Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2774 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 2774  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25818/2019 R.G. proposto da:
CONDOMINIO STELLA DI INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo pec: EMAIL;
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
nonché contro
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocata COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2413/2019, pubblicata il 3 giugno 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, in Cesano Boscone, ha proposto  ricorso,  articolato  in  tre  motivi,  avverso  la  sentenza  n. 2413/2019  della  Corte  d’appello  di  Milano,  pubblicata  in  data  3 giugno 2019.
Hanno  resistito  con  distinti  controricorsi  l’RAGIONE_SOCIALE  e l’architetto NOME COGNOME.
2.Il RAGIONE_SOCIALE convenne l’RAGIONE_SOCIALE e l’architetto NOME  COGNOME,  rispettivamente  quale  appaltatrice  e  direttore  dei lavori di manutenzione  straordinaria del fabbricato stabiliti con contratto  sottoscritto  in  data  11  maggio  2006,  per  ottenerne  la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in sede di accertamento tecnico preventivo nell’importo di € 181.026,30.
Il  RAGIONE_SOCIALE lamentava l’inesatta esecuzione dei lavori di ripristino delle facciate e dei balconi, compresa la pavimentazione e l’impermeabilizzazione del relativo piano di calpestio, per la presenza di difetti realizzativi non eliminati nemmeno a seguito degli interventi di riparazione attuati dall’appaltatrice nell’aprile 2008.
I convenuti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE chiesero il rigetto delle domande  attoree  e  l’appaltatrice  domandò,  con  riconvenzionale,  la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo di € 22.687,64, a titolo di saldo del corrispettivo.
Con la sentenza n. 5868/2017, l’adito Tribunale di Milano respinse la domanda  del  RAGIONE_SOCIALE  e  accolse  la  domanda  riconvenzionale dell’appaltatrice.
La  Corte  d’appello  ha,  poi,  accolto  soltanto  in  parte  l’appello  del RAGIONE_SOCIALE, condannando l’architetto COGNOME al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale liquidato in € 500,00, oltre accessori.
3.- Il primo motivo del ricorso del RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 698 c.p.c. e degli artt. 1667 -1668 c.c., afferma l’‹‹efficacia della Ctu espletata nel giudizio di Ctp››, invoca le risultanze della Ctu, contesta che la sentenza impugnata abbia disatteso e distorto l’esito della medesima Ctu. Il primo motivo del ricorso per cassazione si ricollega al corrispondente primo motivo di appello, sulla prova dei difetti delle opere imputabili a imperizia dell’appaltatrice.
Al riguardo, la Corte d’appello di Milano ha condiviso il ragionamento del primo giudice, valutando corretta l’esecuzione delle opere rispetto a ‘quelle che risultano dal contratto definitivo dell’11 maggio 2006’, e qualificando i lamentati vizi come conseguenza, in realtà, delle scelte operate dal RAGIONE_SOCIALE committente, inidonee a risolvere il problema strutturale della mancanza di un gocciolatoio nei balconi. I giudici del merito hanno ricostruito le vicende che portarono alla definizione dell’oggetto dei lavori, che l’RAGIONE_SOCIALE suggeriva consistenti nella posa di nuove soglie in marmo di misura superiore a quelle esistenti e nella modifica degli ancoraggi sui frontalini dei balconi, e che invece il RAGIONE_SOCIALE aveva delimitato in relazione al tetto di spesa di € 230.000,00 individuato dall’assemblea.
Confermando  la ratio  decidendi esposta  dal  Tribunale,  la  Corte d’appello ha sostenuto che nel caso di specie non si era verificato un
errore  di  progettazione  e  di  costruzione  delle  opere,  ma  era  stata compiuta una scelta dal committente ‘(dettata da ragioni economiche) di far realizzare solo alcune delle opere e non altre pure progettate  ed  indicate  come  opportune  per  eliminare  i  fenomeni  di dilavamento dei frontalini dei balconi e le infiltrazioni derivanti dalla carenza  di adeguata  impermeabilizzazione  e  dalla  vetustà  della pavimentazione degli stessi balconi’.
Il ricorrente a ciò oppone che ‘[n]on è così: la scelta degli interventi da eseguirsi è stata fatta dal RAGIONE_SOCIALE non in base a un criterio (solo) economico. La scelta degli interventi da eseguirsi è stata fatta per la realizzazione delle opere straordinarie (ormai necessarie dopo molti anni) con ripristino della situazione originale dello stabile’. La censura prosegue: ‘[v]alutati i costi, il RAGIONE_SOCIALE sceglieva di eseguire le opere ripristinando la situazione originale senza modificare le soglie (con aggetto e quindi necessariamente con la realizzazione dei gocciolatoi). Semplicemente il RAGIONE_SOCIALE ha scelto di ripristinare le soglie come da disegno/progetto originale per non mutare la situazione architettonica preesistente e non affrontare lavorazioni esteticamente più radicali’. Ed ancora: ‘[l]’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, invece, non ha eseguito le opere di ristrutturazione della situazione preesistente secondo le regole dell’arte e, infatti, la Ctu ne ha individuato vizi e difetti’.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1167 (da intendere: 1667) c.c.
Si  assume  che  l’RAGIONE_SOCIALE,  ricevuto  ed  analizzato  il progetto,  avrebbe  dovuto  ravvisare  e  segnalare  eventuali  criticità  o manchevolezze,  formulare  riserva  scritta e richiedere –  se  non addirittura suggerire – le necessarie correzioni.
Parimenti  sarebbe  venuto  meno  ai  propri  obblighi  di  controllo  e  di verifica l’architetto COGNOME, avendo egli omesso di formulare riserva scritta motivando tecnicamente i limiti delle opere prese in considerazione dal RAGIONE_SOCIALE, e non avendo nel corso dell’avanzamento  dei  lavori  impartito  le  opportune  disposizioni  per prevenire e correggere i vizi che gradualmente emergevano.
3.1. -I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per evidente connessione, vanno respinti.
3.1.1. – Nel contratto di appalto privato di un’opera, la legge non dispone a carico di quale delle parti gravi l’obbligo di redazione del progetto complessivo cui fare riferimento per la sua realizzazione, né indica lo stesso come indispensabile (Cass. Sez. 2, 27/02/2019, n. 5734); non è neppure necessario che l’opera sia determinata anche nei suoi minuti particolari, rimanendo sufficiente che ne siano fissati gli elementi fondamentali (Cass. Sez. 1, 30/03/1967, n. 683; Cass. Sez. 3, 25/08/1984, n. 4697).
Quando, peraltro, il contratto di appalto faccia riferimento ad un progetto, recante una descrizione esatta dell’oggetto fondata su criteri tecnici, l’opera deve certamente essere eseguita dall’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice in conformità del medesimo progetto ed a regola d’arte. Così, l’art. 1659 c.c. inibisce all’appaltatore di apportare, senza l’autorizzazione del committente, variazioni non concordate del ‘progetto’, cioè delle modalità convenute dell’opera, allo scopo, appunto, di assicurare che il risultato sia conforme, anche nei particolari, a quello che il committente si era proposto.
La  circostanza  che  l’appaltatore  esegua  l’opera  su progetto  del committente o fornito dal committente, tuttavia, non lo degrada, per ciò solo, al rango di ” nudus minister “, poiché la fase progettuale non
interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica (Cass. Sez. 2, 05/05/2003, n. 6754).
3.1.2. – Qui deve allora ribadirsi il principio costantemente affermato in giurisprudenza, al quale si è uniformata la sentenza impugnata.
L’appaltatore che, nella realizzazione dell’opera, si attiene alle modalità convenute con il committente (come avvenuto nella specie), può non di meno essere ritenuto responsabile per i vizi dell’opera stessa, valutandone la condotta secondo il parametro di cui all’art. 1176, comma 2, del codice civile, ove ometta di segnalare al committente le carenze e gli errori progettuali al fine di poter realizzare l’opera a regola d’arte. L’appaltatore, invero, deve assolvere al proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, ed è perciò tenuto a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirli, quale ” nudus minister “, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Soltanto in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista (Cass. Sez. 1, 09/10/2017, n. 23594; Cass. Sez. 2, 8/7/2016, n. 14071; Cass. Sez. 2, 24/02/2016, n. 3651; Cass. Sez. 2, 27/08/2012, n. 14650; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8016; Cass. Sez. 1, 13/03/2009, n. 6202; Cass. Sez. 3, 12/04/2005, n. 7515; Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20294; Cass. Sez. 2, 26/07/1999, n. 8075; Cass. Sez. 2, 29/01/1983, n. 821).
3.1.3. -Va  dunque  affermato  che  la  responsabilità  dell’appaltatore per  l’esecuzione  dei  lavori  non  a  regola  d’arte  presuppone  che  la difformità od il vizio lamentato riguardi l’opera appaltata.
L’art. 1659 c.c. che, come già ricordato, inibisce all’appaltatore di apportare, senza l’autorizzazione del committente, variazioni alle modalità convenute dell’opera – tende ad assicurare che il risultato sia conforme, anche nei particolari, a quello che il committente si era proposto, non essendo consentito all’appaltatore adottare materiali o forme diverse, anche se di maggior pregio, né potendo egli sostituirsi al committente nello scegliere le modalità esecutive capaci di caratterizzare l’opera, secondo le preferenze manifestate al momento della conclusione del contratto (Cass. Sez. 2, 27/07/1984, n. 4440; Cass. Sez. 6 – 2, 09/11/2021, n. 32828).
E’  questa  la  cornice  normativa  entro  la  quale  va  decisa  la  causa  in esame, attinente ad un appalto privato, giacché l’onere della riserva posto a carico dell’appaltatore riguarda, piuttosto, la disciplina dell’appalto di opere pubbliche, ove assolve alla funzione di consentire  la  tempestiva  e  costante  evidenza  di  tutti  i  fattori  che siano  suscettibili  di  aggravare  il  costo  dell’opera  e  siano  oggetto  di contrastanti valutazioni delle parti.
3.1.5. -La Corte d’appello di Milano ha così ritenuto corretta l’esecuzione delle opere rispetto a quelle convenute nel contratto dell’11 maggio 2006. Il committente era stato reso edotto dall’appaltatrice che l’eliminazione del problema riscontrato avrebbe imposto di sopperire alla mancanza di un gocciolatoio nei balconi. L’RAGIONE_SOCIALE aveva consigliato la posa di nuove soglie in marmo e la modifica degli ancoraggi sui frontalini dei balconi, ma il RAGIONE_SOCIALE aveva frapposto il limite dell’importo delle spese fissato dall’assemblea.
Il primo motivo di ricorso non specifica, ai sensi dell’art. 366, comma accordi
1, n. 6, c.p.c., quale diverso contenuto avessero gli contrattuali intercorsi fra le parti per convenire le modalità dell’opera. Spetta, del resto, all’apprezzamento del giudice di merito, trattandosi di  accertamento  di  fatto,  individuare  l’esatto  oggetto  e  le  modalità convenute dell’opera con riguardo ad un contratto d’appalto.
Il ricorrente, nelle forme di una censura per violazione o falsa applicazione di norma di diritto, deduce, in realtà, un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. Né sarebbe ammissibile riqualificare il motivo come vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operando la previsione di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis ), comportante la preclusione dell’esame della doglianza per ‘doppia conforme’.
3.1.6. -Non  rilevano  nemmeno  le  censure  riferite  alle  conclusioni raggiunte dal perito in sede di accertamento tecnico.
L’insufficienza tecnica del giudice, che il perito può essere chiamato a supplire, non concerne né la qualificazione giuridica di fatti, né la verifica della conformità alla legge di determinati comportamenti. La consulenza d’ufficio è funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongano soltanto cognizioni di ordine tecnico, sicché non spetta all’ausiliare svolgere accertamenti o formulare valutazioni circa la legittimità di condotte umane, o di opere materiali, né di ricostruire il contenuto e la portata di una norma o di un negozio. Qui si trattava di determinare innanzitutto quali fossero le opere convenute dalle parti nel contratto d’appalto (e non quale fosse l’intervento migliore eseguibile per eliminare definitivamente i fenomeni di dilavamento dei frontalini dei balconi e le infiltrazioni derivanti dalla carenza di adeguata impermeabilizzazione e dalla vetustà della pavimentazione
degli stessi  balconi);  soltanto  in  relazione  alle  prestazioni  volute  dai contraenti  doveva  poi  stabilirsi  quali  fossero  le  cognizioni  tecniche esigibili  da  quel  determinato imprenditore edile secondo la diligenza qualificata su di esso gravante, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c.
3.1.7. -Quanto  alla  posizione  del  direttore  dei  lavori  architetto COGNOME,  la  Corte  d’appello  ha  correttamente  ritenuto  lo  stesso estraneo ad ogni responsabilità per le opere non oggetto del contratto di  appalto,  ed  invece  responsabile  per  i  vizi  relativi  alla  difettosa sigillatura dei vetri che fungono  da  parapetti,  secondo  quanto concordato con il RAGIONE_SOCIALE.
Anche tale statuizione è corretta in diritto.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della ” diligentia quam in concreto “; rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. Non si sottrae, dunque, a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne
al committente; in particolare l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’RAGIONE_SOCIALE, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. Sez. 2, 14/03/2019, n. 7336; Cass. Sez. 2, 03/05/2016, n. 8700; Cass. Sez. 2, 24/04/2008, n. 10728; Cass. Sez. 2, 27/02/2006, n. 4366; Cass. Sez. 2, 20/07/2005, n. 15255).
Quanto prima evidenziato con riguardo all’appaltatrice smentisce che potesse  affermarsi  una  responsabilità  dell’architetto  COGNOME  per  la mancata esecuzione di opere ulteriori o di modalità attuative diverse da quelle pattuite nel contratto d’appalto.
-Il terzo motivo di ricorso  lamenta la violazione e falsa applicazione  dell’art.  116  c.p.c.,  dell’art.  100  c.p.c.  e  dell’art.  1655 c.c. nonché del principio di sinallagmaticità.
Si  contesta  l’affermazione  della  Corte  d’appello  secondo  cui  ‘gli interventi sulla pavimentazione dei balconi non sono stati commissionati  dal  RAGIONE_SOCIALE,  ma  dai  singoli  condomini,  tanto  che risultano rifatti solo 38 su 216 balconi’. Tale affermazione ha portato i giudici  del  merito  a  ritenere  il  RAGIONE_SOCIALE  sfornito  di  legittimazione attiva in merito ai vizi e difetti dei balconi, giacché ‘opere eseguite su incarico dei singoli condomini’.
Secondo  la  Corte  d’appello,  il  rifacimento  della  pavimentazione  dei balconi era stato oggetto di trattativa tra le parti del giudizio ed era
stata  rimessa  ai  singoli  condomini  la  scelta  se  commissionare  tali opere.
Il ricorrente obietta che ‘non vi è prova documentale di un contratto d’appalto  tra  i  singoli  condomini  e  l’RAGIONE_SOCIALE  e  l’architetto COGNOME,  in  quanto  esiste  un  solo  contratto  d’appalto  che  ha  ad oggetto altresì il rifacimento dei balconi. La sottoscrizione del contratto d’appalto è avvenuta, infatti, unicamente tra il RAGIONE_SOCIALE e  l’RAGIONE_SOCIALE  e,  infatti,  il  pagamento  delle  opere  è  stato eseguito dal RAGIONE_SOCIALE e non dai singoli condomini …’.
4.1. -Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Non è decisivo osservare che i balconi “aggettanti”, giacché costituiscono  solo  un  prolungamento  dell’appartamento  dal  quale protendono,  non  possono  considerarsi  di  proprietà  condominiale  ai sensi dell’art. 1117 c.c., rientrando piuttosto nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono.
Invero, nel contratto di appalto la qualità di committente può anche non coincidere con quella del soggetto a favore del quale i lavori vanno eseguiti o del proprietario dell’immobile che ne sia oggetto, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un appaltatore affinché questi compia le opere a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente e l’appaltatore, il quale resta obbligato verso il primo ad adempiere alla prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso (cfr. Cass. Sez. 2, 22/06/2017, n. 15508).
Tuttavia, l’individuazione dell’effettivo committente delle opere appaltate costituisce frutto di accertamento di fatto,  devoluto in  via esclusiva al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se non  nei  limiti  di  cui  all’art.  360,  comma  1,  n.  5,  c.p.c.  (vizio  non dedotto con la doglianza in esame).
Nella specie, la Corte d’appello di Milano ha desunto presuntivamente che  committenti  dei  lavori  inerenti  ai  balconi  fossero  stati  i  singoli condomini  che  ne  erano  rispettivi  proprietari,  e  non  il  RAGIONE_SOCIALE, giacché  essi  avevano  riguardato  soltanto  38  dei  216  balconi  del fabbricato.  Tale  apprezzamento  di  fatto  non  è  qui  sindacabile  per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
In tema di responsabilità dell’appaltatore per difetti di costruzione di un  immobile  condominiale,  ai  sensi  degli  artt.  1667  e  1668  c.c.,  la relativa azione, di natura contrattuale, spetta soltanto al committente,  e,  quindi,  nella  specie,  ai  singoli  condòmini,  nei  cui confronti l’appaltatore si è obbligato, con esclusione di ogni forma di solidarietà attiva, come della legittimazione ad agire dell’amministratore nell’interesse comune (Cass. Sez. 2, 11/04/2022, n. 11606).
Il ricorso va, perciò,  rigettato,  con  condanna  del  ricorrente RAGIONE_SOCIALE a rimborsare ai controricorrenti  RAGIONE_SOCIALE  e NOME  COGNOME  le  spese  del  giudizio  di  cassazione  negli  importi rispettivamente liquidati in dispositivo.
Sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento -ai  sensi dell’art. 13, comma 1quater ,  del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  RAGIONE_SOCIALE  al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese sostenute nel presente giudizio, che liquida per l’ RAGIONE_SOCIALE in complessivi € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, e per NOME COGNOME in complessivi €
5.200,00,  di  cui  €  200,00  per  esborsi,  oltre  a  spese  generali  e  ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da parte  del  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione