento del lodo irrituale, aveva ordinato il rilascio dell’azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE
Ha poi soggiunto, ad abundantiam , che:
─ come pure sottolineato nella sentenza di primo grado il punto nodale della controversia demandata all’arbitro non era stata la proprietà del chiosco da parte di un terzo, bensì la risoluzione del contratto per inadempimento, essendo la LVM morosa nel pagamento dei canoni dovuti alla RAGIONE_SOCIALE
─ correttamente , comunque, era stata esclusa una negligenza inescusabile da parte dell’arbitro, ove si consideri, tra l’altro, che NOME COGNOME era al contempo il legale rappresentante tanto della LVM quanto della Gepa e che tale sovrapposizione era tale ingenerare un errore scusabile in merito alla proprietà del chiosco;
─ d el resto l’arbitro, in assenza di elementi documentali comprovanti la titolarità del chiosco in capo alla Gepa, operò riferimento per relationem all’art. 2 del contratto ove erano indicati i
beni di proprietà esclusiva della RAGIONE_SOCIALE
─ o ve poi si volesse sottoporre a critica il ragionamento e la valutazione operati dall’arbitro in merito all’eccezione di nullità del contratto di affitto di azienda per malgoverno del materiale istruttorio, sarebbe del tutto palese la riconducibilità della critica al contenuto proprio della decisione arbitrale, al contrario insindacabile ai sensi della normativa citata dal Tribunale.
Avverso tale sentenza, la GRAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resistono NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando controricorsi.
Il Ministero della Giustizia deposita c.d. «atto di costituzione» al solo fine di ricevere comunicazione della data eventualmente fissata per l’udienza di discussione.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Il controricorrente COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia « nullità della sentenza per motivazione apparente e violazione dell’art. 111, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. nonché violazione dell’art. 808-ter c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. », per avere la Corte d’appello affermato che non vi sarebbe stato alcun nesso causale tra lo spossessamento subito dalla GEPA ed il lodo, in quanto ad essere eseguita era stata la sentenza del tribunale.
Sostiene che la motivazione sul punto offerta dalla Corte di merito è talmente illogica e apodittica da integrare una motivazione meramente apparente.
Afferma inoltre che il lodo è stato tutt’altro che neutro rispetto
allo spossessamento subito, avendone costituito la causa diretta o, quanto meno, concausa efficiente essenziale, atteso che il Tribunale si era limitato a ratificare e a far proprio l’accertamento del lodo irrituale, ribadendolo e condannando la LVM all’esecuzione delle statuizioni in esso contenute senza nessun diverso accertamento.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia « violazione degli artt. 1218 e 1710 c.c. e falsa applicazione dell’art. 813ter c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello affermato la non responsabilità dell’arbitro, facendo riferimento al secondo dei citati articoli, disciplinante la responsabilità del (solo) arbitro rituale e non alla disciplina dovuta dal mandatario, quale si caratterizza l’arbitro irrituale e per avere la Corte di appello negato la ordinaria responsabilità contrattuale dell’arbitro ».
Con il terzo motivo essa poi deduce « violazione dell’art. 813ter c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., per avere la Corte di Appello affermato che non costituirebbe colpa grave dell’arbitro la mancata risposta ai quesiti postigli e il puntuale esame dell’eccezione di nullità del contratto dinanzi a esso azionato dalle parti ».
Il primo motivo è in parte infondato (là dove denuncia vizio di motivazione apparente), in altra parte inammissibile (là dove denuncia, contraddittoriamente rispetto alla prima censura, vizio di violazione di legge).
4.1. Quanto alla prima censura è appena il caso di rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti.
La motivazione è perfettamente comprensibile come dimostra del resto la stessa ricorrente che, avendola compresa, la sottopone a critica sotto diversi profili.
4.2. La seconda censura è inammissibile atteso che, ad onta della formale intestazione, le considerazioni in cui essa si sostanzia attengono al giudizio causale come tale riservato al giudice di merito, in quanto sottoposto a critica sulla base di profili meramente fattuali, e tendono così inammissibilmente a sollecitare a questa Corte un giudizio di merito alternativo a quello espresso dal giudice d’appello .
Appare peraltro evidente l’inosservanza degli oneri di specifica indicazione degli atti richiamati, in palese violazione degli artt. 366 n. 6 cod. proc. civ. e 369 n. 4 cod. proc. civ.; non è infatti mai riportato, quanto meno attraverso una sintesi esaustiva, il contenuto del lodo che è posto a base dell’ascritta pretesa risarcitoria , non essendo dunque consentito alcun vaglio in ordine alla dedotta riconducibilità causale del lamentato spoglio a quanto in esso stabilito.
Rimane assorbito l’esame dei restanti motivi in quanto relativi a rationes decidendi diverse e autonome.
Ciò non esime peraltro dal rilevare la manifesta infondatezza della tesi censoria che pretende di far valere in favore del ricorrente una
responsabilità contrattuale in relazione a rapporto ─ quello devoluto alla cognizione di arbitrato irrituale ─ al quale, secondo pacifica allegazione, egli è estraneo.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida:
in favore del controricorrente NOME COGNOME in Euro 6.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
in favore del controricorrente NOME COGNOME in Euro 4.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza