Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11503 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11503 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 7337/2019 r.g. proposto da:
Impresa Ing. RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega allegata al ricorso per cassazione dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del secondo Avvocato.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale apposta al controricorso, i quali
dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative a questo procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-controricorrente e ricorrente incidentale –
E
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata ex art. 83 c.p.c.
– controricorrente-ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 1410/2018, depositata il 2/3/2018
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con contratto del 21/6/2002 il Comune di Roma stipulava con la RAGIONE_SOCIALE l’appalto per il risanamento igienico del bacino idrografico della Maglianella e per il potenziamento della funzionalità idraulica dei manufatti già esistenti.
In tale ambito la RAGIONE_SOCIALE affidava all’RAGIONE_SOCIALE, la cui capogruppo era la società RAGIONE_SOCIALE, i lavori relativi al RAGIONE_SOCIALE Maglianella- Roma, per l’esecuzione di una galleria con tubi in cemento armato.
Il termine previsto per i lavori inizialmente era il 17/2/2003, mentre, a seguito di proroga per la variante intervenuta, il termine veniva differito al 30/11/2005. I lavori venivano peraltro conclusi il 12/9/2005.
L’ATI iniziava i lavori il 31/7/2002.
Durante i lavori si verificavano tre sospensioni: la prima per 552 giorni, a seguito del ritrovamento di pali di calcestruzzo interrati nel tracciato, dal 26/11/2002 al 23/6/2004; la seconda di 186 giorni, per rottura tubazioni realizzate dalla Monaco s.p.aRAGIONE_SOCIALE con il sistema «spingi tubo», perché la fresa si era incollata al terreno ed era stata aumentata la pressione per l’infissione dei tubi; la terza di 16 giorni, a causa del duplice cambiamento della tecnologia di scavo, sempre a causa del fermo lavori.
Venivano, quindi, iscritte le riserve numeri 6,7 e 8.
Con atto di citazione del 6/7/2007 la società RAGIONE_SOCIALE, quale capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE, citava in giudizio la subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE, per ottenere il ristoro dei danni subiti per la «abnorme protrazione dei lavori», con conseguente aumento dei costi per attrezzature personale e danni da sotto produzione.
Ciò in conseguenza dei tre eventi verificatisi: rinvenimento dei pali in calcestruzzo nel sottosuolo; collassamento delle tre tubazioni di rivestimento della galleria; cambio di tecnologia.
Si costituiva in giudizio la società appaltatrice, subcommittente, proponendo domanda riconvenzionale nei confronti dell’ATI, in quanto, i lavori, che dovevano procedere al ritmo di metri 3,00 al giorno, invece procedevano al ritmo di metri 1,95 al giorno. Ciò, perché era utilizzato un solo vagone per l’asporto dei materiali estratti, senza l’effettuazione di doppi turni.
Pertanto, la società Monaco, subappaltante, chiedeva il rigetto delle domande dell’ATI, l’accertamento dell’inadempimento dell’ATI all’obbligo di eseguire la manutenzione delle opere, l’accertamento che il rallentamento ed il blocco dopo il 24/6/2004 erano imputabili all’ATI, oltre al mancato rispetto dei tempi di esecuzione da parte dell’ATI, con condanna di quest’ultima a pagare la somma di euro 154.170,00.
La società Monaco chiedeva l’autorizzazione a chiamare in causa il Comune, per essere da questo manlevata per le somme eventualmente pagate dalla società in favore dell’ATI.
Il tribunale di Roma condannava la RAGIONE_SOCIALE, quale appaltatrice, sub-committente, a pagare all’ATI, subappaltatrice, la somma di euro 500.955,09, reputando applicabile l’art. 8, I parte, del contratto di appalto, e non la II parte dello stesso.
Condannava, poi, il Comune di Roma a manlevare la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE per il 100% di quanto la stessa doveva pagare all’ATI, quindi integralmente.
Dichiarava inammissibile la domanda di RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Comune per maggiori oneri risultanti dalle riserve iscritte, reputando tardiva la domanda, in quanto avanzata solo con la memoria ex art. 183 c.p.c.
Condannava l’ATI a pagare alla Monaco s.p.a. la somma di euro 107.250,00 a titolo di penale per ritardo nell’esecuzione dei lavori, imputato, appunto, alla subappaltatrice.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale l’ATI, sulla base di quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo l’ATI deduceva che l’art. 8 del contratto doveva essere applicato, non nella sola I parte, dedicata alla sospensione dei lavori, «perditempi», per cause imputabili alla appaltatrice Monaco s.p.a., ma nella II parte, relativa alla responsabilità dell’ente committente, ossia del Comune di Roma.
5.2. Con il secondo motivo la ATI reputava erronea la condanna del tribunale nei confronti della stessa, ed in favore della Monaco s.p.a., per il ritardo di 158 giorni nell’esecuzione dei lavori, e quindi per la somma di euro 107.250,00.
5.3. Con il terzo motivo la ATI chiedeva il danno da sotto produzione, a parità di costi giornalieri, per i minori metri lineari di
galleria realizzati ogni giorno, sicché la minore produzione al giorno rappresentava un costo.
5.4. Con il quarto motivo di impugnazione la ATI chiedeva deduceva che il risarcimento doveva essere computato non dalla domanda giudiziale, ma dal 24/6/2004.
Proponeva appello incidentale il Comune sulla base di cinque motivi.
6.1. Con il primo motivo deduceva la carenza di legittimazione passiva, essendo litisconsorzio necessario l’Anas.
6.2. Con il secondo motivo evidenziava che né nel contratto d’appalto né nel subappalto vi erano patti per giustificare l’azione diretta della Monaco s.p.a., appaltatrice, nei confronti del Comune committente.
6.3. Con il terzo motivo il Comune evidenziava che non c’era sua responsabilità, quale committente, per i difetti di progettazione; vi era, infatti, autonomia del subcommittente, in quanto la Monaco s.p.a. conosceva gli elaborati progettuali e la prossimità di manufatti realizzati da terzi nei luoghi di causa.
6.4. Sollevava l’eccezione di prescrizione della domanda presentata nei confronti del Comune, a titolo di responsabilità extracontrattuale.
6.5. Inoltre, deduceva che il tribunale aveva erroneamente posto a carico del Comune le altre due sospensioni dei lavori.
Proponeva appello incidentale anche l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE
7.1 Con il primo motivo di impugnazione incidentale rilevava che la domanda di condanna avanzata nei confronti del Comune per il pagamento degli importi di cui alle riserve 6,7 e 8, era tempestiva, perché contenuta nell’atto di chiamata in causa del Comune, per euro 1.667.526,00
7.2. Con il secondo motivo di impugnazione incidentale la Monaco s.p.a. rilevava che erano di più i giorni di ritardo nell’esecuzione dei lavori da parte dell’ATI, per il risarcimento relativo pari a complessivi euro 154.170,00 a titolo di penale.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1410/2018, depositata il 2/3/2018, accoglieva in parte l’appello principale articolato dall’ATI, con riferimento al secondo motivo.
8.1. La Corte territoriale rigettava il primo motivo dell’appello principale dell’ATI in ordine alla pretesa applicazione dell’art. 8, II parte, in quanto non vi era responsabilità esclusiva del Comune appaltante, in relazione alla presenza di palificazione in cemento armato nel sottosuolo.
Ciò, in quanto già era stato realizzato un muro di sostegno della scarpata.
La responsabilità andava, dunque, divisa tra il Comune e la RAGIONE_SOCIALE, in parti uguali, essendo concorrente.
8.2. La Corte d’appello accoglieva, come detto, il secondo motivo dell’impugnazione principale dell’ATI.
È vero che c’era stato un ritardo di 158 giorni, ma le opere erano state realizzate dall’ATI il 12/9/2005, entro il termine di ultimazione dei lavori, che era stato prorogato, a seguito della variante, al 30/11/2005.
Nel certificato di collaudo non risultavano applicate penali.
La maggiore durata del subappalto era stata determinata dalle vicende dell’appalto e dei maggiori tempi di esecuzione di quest’ultimo, essendo stata accordata la proroga all’appaltatore.
Del resto, era stata accordata la proroga del termine per l’esecuzione dei lavori dal Comune, anche in relazione al cambio di tecnologia di scavo, a cielo aperto, della Monaco s.p.a.
Veniva rigettato anche il secondo motivo di appello incidentale della Monaco, per le stesse ragioni.
8.3. Era ritenuto infondato il terzo motivo dell’appello principale dell’ATI, in relazione alla richiesta di risarcimento del danno da sotto produzione. Ciò in quanto era stato già riconosciuto all’ATI il danno per la sospensione dei lavori, non essendovi spazio per un ulteriore danno.
8.4. Veniva respinto anche il quarto motivo di appello principale dell’ATI, trattandosi di danno da inadempimento contrattuale, per il quale era necessaria la messa in mora, al fine del computo degli interessi e della rivalutazione.
Quanto all’appello incidentale del Comune, committente, veniva accolto esclusivamente il terzo motivo.
9.1. Il primo motivo di appello incidentale del Comune, unitamente al quinto motivo, veniva reputato infondato. Sussisteva la responsabilità del Comune, in quanto tenuto a redigere il progetto esecutivo. Si trattava, peraltro, di violazione di norme di natura imperativa. Vi era dunque responsabilità anche del Comune in relazione alla mancata individuazione della palizzata sotterranea, con riferimento a tutte e tre le sospensioni dei lavori.
9.2. Era fondato, invece, il terzo motivo di appello incidentale del Comune, in quanto, proprio per la sussistenza della corresponsabilità della Monaco s.p.a., appaltatrice, il Comune non poteva essere condannato a manlevare nella misura del 100% quanto dovuto dalla Monaco s.p.a. all’ATI.
L’appaltatrice non era, infatti, un nudus minister . Essa doveva rilevare gli errori progettuali; del resto la Monaco conosceva la palificazione prima dell’inizio dei lavori dell’ATI, prima dunque del 31/7/2002, essendo stata inviata una nota da parte della Monaco all’ATI il 19/7/2002.
Il Comune doveva pagare, allora, non l’intero importo di quanto la Monaco era obbligato a pagare all’ATI, ma solo la misura del 50% di tale importo.
9.3. Veniva rigettato il secondo motivo di appello incidentale del Comune. Vi era infatti responsabilità del Comune committente nei confronti dell’appaltatore, proprio in ragione della sussistenza del contratto d’appalto, a prescindere da patti eventuali.
9.4. Era infondato anche il quarto motivo di appello incidentale del Comune, non avendo indicato quest’ultimo quale sarebbe stata la domanda di responsabilità extracontrattuale proposta nei suoi confronti.
Venivano respinti i due motivi di appello incidentale articolati dalla Monaco s.p.a.
10.1. Era ritenuto infondato il primo motivo dell’appello incidentale della Monaco in quanto nella comparsa di costituzione, la stessa si era limitata a chiedere la condanna del Comune a garantirla per quanto avrebbe dovuto corrispondere in favore dell’ATI per la sospensione dei lavori.
La domanda relativa al risarcimento dei danni per le riserve numeri 6, 7 e 8, era stata proposta solo con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c. del 23/6/2008, quando, in subordine, era stato chiesto l’equo compenso per i maggiori oneri subiti per la palizzata, nella stessa misura richiesta dall’ATI subappaltatore.
10.2. Il secondo motivo di appello incidentale della Monaco era assorbito, essendo stato accolto l’appello principale dell’ATI, con riferimento alla penale da ritardo,
Avverso tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione principale, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta.
Ha resistito con controricorso Roma Capitale, proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso incidentale del Comune.
La società RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di Monaco sRAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo del ricorso principale la società RAGIONE_SOCIALE COGNOME deduce «violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.; nullità della sentenza per omessa motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c.».
La ricorrente principale evidenzia che l’art. 8 del contratto di subappalto prevedeva due criteri di liquidazione con riferimento a «eventuali sospensioni, perditempi».
La parte I dell’art. 8 era relativa a cause imputabili «alla Monaco s.p.a.»; la parte II dell’art. 8 era inerente a «fermi dovuti dall’ente appaltante», con differenti quantificazioni risarcitorie.
Ad avviso della ricorrente vi era stata un’erronea interpretazione da parte della Corte d’appello dell’art. 8.
Nonostante sia la Monaco s.p.aRAGIONE_SOCIALE che l’ATI reputassero applicabile la parte II dell’art. 8, la Corte d’appello aveva, invece, senza motivazione, reputato applicabile la parte I.
Eppure, nell’interpretazione del contratto occorreva tenere conto del comportamento delle parti anche posteriore alla conclusione di esso ex art. 1362 c.c.
Il motivo è inammissibile.
2.1. Infatti, anzitutto si rileva che la motivazione della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nella indicazione delle argomentazioni logico-giuridiche sottese alla decisione.
2.2. Inoltre, l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello all’art. 8 del subappalto risulta del tutto plausibile e non viene adeguatamente attaccata sotto il profilo della maieutica interpretativa, con l’indicazione di diversi ed idonei criteri ermeneutici, cui affidare una diversa interpretazione.
In ragione del principio dell’autosufficienza la ricorrente principale ha riportato il contenuto dell’art. 8 del contratto di subappalto, nel quale si legge, con riferimento alla parte I «per eventuali sospensioni lavori, perditempi, per cause dimostrate imputabili alla Monaco s.p.a. verrà riconosciuta la seguente tariffe in economia: A) Personale: al costo documentato della manodopera + il 10% per spese generali dopo il primo giorno di fermo dalle; B. Attrezzature: euro 500,00/giorno a partire dal 6º giorno di fermo totale ; C. Personale: le spese dei viaggi a/r dal cantiere e del tempo necessario a reimpiegarle su altre lavorazioni ovvero porre in cassa integrazione, con un rimborso massimo di 4 giorni».
La parte II dell’art. 8 recitava «nel caso di fermi dovuti dall’Ente Appaltante saranno riconosciute all’ATI Ing. RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE il 70% delle riserve riconosciute alla Monaco s.p.a. per fermi dovuti dalla committente della Monaco s.p.a., relativamente agli oneri riconosciuti per le lavorazioni oggetto del presente contratto e riferite al fermo attrezzatura, detratte le somme già riconosciute secondo quanto previsto ai punti A e C del presente articolo».
La Corte d’appello, con motivazione logica, aderente al dato testuale della clausola, ha con chiarezza affermato che la
disposizione prevedeva differenti criteri per la liquidazione del danno, rispettivamente nel primo e nel secondo caso.
Per la Corte territoriale, «del tutto correttamente il tribunale ha distinto l’appalto dal subappalto, costituenti due distinti ed autonomi contratti, per quanto tra loro collegati, ed è individuato quale criterio per liquidare il danno derivato all’attrice dalle tre sospensioni dei lavori suindicati solo quello stabilito dall’art. 8 prima parte».
Ha chiarito che la responsabilità era concorrente del Comune committente e della Monaco s.p.a., quale appaltatrice; sicché «risultando così dimostrata la responsabilità concorrente, rispettivamente del Comune e di Monaco s.p.a. nell’ambito delle rispettive pattuizioni contrattuali dell’appalto e del subappalto, il risarcimento del danno in favore dell’ATI e sensi dell’art. 8 del subappalto è stato correttamente eseguito applicando la sua sola prima parte».
La Corte d’appello ha anche chiarito che «la prima sospensione si è infatti verificata non già per la responsabilità esclusiva del Comune committente, mentre, solo se così fosse stato, sarebbe ammissibile la liquidazione del danno in base all’art. 8 II parte, prevista infatti nella misura del 70% delle riserve riconosciute a Monaco s.p.a.; prevista cioè quando la responsabilità della subcommittente nei confronti della subappaltatrice non potesse in alcun modo configurarsi».
A tale interpretazione, la ricorrente principale ATI, in persona della mandataria, obietta che, invece, dovrebbero applicarsi entrambe le parti dell’art. 8.
Per la ricorrente, infatti, sia la RAGIONE_SOCIALE che l’appaltatrice erano concordi che, in caso di fermo lavori imputabili a Roma Capitale, committente, «la liquidazione del danno avrebbe dovuto essere effettuata sulla scorta della II parte dell’art. 8 (in percentuale
rispetto alle riserve riconosciute dal committente principale), mentre era solo in discussione se nel caso di fermo imputabile alla Roma Capitale, potesse trovare applicazione anche il criterio di liquidazione stabilito nella prima parte del medesimo art. 8».
Per la ricorrente principale, dunque, le ragioni di danno invocate in relazione ai ritardi imputabili alla committente principale «dovevano essere liquidate (quantomeno) sulla scorta della previsione di cui alla seconda parte dell’art. 8 del contratto».
Si propone, allora, una interpretazione alternativa a quella proposta, pur plausibile, da parte della Corte d’appello, senza indicare precisi criteri ermeneutici da applicare in sostituzione di quelle adottati dalla Corte di merito.
Ed infatti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 1/3/2019, n. 6156; Cass., n. 5647 del 2019; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 24539 del 2009; Cass., sez. 3, 17/7/2003, n. 11193).
6.1. Inoltre, deve osservarsi che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., sez. 1, 20/1/2021, n 995).
Tale onere di allegazione dei corretti criteri legali di maieutica contrattuale non è stato in alcun modo ottemperato da parte della ricorrente, che si è limitata ad allegare il criterio interpretativo costituito dal comportamento delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto.
Tra l’altro, il comune committente non ha mai riconosciuto le riserve in favore della appaltatrice, come prevede l’art. 8 I parte per l’applicazione della peculiare forma di ristoro in favore della ATI subappaltatrice.
Con il primo motivo di ricorso incidentale la RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE deduce «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Errata applicazione art. 17 e 34 legge 109/1994 – Violazione articoli 47 e 130 d.p.r. 554/1999 (Regolamento sui lavori pubblici). Violazione delle norme del contratto di appalto – Violazione art. 5 del contratto di subappalto Errata applicazione art. 1176 codice civile – art. 360, primo comma, n. 4, carenza di motivazione e violazione art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.».
Per la ricorrente incidentale sarebbe erronea «la individuazione di una responsabilità progettuale di Monaco s.p.a. individuata dalla Corte di appello».
L’errore consisterebbe nell’avere la Corte d’appello dedotto la responsabilità dell’appaltatrice con riferimento al progetto esecutivo redatto dal Comune committente, sulla scorta di una mera «clausola di stile del contratto di subappalto», oltre che di una «inesistente competenza progettuale dell’appaltatore».
La Corte d’appello avrebbe dunque errato nel condannare il Comune al tenere indenne la Monaco «solo alla metà delle somme che essa è stata condannata a risarcire all’ATI».
Vari sarebbero gli errori commessi dalla Corte territoriale: il contratto di subappalto è in realtà un contratto derivato; l’appaltatore non può affidare in subappalto lavori diversi da quelli di cui al contratto d’appalto, sicché alcuna rielaborazione del progetto esecutivo poteva eseguirsi; l’appaltatore RAGIONE_SOCIALE non aveva alcun obbligo di progettazione esecutiva, che è stata redatta dal Comune e posta a base di gara; il progetto esecutivo è di competenza del Comune, non essendovi alcun obbligo di redazione del progetto a carico dell’appaltatore.
7.1. Il motivo è inammissibile.
7.2. In realtà, la ricorrente incidentale, pur dolendosi di una pretesa violazione di legge, chiede, in realtà una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
7.3. Infatti, con pieno giudizio meritale, la Corte territoriale ha ritenuto sussistere un concorso di responsabilità tra il Comune di Roma, quale committente, e la società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, in ragione delle manchevolezze del progetto esecutivo, non essendosi tenuto conto dello stato del sottosuolo, ove vi trovava una palizzata
in cemento, che aveva ostacolato in modo serio i lavori per la realizzazione della galleria sotterranea.
Ciò, nonostante la RAGIONE_SOCIALE avesse invitato la ATI a tenere conto che, in altra zona oggetto dei lavori, ma nell’ambito dello stesso lotto, già era stata riscontrata la presenza di una palizzata in cemento sotterranea.
La sospensione dei lavori, anzi le tre sospensioni dei lavori, erano tutte collegate tra loro e tutte determinate dalla presenza del sottosuolo della palizzata in cemento armato, sicché la prima sospensione era stata di 552 giorni, per il ritrovamento dei pali di calcestruzzo interrati del tracciato; la seconda sospensione di 186 giorni era stata determinata dalla rottura della tubazione realizzata dalla Monaco, con la tecnica ‘spingi tubi’, proprio perché la fresa si era incollata al terreno era stata aumentata la pressione per l’infissione dei tubi; la terza sospensione a causa del duplice cambiamento della tecnologia di scavo, sempre a causa del fermo lavori.
8. Ha chiarito, infatti, la Corte d’appello sul punto, che «la sospensione dovuta al rinvenimento della palificazione in cemento armato lungo il tragitto dello scavo per la costruzione della galleria è invece stata causata per la non corretta redazione del progetto esecutivo sia da parte del Comune che da parte di Monaco s.p.a.».
È chiaro che con l’espressione «non corretta e redazione del progetto esecutivo» anche «da parte di Monaco s.p.a.» non si è inteso affermare che anche l’appaltatrice doveva redigere un ulteriore progetto esecutivo, ma semplicemente che l’appaltatrice doveva controllare la correttezza del progetto esecutivo stesso.
Ed infatti, chiarisce la Corte territoriale, che il Comune committente era tenuto alla redazione del progetto esecutivo «ai sensi dell’art. 17, primo comma, legge del 1994 n. 199, nel testo
vigente alla data del 18/12/1998», mentre l’appaltatrice «ne era tenuta nella sua qualità di subcommittente ed espressamente ai sensi dell’art. 5 punti 7 ed 8 del contratto di subappalto».
La chiarificazione avviene nel passaggio successivo della motivazione ove si afferma che l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto effettuare le necessarie verifiche nel sottosuolo, e quindi non redigere un nuovo e diverso progetto esecutivo.
Afferma la Corte d’appello che «queste ultime pattuizioni, contrariamente all’assunto del tribunale addossavano alla Monaco s.p.a. l’obbligo della ‘preventiva individuazione e spostamento, se possibile, dei servizi sotterranei o aerei che interferiscono con l’esecuzione delle opere, comprese quelle interessate dalle tensioni o sollecitazioni di cavo e di spinta’, nonché la specifica ‘progettazione esecutiva’ « .
Scendendo ancora maggiormente nel dettaglio la Corte territoriale sottolinea che l’appaltatrice Monaco «in base alla subappalto, era cioè tenuta ad eseguire le opere edili funzionali ad una serie di lavori e di attività in essi compresi l’individuazione e lo spostamento dei servizi sotterranei ed aerei che potevano interferire con la realizzazione della galleria».
8.1. Ma anche ove si volesse reputare erronea la porzione di motivazione della Corte d’appello relativa al richiamo alle disposizioni del subappalto, come pure al progetto esecutivo, vi è l’ulteriore argomentazione della Corte territoriale per cui «la galleria appaltata all’odierna appellante doveva realizzarsi lungo il tracciato intersecante importanti sovrastrutture stradali, compreso l’accesso alla INDIRIZZO del GRA di Roma, presso il quale era stato realizzato anche uno muro di sostegno della scarpata adiacente la rampa».
L’obbligo di verifica da parte dell’appaltatrice sorgeva, dunque, anche in forza della presenza di tale muro di sostegno della scarpata.
Da ciò, la Corte di merito ricava che «il luogo, quindi, oltre ad essere efficacemente esaminabile dalle mappe e dagli elaborati progettuali, era molto probabile contenesse, nel suo sottosuolo, materiali di varia natura, perché era stato già interessato da opere infrastrutturali».
Di qui, l’ulteriore affermazione per cui l’appaltatrice COGNOME, quale subcommittente, «avrebbe dovuto concorrere a realizzare, nell’ambito di più vasto progetto predisposto dal Comune, il progetto più idoneo per la realizzazione della galleria appaltata dall’ATI».
Si chiarisce, poi, che la RAGIONE_SOCIALE, quale appaltatrice, e, contemporaneamente subcommittente nei confronti dell’ATI, «era obbligata a verificare la validità tecnica del progetto approntato al committente».
Pertanto, ciò che la Corte d’appello imputa l’appaltatrice è stato quello di non aver verificato adeguatamente la validità tecnica del progetto redatto dal Comune committente, nonostante la presenza in loco di un muro di sostegno della scarpata adiacente la rampa, che avrebbe già dovuto, da solo, esigere la necessaria attenzione.
Si richiama proprio una pronuncia di questa Corte, n. 28812 del 2013, relativa agli obblighi di diligenza dell’appaltatore nell’esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito al committente.
Di qui, la responsabilità concorrente, sia dell’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, sia dell’ente committente, Comune di Roma.
Del resto, la Corte d’appello non ha fatto altro che applicare i principi consolidati di legittimità sul tema.
Si è, infatti, ritenuto che nell’appalto, sia pubblico che privato, rientra tra gli obblighi dell’appaltatore, senza necessità di una specifica pattuizione, il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del
suolo su cui l’opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall’esecuzione dell’opera, dipende il risultato promesso, sicché la scoperta in corso d’opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l’esecuzione dei lavori, non può essere invocata dall’appaltatore per esimersi dall’obbligo di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul quale l’opera deve essere realizzata e per pretendere una dilazione o un indennizzo, essendo egli tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla ulteriore durata dei lavori, restando la sua responsabilità esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali (Cass., sez. 1, 26/2/2020, n. 5144).
Si è anche osservato che, in tema di lavori pubblici, la l. n. 109 del 1994 e il d.P.R. n. 554 del 1999, applicabili ” ratione temporis “, prevedono l’obbligatoria acquisizione da parte della stazione appaltante della relazione geologica tra gli atti progettuali della gara; in assenza di essa, tuttavia, ove venga ugualmente stipulato il contratto di appalto, l’impresa appaltatrice non può agire per la risoluzione ex art. 1453 c.c. facendo valere l’inadempimento della committenza nella precedente fase di gara, poiché rientra tra i suoi obblighi di diligenza controllare la validità tecnica del progetto e, nella fase successiva, la stessa impresa è tenuta a segnalare le omissioni progettuali, ai fini dell’adozione di varianti in corso d’opera, in adempimento del dovere di collaborazione che presiede allo svolgimento del rapporto (Cass., sez. 1, 15/2/2021, n. 3839).
L’appaltatore può andare esente da responsabilità solamente ove le condizioni geologiche non risultino in concreto accertabili con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure ‘normali’ avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell’attività esercitata
(Cass., sez. 2, 12/6/2018, n. 15321; Cass., sez. 2, 21/11/2016, n. 23665).
Con l’ulteriore corollario per cui in materia di appalto, rientra tra gli obblighi di diligenza dell’appaltatore esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, di cui costituisce parte integrante – ai sensi del d.m. 11 marzo 1988, che disciplina i progetti relativi a gallerie e manufatti sotterranei – la relazione contenente i risultati delle indagini geologiche fondanti la scelta dell’ubicazione e del tracciato dell’opera e la previsione dei metodi di scavo, sicché permane in sede esecutiva l’obbligo dell’appaltatore di segnalare al committente le inesattezze delle informazioni risultanti dalla relazione geologica, al fine di promuovere le modifiche progettuali necessarie per la buona riuscita dell’opera (Cass., sez. 1, 31/12/2013, n. 28812).
Pertanto, in caso di appalto pubblico, poiché la validità di un progetto di una costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo dell’appaltatore deve essere esteso a tale aspetto del progetto, ove questo gli fosse stato fornito dal committente, dovendo egli rispondere dei vizi e delle deficienze dell’opera, pur se ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione. I limiti a tale responsabilità sono quelli generali in tema di responsabilità contrattuale, rilevando il difetto dell’ordinaria diligenza (Cass., sez. 1, 18/2/2008, n. 3932).
Per tale ragione, solo se le condizioni geologiche non fossero state accertabili con l’ausilio di strumenti e conoscenze normali l’appaltatore poteva andare esente da responsabilità. Di qui, la conclusione per cui la ‘sorpresa geologica’ quale sarebbe stata la scoperta in corso d’opera di peculiarità geologiche del terreno, non può essere invocata dall’appaltatore per esimersi dall’obbligo, che gli
è propria, di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno (Cass., sez. 1, 18/2/2008, n. 3932).
10. Che si trattasse, poi, di accertamento che poteva essere effettuato dalla società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE senza particolari sforzi, ma con l’ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali, lo si evince proprio dalla missiva spedita dalla Monaco stessa all’ATI, il 19/7/2002.
In tal modo, «con la nota inviata all’ATI 19/7/2002 Monaco s.p.a. l’aveva resa edotta che durante l’esecuzione di uno ‘spingi tubo’, nel corso dei lavori del collettore della Maglianella, nello stesso lotto era stata rilevata la presenza di pali in calcestruzzo, nonostante il progetto non avesse previsto l’esistenza».
Anche qui, si è in presenza di un pieno giudizio meritale, insuscettibile di ulteriori valutazioni in sede di legittimità.
Nella nota, l’appaltatrice COGNOME aveva aggiunto che l’ATI «avrebbe potuto considerare ciò quale possibile imprevisto».
Di qui la precisazione della Corte d’appello per cui «ne deriva che il subcommittente, anche se nei tempi ora visti, aveva verificato l’esistenza di tale inconveniente ed avrebbe quindi potuto rivedere il subappalto e la sua esecuzione, anche prima dell’inizio dei lavori».
Proprio per tale ragione – ha aggiunto la Corte territoriale – «le tre sospensioni dei lavori da parte dell’ATI – tutte in effetti causate principalmente dalla presenza di tale non prevista palificazione sono quindi in pari misura cagionate dalla condotta colposa in fase progettuale del Comune; nonché in fase di verifica progettuale e preliminare rispetto all’inizio dei lavori, dalla condotta colposa di Monaco s.p.a.»; di talché «tali reciproche condotte colpose non possono essere sottaciuti nei rapporti tra committente ed appaltatore».
11. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la Monaco s.p.aRAGIONE_SOCIALE deduce «art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.. Omesso esame di un fatto decisivo sulla nota 19/7/2002 di Monaco s.p.a.- Art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Errata applicazione art. 17 e 34 legge 109/1994 – Violazione articoli 47 e 130 d.p.r. 554/1999 – Violazione delle norme del contratto di appalto – art. 360, primo comma, n. 4, carenza di motivazione e violazione art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato la responsabilità dell’appaltatore «sulla base di una lettera con cui lo stesso segnala al subappaltatore la possibilità che nell’esecuzione dell’appalto vi possa essere la presenza di interferenze, poiché già rinvenuto».
Tale lettera sarebbe stata valutata incorrendo in «un evidente omesso esame di un fatto decisivo».
Ad avviso della ricorrente incidentale, infatti, la lettera «si riferisce ad un altro subappalto e ad altra zona di lavori del tutto estranee ai lavori in questione, mentre la Corte di appello invece aveva erroneamente ritenuto che la lettera fosse indice della conoscenza da parte di Monaco della presenza dei pali nel sottosuolo di intervento nel subappalto RAGIONE_SOCIALE».
Nella lettera, poi, si faceva riferimento alla possibilità da parte dell’ATI di «voler considerare tale remota eventualità».
In tal modo, però, l’ATI avrebbe evoluto semplicemente avvertire il subappaltatore «in modo che lo stesso, alla luce della sua esperienza, adottasse tutte le specifiche precauzioni e tutti gli eventuali provvedimenti necessari».
12. Il motivo è inammissibile.
12.1. Da un lato si rileva che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non soltanto in senso grafico, ma anche
nella indicazione delle argomentazioni e delle ragioni logiche e giuridiche, poste alla base della decisione.
12.2. Dall’altro, è evidente che la ricorrente incidentale chiede una nuova e diversa valutazione degli elementi istruttori, e segnatamente della lettera inviata dalla Monaco s.p.a. all’ATI, il 19/7/2002, con la richiesta di una interpretazione del documento diversa da quella fatta propria dalla Corte d’appello.
Non si tratta, allora, dell’omesso esame di un fatto decisivo, ma semplicemente di una diversa lettura dello stesso documento istruttorio.
Tra l’altro, la motivazione della Corte d’appello è sorretta anche da altre argomentazioni, sicché l’omesso esame di tale documento non sarebbe neppure decisivo.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE lamenta «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto -Errata applicazione art. 17 e 34 legge 109/1994 – Violazione articoli 47 e 130 d.p.r. 554/1999 (Regolamento sui lavori pubblici) – Violazione art. 5 del contratto di subappalto – errata applicazione art. 1176 codice civile – art. 360, primo comma, n. 4, carenza di motivazione e violazione art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. – errata valutazione dei profili di responsabilità del rapporto di subappalto».
Sostiene il ricorrente incidentale che sarebbe erronea la «conseguente valutazione effettuata dalla Corte di appello dei rapporti tra appaltatore e subappaltatore».
La responsabilità dell’appaltatrice Monaco dovrebbe essere annullata o almeno ridotta al 50%, dovendosi tener conto della responsabilità anche dalla subappaltatrice, che aveva gli stessi obblighi di verifica del progetto esecutivo, che erano in capo alla appaltatrice Monaco.
Se, dunque, l’appaltatrice Monaco aveva l’obbligo di verifica del progetto esecutivo e, soprattutto, avendo essa stessa redatto la missiva del 19/7/2002, avrebbe dovuto accorgersi della presenza dei pali in calcestruzzo sotterranei, la stessa negligenza dovrà essere imputata anche alla subappaltatrice, che era stata proprio la destinataria della nota del 19/7/2002 da parte della Monaco s.p.a.
La Corte d’appello avrebbe errato, allora, nel considerare Monaco responsabile dei danni al 100% nei confronti del subappaltatore «nonostante invece, nella ricostruzione dei fatti effettuata dalla stessa Corte di appello, lo avesse responsabilizzato al riguardo imponendogli di organizzare il lavoro tenendo conto di tale eventualità».
Del resto, per la giurisprudenza di codesta Corte (si cita cass. n. 3659 del 2009) «il subappaltatore deve segnalare al subcommittente gli inconvenienti derivanti dalle direttive ricevute».
14. Tale motivo è inammissibile.
In realtà, deve sottolinearsi la novità del motivo, in quanto di tale circostanza non si fa alcuna menzione della motivazione della sentenza della Corte d’appello.
Pertanto, la ricorrente incidentale avrebbe dovuto indicare in quale momento del giudizio di primo grado e poi nel successivo giudizio d’appello abbia dedotto la corresponsabilità del subappaltatore della verificazione dei danni.
Per questa Corte, infatti, il concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227, comma 1, c.c. integra un’eccezione in senso lato ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio anche in appello, fermo restando il limite del giudicato interno, sicché, qualora sulla questione vi sia stata una statuizione di primo grado, il giudice di secondo grado può pronunciarsi solo se la decisione gli sia stata devoluta mediante l’impugnazione – Nella specie, la S.C. ha
dichiarato inammissibile il motivo di ricorso volto a censurare la decisione di merito per non aver tenuto conto del comportamento del danneggiato ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., senza specificare se la questione fosse stata trattata in primo grado e conseguentemente assoggettata a rituale impugnazione da parte del ricorrente (Cass., sez. 3, 21/10/2024, n. 27258).
Tra l’altro trattasi di giudizio di merito pieno della Corte di appello, in ordine alla corresponsabilità di Comune e Monaco s.p.a., con esclusione di responsabilità dell’ATI subappaltatrice.
Senza contare che la subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE pur avendo ricevuto la nota del 19/7/2002, aveva chiesto alla RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE, proprio di rimuovere i manufatti in calcestruzzo presenti nel sottosuolo, senza esito.
Con il quarto motivo di ricorso incidentale si deduce la «violazione art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Errore della sentenza sulla penale di subappalto, omessa valutazione della CTU. Art. 360, primo comma, n. 4. Carenza di motivazione e violazione art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistente il ritardo nella conclusione dei lavori da parte della subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE.
Ciò per varie ragioni; perché i maggiori tempi di esecuzione erano dipesi dei cambi di tecnologia di scavo; perché comunque vi era stata una proroga del termine di conclusione dei lavori di otto mesi; perché dal collaudo non risultavano applicate penali né il subappaltatore risulta messo in mora; perché «dalla CTU emerge inoltre che i maggiori tempi esecutivi sono dipesi anche dai cambi di tecnologia di scavo».
Per la ricorrente incidentale, dunque, l’ATI dovrebbe essere condannata al pagamento della penale contrattuale, come stabilito dal tribunale in prime cure.
La Corte territoriale avrebbe trascurato gli accertamenti della CTU riportati nella sentenza di primo grado.
Il giudice di prime cure, seguendo la CTU, aveva accertato che il cambio di tecnologia di scavo derivava proprio dal fermo lavori «di cui alla prima sospensione e dall’assenza di manutenzione da parte della ditta subappaltatrice che aveva determinato la necessità di variante perché le tubazioni si erano rotte e la fresa si era incollata al terreno proprio per il tempo di fermo decorso di 552 giorni».
16. Il motivo è inammissibile.
A prescindere dalla reiterata deduzione di nullità della sentenza per assenza di motivazione, che, come già si è spiegato altrove non può trovare seguito, la ricorrente incidentale chiede ancora una nuova e diversa valutazione dell’intero materiale istruttorio, già compiutamente effettuata dalla Corte di merito, non consentita in questa sede.
Tra l’altro, la Corte d’appello, con chiarezza ha manifestato le ragioni per cui non sussisteva il ritardo prospettato dalla ricorrente incidentale in capo alla subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale ha evidenziato che effettivamente i lavori, come risultava dalla CTU, sono stati eseguiti con un ritardo di 158 giorni, tuttavia le opere realizzate dall’ATI erano state concluse il 12/9/2005, «cioè entro il termine di ultimazione del 30/11/2005, come prorogato in sede di perizia di variante n. 5».
Ha aggiunto la Corte d’appello che «dalla CTU emerge inoltre che maggiori tempi esecutivi sono dipesi anche dei cambi di tecnologia di scavo (lo scavo a cielo aperto era condotto da Monaco s.p.a.), che
ha determinato il riconoscimento in capo a Monaco s.p.a. della proroga di mesi 8».
Inoltre, sempre con giudizio pienamente meritale, la Corte territoriale ha evidenziato che «dal collaudo non risultano applicate penali, né il subappaltatore risulta messo in mora».
Anzi, ancor più nettamente la Corte d’appello ha affermato che «la maggior durata del subappalto è stata cioè evidentemente influenzata dalle suindicate vicende dell’appalto e dai maggiori tempi di quest’ultimo, per i quali l’appaltatore non ha in alcun modo risposto nei confronti dell’appaltante poiché gli è stata accordata proroga»; di qui la conclusione per cui «il ritardo nei lavori del subappalto, non essendo stato colposo, non può dar luogo al risarcimento del danno in favore di Monaco s.p.a.».
Con il quinto motivo di ricorso incidentale la Monaco s.p.a. deduce «art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Errata applicazione art. 163 e 269 c.p.c. per la reiezione dell’appello incidentale di Monaco s.p.a. relativo alla inammissibilità delle domande in primo grado di Monaco s.p.a. sulle riserve».
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibili, perché tardive, le domande di risarcimento del danno di Monaco, quale appaltatrice, nei confronti del Comune committente, con riferimento alle riserve numeri 6,7 e 8.
La Corte territoriale ha reputato che la domanda non era ricompresa nella comparsa di risposta della Monaco s.p.a.
In realtà, tale domanda – per la ricorrente incidentale – sarebbe stata «formulata nell’atto di citazione di terzo».
Inoltre, la modificazione della domanda è comunque avvenuta con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., sicché, alla stregua della
pronuncia della Corte di cassazione n. 12310 del 15/6/2015, la stessa doveva essere consentita.
18. Il motivo è inammissibile.
18.1. La Corte d’appello ha correttamente ritenuto la novità della domanda relativa al risarcimento del danno chiesto dalla Monaco s.p.a., quale appaltatrice, nei confronti del Comune committente, in quanto non proposta con la comparsa di costituzione avverso la domanda di risarcimento dei danni presentata dall’ATI.
La ricorrente incidentale, invece, non confrontandosi con la decisione della corte d’appello, ha affermato che la domanda di risarcimento del danno relativa alle riserve era contenuta, non nella comparsa di costituzione, ma nell’atto di citazione del terzo Comune di Roma.
La COGNOME ha evidenziato nel motivo di ricorso in cassazione che nell’atto di citazione del terzo nei confronti del Comune di Roma, infatti, avrebbe chiesto che l’autorità giudiziaria «dichiari il Comune di Roma tenuto a manlevare la Monaco s.p.aRAGIONE_SOCIALE nei confronti delle pretese avanzate dalla subappaltatrice, condannando la stazione appaltante al risarcimento dei maggiori oneri sopportati anche dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria dell’ATI appaltatrice, come risultanti dalle riserve ritualmente e tempestivamente iscritte negli atti contabili dell’appalto».
Per la ricorrente incidentale «l’oggetto della domanda spiegata verso il terzo ( petitum ) è infatti delimitato dal contenuto dell’atto di chiamata del terzo in causa, non dall’originaria comparsa di costituire risposta, ai sensi dell’art. 269 c.p.c.».
La COGNOME ha persino rilevato che «la stessa formula è riportata a pag. 2 della comparsa di costituzione del Comune, che nel contestare l’integrale fondatezza della pretesa, ha inteso sottrarsi
all’intero onere risarcitorio, tanto verso RAGIONE_SOCIALE che verso l’appaltatore in proprio».
In realtà, risulta dagli atti del fascicolo che nella comparsa di costituzione in prime cure la COGNOME si è limitata a chiedere la «manleva» nei confronti del Comune, senza aggiungere altro («La RAGIONE_SOCIALE chiede lo spostamento dell’udienza fissata per il 7 febbraio 2008 ad altra data in modo da poter chiamare in causa il Comune di Roma affinché sia condannato a manlevare la RAGIONE_SOCIALE, in caso di condanna della medesima al risarcimento del danno lamentato dall’ATI La Falce per la sospensione dei lavori derivante dal rinvenimento dei pali in calcestruzzo»).
Non si rinviene, dunque, alcuna domanda di risarcimento in relazione alle riserve di cui ai numeri 6, 7 e 8.
Nella comparsa di costituzione di prime cure del Comune, poi, all’esito della chiamata in causa da parte della Monaco, mancano proprio le righe finali relative alla richiesta del risarcimento derivante dalle riserve.
Si legge, infatti, a pagina due di tale comparsa di costituzione, nel riportare il contenuto dell’atto di citazione di terzo articolato dalla Monaco: «dichiarare il Comune di Roma tenuto a manlevare la Monaco s.p.a. nei confronti delle pretese avanzate dalla subappaltatrice, condannando la stazione appaltante al risarcimento dei maggiori oneri sopportati anche dalla Monaco s.p.aRAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria dell’ATI appaltatrice».
Risulta assente proprio il riferimento «come risultanti dalle riserve ritualmente e tempestivamente iscritte negli atti contabili dell’appalto».
Del resto, il Tribunale di Roma, nella sentenza del 5/11/2013, rileva, da un lato, che la Monaco ha chiamato in causa il Comune di Roma «per esserne manlevata in caso di soccombenza» e, dall’altro,
«l’inammissibilità, in quanto domanda nuova della domanda della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Comune di Roma aggiunta in sede di precisazione delle conclusioni alla domanda di manleva originariamente formulata e tenuta ferma nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., ossia della domanda di condanna del Comune di Roma ‘al risarcimento dei maggiori oneri sopportati anche dalla RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria dell’ATI appaltatrice, come risultanti dalle riserve iscritte negli atti contabili dell’appalto, con rivalutazione ed interessi dall’epoca media di produzione dei danni suddetti fino all’effettivo soddisfo».
Con il primo motivo di ricorso incidentale Roma Capitale deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – Errata applicazione legge 109/1994 – Errata applicazione legge di gara – Errata applicazione articoli 112 e 167 c.p.c. – Nullità della sentenza, art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – Violazione articoli 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c.».
Con il secondo motivo di ricorso incidentale Roma Capitale deduce la «nullità della sentenza, art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – Omessa valutazione critica degli scritti difensivi – Omessa motivazione – Violazione articoli 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e 114 disposizioni di attuazione c.p.c.».
Con il terzo motivo di ricorso incidentale Roma Capitale deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di legge, art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – Errata applicazione legge 109/94 – Nullità della sentenza, art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Violazione articoli 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c.».
Con il quarto motivo di ricorso incidentale si deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360, primo
comma, n. 1, c.p.c. – Violazione art. 132 c.p.c. – Nullità della sentenza, art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – Violazione articoli 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c.».
Poiché, come detto, il ricorso principale dell’ATI è inammissibile, il ricorso incidentale di Roma Capitale diviene inefficace ex art. 334 c.p.c., risultando tardivo (il ricorso incidentale di Roma Capitale è stato spedito il 5/4/2019, mentre il termine lungo per la proposizione del ricorso per cassazione scadeva il 2/4/2019).
Le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti RAGIONE_SOCIALE e Roma Capitale, sussistendone giusti motivi.
Vanno compensate interamente anche le spese tra RAGIONE_SOCIALE e la Monaco sRAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, stante la reciproca soccombenza.
In ossequio al principio della soccombenza le spese del giudizio tra la Monaco s.p.aRAGIONE_SOCIALE e Roma Capitale vanno poste a carico della prima e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale di Monaco sRAGIONE_SOCIALE dichiara inefficace il ricorso incidentale di Roma Capitale.
Compensa interamente tra RAGIONE_SOCIALE e Roma Capitale le spese del giudizio di legittimità.
Compensa interamente tra RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità
Condanna la RAGIONE_SOCIALE a rimborsare in favore di Roma Capitale le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 15.200,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 %, Iva e Cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente principale COGNOME e della ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione