SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1238 2025 – N. R.G. 00000205 2022 DEPOSITO MINUTA 31 07 2025 PUBBLICAZIONE 11 08 2025
Ruolo Generale nr.205/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari, Sezione Seconda Civile, riunita in Camera di consiglio, con l’intervento dei magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere
dott. NOME COGNOME
Giudice NOME Relatore
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appello, come innanzi rubricata, promossa
Da
in persona del legale rappresentante, con sede in San Severo ed elettivamente domiciliata in Foggia alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa in forza di procura in atti
appellante
Contro
in persona del legale rappresentante, con sede in San Severo ed ivi elettivamente domiciliata alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura in atti
appellata
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Oggetto : appello avverso la sentenza n.1712/2021, resa dal Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, in data 6/7/2021, pubblicata in data 8/7/2021, a definizione del giudizio n.354/2014 r.g., promosso da ll’ odierna appellata in danno de ll’ o dierna appellante ed avente ad oggetto ‘ risoluzione contratto e risarcimento danni ‘
Conclusioni : così riassunte con le rispettive note di trattazione scritta depositate dalle parti costituite , in previsione dell’udienza di p.c. del 22/3/2024, trattata con modalità cartolare-telematica: per la società appellante: ‘ In totale riforma della sentenza impugnata, voglia rigettare la domanda spiegata in primo grado dall’odierna appellata nei confronti dell’odierna appellante in quanto inammissibile, improponibile, improcedibile, oltre che infondata e non provata; con vittoria di spese e compensi del doppio grado del giudizio oltre gli accessori di legge ‘ ; per la società appellata, si insisteva per il rigetto dell’avverso gravame con condanna alla refusione delle spese del grado.
Svolgimento del processo
L’odierna società appellata, con contratto di appalto del 15/12/2011, commissionava all’odierna società appellante, l’esecuzione di lavori all’interno di un proprio capannone industriale, finalizzati alla rimozione dei ‘vasi vinai’ esistenti al solo piano rialzato, l’inesatta esecuzione degli stessi co n produzione di ingenti danni, det erminava il giudizio in esame.
Con la del 2014, invero, la predetta società committente lamentava citazione introduttiva un grave inadempimento contrattuale della società appaltatrice alle proprie obbligazioni contrattuali, avendo la stessa arrecato danni alle strutture esistenti estranee alla commissionata opera di rimozione e demolizione, come accertato da allegata relazione peritale di parte, per il cui risarcimento, vanamente esperiti tentativi di conciliazione e ritualmente proposto un procedimento di ATP volto ad accertare l’ines atta esecuzione in diretto rapporto causale con i danni contestati, , introduceva il giudizio in esame volto alla declaratoria di risoluzione contrattuale e conseguente risarcimento dei danni, quantificati nella somma di €84.633,70.
Si costituiva la società convenuta la quale, nel contrastare la ricostruzione fattuale ex adverso prospettata, eccepiva lo squilibrio delle previsioni contrattuali e la violazione dell’art.1341 2° comma c.c., allegando, altresì, quale pretesa esimente di propria responsabilità, la fatiscenza dell’intero stabile esistente, quale effettiva causa efficiente, in larga parte, dei danni occorsi.
Allegava, inoltre, di non aver ricevuto alcun compenso per le prestazioni eseguite e di aver, a sua volta, subito danni in conseguenza del fermo illegittimo ed unilaterale dei lavori commissionati.
Così radicatosi il giudizio, istruito lo stesso, previa acquisizione del fascicolo di ATP, con escussione di testi addotti da parte attrice ed all’esito di un vano percorso conciliativo tentato dal Tribunale ex art.185 c.p.c. per il rifiuto di parte convenuta, lo stesso perveniva all’udienza dec isoria del 23/3/2021 nel corso della quale e con la disposta modalità di trattazione cartolare, lo stesso veniva riservato in decisione ex art.190 c.p.c.
Con successiva sentenza del 6/7/2021, l’adito Tribunale monocratico definiva la controversia accertando la responsabilità della società convenuta nella causazione dei danni occorsi agli immobili di proprietà attorea e, per l’effetto, dichiarava risolto il contratto di appalto del 15/11/2021 per grave inadempimento imputabile alla società convenuta, condannando la stessa al pagamento in favore della società attrice della somma di €39.591,66 oltre iva, rivalutazione ed interessi come per legge ed oltre alla rifusione delle spese di lite, comprese quelle del procedimento di ATP, come in dispositivo liquidate.
Con pertinente motivazione, esponeva l’estensore le ragioni addotte a suppo rto delle adottate soluzioni decisorie.
Preliminarmente, rimarca il Tribunale la rilevanza, nel caso di specie, vertendosi in tema di inadempimento contrattuale, del principio, in punto di ripartizione dei rispettivi oneri probatori sancito con la nota sentenza delle Sezioni Unite n.13533/2001 in forza del quale al creditore che agisca per la risoluzione del contratto da inadempimento e conseguente risarcimento del danno sia solamente richiesto il richiamo alla fonte, negoziale o legale, dell’obbligazione rimasta inadempiuta senza alcun ulteriore onere di provare
l’inadempimento della controparte sulla quale, viceversa, grava l’onere di comprovare il fatto estintivo della pre tesa altrui, costituito dall’avvenuto adempimento.
Applicando il rilevante principio di diritto di cui innanzi, riscontrava il Tribunale l’avvenuto assolvimento da parte attrice dell’onere sulla stessa gravante, costituito sia dalla produzione del cont ratto di appalto e sia l’allegato inadempimento di parte convenuta, trovando tale allegazione conferma nel proposto ed acquisito procedimento di ATP.
A tale riguardo, invero, valorizzava il primo giudice gli esiti peritali suddetti e, in particolare, le conclusioni cui perveniva il designato CTU all’esito dei sopralluoghi effettuati e documentai da copiosa allegazione fotografica, secondo cui si accertava che la società committente avesse subito notevoli danni strutturali al manufatto di proprietà, determinati proprio dalla ‘ cattiva ed incauta esecuzione dei lavori di demolizione da parte del l’impresa resistente’ con accertamento di danni analiticamente elencati e quantificati, in contradittorio co n le parti, nella somma di €36.585,00 oltre iva, all’esito di percorso ricognitivo cui il primo giudice aderiva ‘in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato e in continua aderenza ai documenti agli atti, nonché nel pieno rispetto del contradittorio’.
A fronte di tali emergenze riteneva il Tribunale infondate le eccezioni difensive proposte dalla società convenuta.
In particolare, con riguardo alla eccezione ex art.1341 2° comma c.c., rilevava la estraneità della vicenda contrattuale in esame dall’ambito applicativo della suddetta disposizione normativa, richiamando, a supporto, concorde giurisprudenza di legittimità.
Parimenti destituita di pregio si configurava l’ulteriore tesi difensiva con cui si prospettava un disequilibrio delle rispettive prestazioni dedotte in contratto, rilevando, in proposito, la tassatività dei rimedi previsti dall’ordinamento per rimediare al paventato squilibrio, originario o sopravvenuto, del regolamento contrattuale, tanto più nel caso di specie, trattandosi di contraenti entrambi imprenditori, in assenza di alcun riscontro probatorio circa la contestata asimmetria tra gli stessi.
Quanto alla ventilata eccezione d’inadempi mento pure proposta dalla convenuta, ne rilevava l’assoluta genericità, non avendo allegato né, tantomeno, provato che il diritto al
pagamento del corrispettivo fosse effettivamente maturato sulla base dello stato di avanzamento dei lavori effettuati.
Non mancava, poi, di rilevare il Tribunale, una tardiva eccezione di carenza di legittimazione attiva della società attrice sulla scorta di un’asserita non provata in atti della titolarità del manufatto danneggiato, in ogni caso confutata dai puntuaoli accertamenti preliminari effettuati dal CTU e dalle allegate risultanze catastali in quella sede acquisite.
In definitiva, quindi, accertata la contestata responsabilità contrattuale della conveniva, il primo giudice ne statuiva, previa declaratoria di risoluzione del contratto per grave inadempimento alla stessa ascrivibile, l’obbligo risarcit orio nei termini di cui innanzi con le conseguenziali statuizioni condannatorie alla refusione delle spese processuali, disat tendendo l’ulteriore istanza risarcitoria di parte attrice, quantificata nella somma di €40.000,00,m a titolo di ulteriore risarcimento dei danni ‘da ritardo nell’esecuzione de lle opere appaltate’ rilevandone l’assoluta genericità della domanda, sotto il p rofilo della necessaria allegazione, prima ancora che sotto quello probatorio, aggiungendo la preclusa applicazione della penale pattuita per ogni giorno di ritardo, non avendo parte attrice richiestone l’applicazione, neppure come parametro pe r la liquidazione del danno in via equitativa.
Infine, riteneva il Tribunale, quale diretta conseguenza del riscontrato complessivo contegno processuale assunto da parte convenuta, anche con specifico riferimento alla mancata adesione della proposta conciliativa (in cui si ipotizzava una somma notevolmente inferiore delle spese a rifondersi in favore della parte attrice), senza addurre alcuna valida giustificazione, applicare ex officio la disposizione ex art.96 3° comma c.p.c., con ulteriore condanna risarcitoria in favore di parte attrice, di una somma di €5.000,00.
Avverso la predetta sentenza, proponeva la il gravame che ci occupa, a supporto del quale articolava una duplice censura.
In particolare, con un primo motivo censurava una prospettata errata valutazione degli elementi istruttori in primo grado, mentre, con un secondo motivo si doleva per una errata applicazione in punto di condanna alle spese processuali ed errata applicazione
dell’art.96 c.p.c. in tena di sanzione per lite temeraria, non mancando d’invocare una sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza im pugnata.
Si costituiva la società appellata, eccependo preliminarmente la inammissibilità formale dell’avverso gravame sotto il duplice profili di cui agli artt.342 e 348 bis c.p.c. contestando, nel merito, la palese infondatezza dei predetti motivi d’impugnazione ed insistendo per la integrale conferma della gravata sentenza con spese del grado a carico dell’incauta e temeraria appellante.
All’esito dell’udienza di prima comparizione del 27/5/22, disattese le contrapposte eccezioni preliminari per mancata reiterazione espressa delle stesse, la causa perveniva alla epigrafata udienza decisoria, trattata con la disposta modalità cartolare, nel corso della quale, acquisite le rispettive note di trattazione scritta, veniva riservata in decisione ex art.190 c.p.c.
Motivazione della decisione
Deve prioritariamente disattendersi l’ulteriore eccezione di inammissibilità formale ex art.342 c.p.c. proposta dalla società appellante, riscontrando la chiara specificazione dei due motivi d’impugnativa, a nulla rilevando l’omessa allegazione delle parti della sentenza specificamente attinte dal gravame, reputandosi, come da consolidata giurisprudenza di legit timità, sufficiente ad avallare l’ammissibilità formale del gravame , senza ricorrere a formule ‘sac r amentali’ l’enunciazione di una parte volitiva s uffragata da pertinente parte argomentativa, presupposto ritenuto sussistente nel testo del gravame in esame.
Venendo, quindi al merito dello stesso, deve il Collegio evidenziarne una evidente infondatezza, configurandosi, in verità, il gravame quale mera reiterazione delle eccezioni difensive già proposte in primo grado e motivatamente disattesa dal primo giudice, i n disparte la denominazione dei due motivi di impugnativa.
Il richiamo ad un generico ‘squilibrio contrattuale’ non trova invero alcun riscontro logico, pratico e documentale, atteso che la ventilata asimmetria contrattuale, oltre ad essere esclusa, nel caso di specie, dalla pari qualifica imprenditoriale di entrambe le parti, con conseguenziale insussistenza di clausole vessatorie nei rapporti B2B (business to business) non può configurarsi, come preteso dall’appellante, nell’asserita predispos izione unilaterale del contratto da parte della società committente, in tesi lesiva dell’autonomia
negoziale di essa appaltatrice e né, tantomeno, nella ritenuta incongruità del prezzo pattuito per l’opera appaltata, non risultando minimamente violato il principio di utilità marginale, in forza del quale ciascuna parte deve essere posta nelle condizioni di poter esprimere la propria reale preferenza al contratto.
In definitiva, non è dato ravvisarsi nel regolamento negoziale originario alcuna situazione di simmetria ‘patologico -fattuale’, dovendo invece preservarsi il fondamentale principio dell’autonomia negoziale e dell’utilità marginale nel senso che nulla imponeva alla società appaltatrice di aderire al regolamento negoziale propostole dalla committente, avendo la stessa società appaltatrice ravvisato la propria utilità marginale nella corretta esecuzione della prestazione appaltatagli.
La reiterata eccezione di inefficacia delle clausole contrattuali per mancata specifica accettazione scritta è fattivamente inconferente al contratto in esame atteso che, anche ammessa la rilevanza della stessa a prescindere dalla qualifica soggettiva dei contraenti, non è dato ravvisare nella regolamentazione contrattuale alcuna clausola di recesso unilaterale ad nutum in favore esclusivo di una parte senza previsione di indennizzo o preavviso, né clausole senza obblighi minimo di acquisto, ovvero pattuizioni che impongano ad una parte obblighi rigidi (come il mantenimento di una capacità produttiva riservata o prezzi fissi nel tempo e né, infine alcuna clausola denotante un’ipotesi di abuso di dipendenza economica ex art.9 L.192/1998.
Quanto poi ai pretesi interventi lavorativi effettuati e rimasti di fatto impagati, effettuandoli con la dovuta celerità indicata in contratto con compimento dell’opera entro il termine di soli quattro mesi dalla stipula, è agevole riscontrare che, presumibilmente proprio l’inesatta esecuzione di tali interventi det e rminava il rilevante danno all’intera struttura della committente, come da evidenziata diretta causalità degli stessi con i gravi danni strutturali accettati dal ctu.
A nulla poteva rilevare, quale esimente di responsabilità diretta, né la inesistenza di una vera e propria direzione lavori e né, tantomeno, la vent ilata ‘fatiscenza’ della stessa struttura, potendo la stessa facilmente apprendersi in via preventiva dall’appaltatrice in sede di presumibile sopralluogo dei luoghi prima di concludere ed accettare la commissione in appalto.
Sotto altro profilo della censura in esame, lamenta poi l’appellante l’omessa considerazione da parte del Tribunale, delle osservazioni tecniche del proprio consulente in ordine alle rilevate ‘gravi condizioni di instabilità e di pericolo’ in cui versava il manufatto oggetto dell’appalto, atteso che alcun rilievo veniva accreditato dal CTU allorché riconduceva i notevoli danni alle strutture esistenti esclusivamente ad una ‘cattiva ed incauta’ esecuzione dei lavori di demolizione da parte dell’impresa appaltatrice, escludendo quindi un qualsivoglia concorso causale degli stessi derivante da un pregresso e preesistente degrado della struttura.
Orbene, anche in disparte la novità della questione introdotta solamebte in questa fase processuale, resta, dirimente ad escludere alcun fondamento alla censura, lde inequivoche emergenze peritali circa la individuazione del diretto ed esclusivo rapporto causale tra i danni rilevati alla struttura ed una non corretta esecuzione dei lavori appaltati.
Né tantomeno, può configurarsi fondata una ventilata eccezione d’inadempimento avvalorata dall’omesso pagamento di alcun anticipo a titolo di acconto e ne quelli contrattualmente previsti per gli asseriti e progressivi due stati di avanzamento lavori atteso che quanto innanzi avrebbe potuto giustificare una eventuale sospensione dei lavori ma non anche una inesatta esecuzione degli stessi, determinante nella produzione di rilevanti danni strutturali all’intero manufatto.
Ancora più evidente si configura l’infondatezza della doglianz a in ordine alla condanna alle spese, per la verità priva di adeguata argomentazione ed addotto solamente in via subordinata al rigetto del primo motivo, adducendo l’appellante un incomprensibile accoglimento solo parziale della domanda attorea, in tesi, avvalorata dalla rilevante riduzione del petitum risarcitorio della domanda introduttiva rispetto a quello acclarato dal CTU e recepito in sentenza, invocando una parziale compensazione delle spese nella misura del 50%.
L’assunto difensivo predetto è destituito di pregio, atteso che la soccombenza integrale della società convenuta, integrata da un contegno processuale non certo irreprensibile, con un immotivato rifiuto ad un’equa proposta conciliativa ex art.185 c.p.c. , precludeva qual siasi soluzione compensativa degli oneri processuali, liquidati, tra l’altro con riferimento al decisum .
Analoga delibazione negativa deve farsi per la censura avverso la disposta ulteriore statuizione sanzionatoria ex art.96 3° comma c.p.c.
A tale riguardo invero, non si condivide la doglianza con riferimento ad una pretesa attività difensiva finalizzata a contrastare l’eccessività della avversa richiesta risarcitoria, della cui presenza non vi è traccia alcuna negli scritti difensivi, rilevando le argomentazioni difensive volte le eccezioni, palesemente infondate, specificamente disattese dal Tribunale quali un inesistente squilibrio contrattuale, una prete sa violazione dell’art.1341 2° comma c.c., una ventilata eccezione d’inadempimento cont rattuale ed una ipotizzata concausa rappresentata dalla fatiscenza del manufatto sul quale operare.
Vi è invece evidenza di un immotivato rifiuto ad aderire al precorso concliativo proposto dal Tribunale, determinando un contenzioso giudiziale defatigatorio altrimenti evitabile, così evidenziando un abuso strumentale dello stesso processo, presupposto richiesto per la statuizione punitiva-sanzionatoria adottata dal Tribunale.
La condanna ex art.96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura, infatti, una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art.96, commi 1 e 2 c.p.c. e con queste cumulabile, volta, con finalità deflattive del contebnzioso, alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento sog gettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente. (v. Cass. n.27623 del 21/11/2017).
La vicenda sostanziale introdotta dalla società attorea, supportata da un contestato grave inadempimento contrattuale ascrivibile alla società committente, importava, invero una posizione processuale di quest’ultima volta ad allegare e comprovare l’inesist enza del paventato inadempimento e non certo ad invocare inesistenti profili patologici genetici del contratto che nulla avevano a che fare con l’incauta esecuzione della prestazione appaltata.
Conclusivamente, sulla scorta degli anzidetti rilievi, il gravame deve essere integralmente rigettato, con le conseguenti statuizioni condannatorie circa la regolamentazione delle spese del grado.
PQM
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla in persona del suo legale rappresentante, avverso la sentenza n.1712/2021, resa dal Tribunale monocratico di Foggia in data 6/7/2021 e pubblicata il successivo 8/7/2021, così provvede:
1)Rigetta l’appello;
2)Condanna la società appellante, in persona del suo legale rappresentante, alla integrale refusione, in favore della società appellata, in persona del suo legale rappresentante, delle competenze difensive attinenti il presente grado, liquidate le stesse in complessivi € 9.991,00, oltre accessori di legge e che distrae in favore dell’avv. NOME COGNOME per dichiarata sua anticipazione;
3)Da atto della sussistenza dei presupposti di legge per dichiarare la società appellante, in persona del suo legale rappresentante, tenuta al versamento, in favore dell’Erario, di un importo pari al contributo unificato versato all’atto d’iscr izione dle gravame.
Così deciso all’esito della Camera di consiglio in videoconferenza del 22/7/2025.
Il Presidente
(dott. NOME COGNOME)
Il Giudice ausiliario estensore
(avv. NOME COGNOME
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