Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 35050 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 35050 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23050/2019 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 307/2019 della Corte d’Appello di Trieste, depositata il 16.5.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con contratto di appalto di opera pubblica il Comune di Pordenone conferì ad RAGIONE_SOCIALE l’incarico di realizzare un parcheggio multipiano in un’area di proprietà comunale. Durante l’esecuzione dei lavori vennero provocati danni ad un limitrofo fabbricato di proprietà di terzi, i quali convennero in giudizi o il Comune e l’impresa per chieder ne la solidale condanna al risarcimento.
Il Tribunale di Pordenone accolse la domanda e condannò l’ente pubblico e l’impresa in solido al risarcimento dei danni, quantificati in € 567.320, in linea capitale.
La sentenza di primo grado venne impugnata, sia dal Comune di Pordenone, sia da RAGIONE_SOCIALE, davanti alla Corte d’Appello di Trieste, la quale ribadì la condanna di entrambi gli appellanti a risarcire i terzi danneggiati, ma, in parziale accoglimento dell’impugnazione del Comune, condannò RAGIONE_SOCIALE a tenerlo indenne di tutte le somme versate ai terzi in forza della condanna solidale.
La sentenza d’ appello venne impugnata dalla sola RAGIONE_SOCIALE e solo nei confronti del Comune di Pordenone, con esplicita acquiescenza alla condanna in favore dei terzi danneggiati.
Con l’ordinanza n. 7553/2018, questa Corte cassò la sentenza della Corte d’Appello, perché « la corte territoriale non ha spiegato quale sarebbe la pattuizione contrattuale che addosserebbe i danni de quibus interamente all’RAGIONE_SOCIALE », e rinviò il processo alla medesima « Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, per un nuovo esame
della sola domanda di manleva proposta dal Comune di Pordenone nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
In sede di rinvio, la Corte giuliana, esaminate le pertinenti clausole del capitolato speciale e del capitolato generale d’appalto, concluse nel senso dell’insussistenza di un obbligo dell’impresa di tenere indenne il Comune di Pordenone nel caso di danni a terzi provocati durante l’esecuzione dei lavori, ma riconducibili a difetti progettuali, e rigettò la domanda proposta dal Comune nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Contro tale sentenza il Comune di Pordenone ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. «violazione del giudicato interno -violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.».
Il ricorrente sostiene che «le rationes decidendi della sentenza impugnata, diversamente declinate nelle decisioni che riguardano le singole clausole contrattuali, si fondano sull’assunto che sia passato in giudicato l’accertamento che i danni subiti dai proprietari del fabbricato danneggiato siano stati esclusivamente cagionati dagli errori imputabili unicamente al committente Comune di Pordenone». Inoltre, si afferma nell’illustrazione del motivo che «l’errore di progettazione imputabile al committente, per come è stato identificato, non può in alcun modo essere considerato causa dei danni de quo , ed è sicuramente passato in giudicato».
1.1. Il motivo è inammissibile, perché presuppone un’errata lettura, sia della sentenza impugnata, sia della ordinanza n. 7553/2018, che cassò la prima sentenza della Corte d’Appello triestina .
1.1.1. Innanzitutto, per prospettare la «violazione del giudicato interno» il ricorrente attribuisce alla Corte d’Appello l’errore di avere deciso la causa «sull’assunto che sia passato in giudicato l’accertamento che i danni subiti dai proprietari del fabbricato danneggiato siano stati esclusivamente cagionati dagli errori imputabili unicamente al committente Comune di Pordenone».
Ma davvero non si comprende da dove il ricorrente tragga questa convinzione. La Corte territoriale si è occupata -come doveva fare -della ripartizione della responsabilità nei rapporti interni tra condebitori solidali. E la questione sul tappeto era se -ferma e ormai passata in giudicato la responsabilità solidale di entrambi verso i terzi danneggiati -nel rapporto contrattuale tra Comune committente e impresa appaltatrice vi fossero clausole in forza delle quali l’impresa dovesse tenere indenne il Comune e, quindi, sopportare per intero il peso finale della responsabilità condivisa verso i terzi.
Il giudice del rinvio ha assolto il compito assegnatogli negando l’esistenza di un obbligo contrattuale di manleva dell’impresa per una responsabilità come quella accertata nel caso concreto, ovverosia nel caso di errore progettuale addebitabile sia al committente (che ha fornito il progetto all’impresa), sia all’appaltatore (che avrebbe dovuto verificare le lacune del progetto e rifiutarsi di darvi esecuzione in parte qua ). Ne è conseguito il rigetto della domanda di manleva,
dovendo trovare applicazione la norma generale che regola i rapporti interni tra condebitori solidali, la quale prevede la divisione del peso in parti uguali (artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c.). Il che però non presuppone affatto che «i danni subiti dai proprietari del fabbricato danneggiato siano stati esclusivamente cagionati dagli errori imputabili unicamente al committente Comune di Pordenone». Anzi presuppone, proprio che ci sia una corresponsabilità di Comune e impresa.
1.1.2. Forse ancora più incomprensibile è l’affermazione del ricorrente secondo cui sarebbe «passato in giudicato» l’accertamento che «l’errore di progettazione imputabile al committente, per come è stato identificato, non può in alcun modo essere considerato causa dei danni de quo ».
A parte il fatto che la prima sentenza della Corte d’Appello non venne impugnata nella parte in cui confermò la solidale condanna di Comune e RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni nei confronti dei terzi danneggiati, del tutto esplicita sul passaggio in giudicato della responsabilità solidale (e quindi dell’accertamento che «l’errore di progettazione imputabile al committente» fu «causa dei danni») è l’ordinanza n. 7553/2018, che cassò quella sentenza nella sola parte in cui aveva condannato l ‘impresa alla manleva : « il giudicato interno formatosi (nella controversia ‘principale’) sull’acclarata responsabilità, nei confronti della COGNOME e del COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE e del Comune di Pordenone circa i danni subiti dal fabbricato dei primi a causa delle modalità imperite ed imprudenti con le quali erano stati progettati ed eseguiti dalla menzionata società, su di un fondo municipale attiguo a quell’immobile, i lavori di costruzione di un parcheggio pubblico sotterraneo commissio natile dall’ente, osta alla possibilità di
ridiscutere, in questa sede, sebbene anche solo in relazione ai rapporti tra i suddetti originari convenuti, circa l’esclusività, o meno, della responsabilità di uno (il Comune di Pordenone) nei confronti dell’altra (l’odierna RAGIONE_SOCIALE, p osto che, nei rapporti interni, la dichiarata (in via definitiva, per quanto detto prima) responsabilità solidale può essere ‘ripartita’, non esclusa ».
Ciò è stato scritto a motivazione del rigetto di quello che era allora il primo motivo di ricorso per cassazione di RAGIONE_SOCIALE ma vale, qui ed ora, con altrettanta efficacia, ad escludere l’ammissibilità del primo motivo di ricorso del Comune di Pordenone laddove esso prospetta, in modo del tutto avulso dalla realtà processuale, che vi sia un «giudicato interno» nel senso di escludere la sua responsabilità per l’errore di progettazione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. : «violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c.».
Si contesta la correttezza dell’interpretazione data dalla Corte d’Appello al contratto d’appalto (in particolare alle clausole dei capitolato speciale e generale), che l’hanno portata ad escludere che vi fosse un impegno dell’impresa a tenere indenne il Comune anche nel caso di danni a terzi ricollegabili a vizi del progetto che il Comune le aveva fornito.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile.
Quantunque il Comune si sforzi di presentare la propria critica nei termini di una denuncia di violazione dei canoni legali di interpretazione del contratto, quella che viene proposta è in realtà soltanto un’interpretazione alternativa tra quelle rese
possibili dal testo contrattuale. I canoni legali di interpretazione (comune intenzione delle parti, comportamento complessivo dei contraenti e buona fede) vengono solo elencati, ma non si spiega in che modo la Corte d’Appello li avrebbe violati , avendo essa analiticamente esaminato il testo dei capitolati e rilevato il dato ineludibile che la responsabilità derivante da vizi progettuali non era menzionata in alcuna delle clausole in cui l’impresa si impegna va a farsi carico in via esclusiva dei danni provocati a terzi.
Occorre allora ribadire che l’interpretazione del contratto è, di per sé, una questione di fatto e che « la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ave ndo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata » (Cass. n. 28319/2017; conf. Cass. nn. 11254/2018; 16987/2018; 21576/2019; 22318/2023; 18214/2024)».
Forse perché consapevole dell’impossibilità di ravvisare errori giuridici nell’interpretazione del contratto fatta propria nella sentenza impugnata, il Comune di Pordenone ha cercato di arricchire il contenuto in diritto di questo secondo motivo attribuendo alla Corte territoriale giuliana l’intenzione di «sanzionare la supposta illiceità di una clausola che consenta all’amministrazione di riversare sull’appaltatore gli oneri derivanti dalla propria responsabilità» e ravvisando nella
sentenza l’effetto di «un parziale annullamento di una legittima clausola contrattuale».
Ma, ancora una volta, non si comprende da dove il ricorrente abbia desunto una siffatta intenzione del giudice del merito, che si è fermato all’interpretazione del contratto, concludendo che non c’era una clausola di manleva applicabile nel caso di specie; il che esclude che possa essersi pronunciato implicitamente sulla validità di una clausola … che non c’è .
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000 per compensi, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge ;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima