Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6904 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6904 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
Oggetto:
s.p.a. resp. amministratori
AC – 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21927/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale rappresentante comune di COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
– intimata – avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste n. 262/2019, pubblicata il 24 aprile 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME in proprio e quale rappresentante comune, ai sensi dell’art. 2393 -bis , quarto comma, cod. civ., di NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di soci per il 42% della RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza n. 688/2017 del locale Tribunale. Il detto Tribunale aveva respinto la domanda da lei proposta avente per oggetto la condanna di NOME COGNOME COGNOME, quale presidente del c.d.a. e amministratore delegato, e di NOME COGNOME, NOME COGNOME
Contro
COGNOME Ugo, COGNOME Laura, COGNOME, COGNOME Lorenzo e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME giusta procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 26 ottobre 2020;
– controricorrenti –
e Contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali componenti del c.d.a., al risarcimento del danno cagionato a essi soci da mala gestio : mala gestio consistita nella scorretta attuazione delle deliberazioni del c.d.a., in particolare concretizzatasi nella mancata ricerca e realizzazione di un nuovo stabilimento, con conseguente cessazione dell’attività produttiva rientrante nell’oggetto sociale, nonché nello ‘sconsiderato’ incremento delle scorte di magazzino, con conseguente aumento dell’indebitamento bancario della società.
NOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con unico controricorso, mentre la NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato che andava condivisa la valutazione del Tribunale inerente all’assenza di specifica contestazione di condotte concretamente lesive in capo agli amministratori, essendosi i soci attori limitati a censurare il comportamento da questi tenuto secondo astratti canoni di lealtà e di diligenza; in ogni caso, le allegazioni fattuali dedotte a sostegno della pretesa mala gestio non avevano trovato riscontro probatorio in atti, atteso che la decisione di incrementare le scorte di magazzino, in vista della chiusura dello stabilimento produttivo nel 2009, era in sé insindacabile e, in ogni caso, andava considerata ragionevole, nella misura in cui si era programmata l’apertura di un nuovo stabilimento mentre , per altro aspetto, dalla relazione dei sindaci si evinceva che, in ogni caso, la consistenza delle scorte era del tutto corretta, come pure sotto controllo era il connesso indebitamento bancario. Sotto diverso profilo, la Corte territoriale ha rilevato che il riparto dell’onere della prova in materia risultava correttamente applicato nel caso di specie, siccome era ben vero che la prova della non imputabilità del danno
incombe sull’ amministratore , ma solo dopo che l’attore ha dedotto e provato la condotta asseritamente dannosa imputabile all’ amministratore medesimo, ciò che nella specie non era accaduto.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
«Primo mezzo. Violazione e falsa applicazione degli articoli 2392, 1710, 1176 c. 2 e 1218 cod. civ., e dei principi di diritto in materia di doveri e responsabilità gli amministratori di società e dei relativi oneri di allegazione e prova – violazione dell’articolo 2697 cod. civ. e dei principi di diritto in materia di onere di allegazione e prova – Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 3 cod. proc. civ.», deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che vi sia stata una mancata indicazione da parte degli attori dei comportamenti degli amministratori vietati dalla legge e dallo statuto, siccome in effetti, sin dal primo grado di giudizio, era stata allegata la sussistenza di condotte pregiudizievoli specificamente connesse alla mancata ricerca del sito per un nuovo stabilimento, alla mancata realizzazione del medesimo e all ‘ abnorme, irrazionale e sconsiderato incremento delle scorte di magazzino, con conseguente errore di diritto in tema di individuazione delle fattispecie legali astratte di responsabilità degli amministratori e connessa erroneità dell’affermazione del mancato assolvimento dell’onere di allegazione.
«Secondo mezzo. Difetto del minimo costituzionale di motivazione Violazione dell’art. 132, c. 2 n. 4 cod. proc. civ. e 111 c. 6 Cost. – Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5
cod. proc. civ.», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente negato che gli attori avessero assolto all’onere di allegazione delle violazioni dei doveri degli amministratori, senza fornire sul punto la benché minima motivazione.
c) «Terzo mezzo. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente negato che gli attori avessero assolto all’onere di allegazione delle violazioni dei doveri degli amministratori, omettendo l’esame dei fatti allegati dagli attori quali ragioni di responsabilità dei predetti e consistenti nel mancato perseguimento della realizzazione del nuovo sito produttivo e nella conseguente cessazione dell’attività e nell ‘ irragionevole e sconsiderata gestione delle scorte di magazzino, con conseguente creazione di cospicue immobilizzazioni e correlato incremento dell’indebitamento.
I primi tre motivi possono essere congiuntamente esaminati, atteso che lamentano , sotto diversi profili ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., la valutazione effettuata dalla Corte di appello con specifico riferimento all’ affermata carenza di specificità nell’allegazione delle concrete condotte degli amministratori fonte del dedotto danno di cui si chiede il risarcimento.
Va sul punto preliminarmente rilevato che, nella sostanza, la Corte territoriale ha inteso convalidare l’impianto motivazione della sentenza di primo grado che aveva affermato: a) che non si discuteva di violazioni della legge o dello statuto; b) che le violazioni agli obblighi di lealtà o diligenza non ricorrevano, essendosi nell’alveo della discrezionalità gestionale.
Tanto premesso in linea generale, in ordine logico, va esaminato con priorità il secondo motivo, con cui si deduce la nullità della sentenza impugnata (sebbene in epigrafe con un non corretto riferimento al n. 5), anziché al n. 4) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.) per aver reso una motivazione apparente e comunque largamente inferiore al minimo costituzionale, in relazione alla ritenuta carenza dell’onere di specifica allegazione dei fatti asseritamente dannosi imputabili all’organo gestorio.
La censura è infondata. La giurisprudenza di questa Corte, a far data da Cass. S.U. n. 22232 del 2016, si è attestata nell’affermare che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019; id. Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020; id. Sez. 1, ordinanza n. 18793 del 02/07/2021; id. Sez. 5, sentenza n. 20140 del 15/07/2021). Tale condizione non ricorre nel caso di specie, giacché la Corte territoriale ha espresso una motivazione del tutto individuabile e perfettamente intelleggibile, che si sostanzia, per un verso, nell’ accertata assenza di alcuna ‘anomalia’ gestionale, atteso che le doglianze dedotte in lite dall’ odierna ricorrente non avevano trovato riscontro probatorio in atti ed erano smentite, con riguardo alla gestione delle scorte di magazzino, dal giudizio dei sindaci, che non avevano rilevato
nella loro relazione di periodico controllo alcuna anomalia gestionale al riguardo.
Una motivazione, quella appena sunteggiata, che si pone ben al di sopra del minimo costituzionale e che è scevra da aporie o contraddizioni interne nelle proprie affermazioni che ne minino la comprensibilità.
Il primo motivo è inammissibile. La censura, al di là della sua epigrafe, ove è dedotta la violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova in tema di azione di responsabilità esercitata nei confronti degli amministratori di società per azioni, in effetti non contesta -come si legge testualmente a pagina 47 -tale riparto, ma pretende da questa Corte di sola legittimità una nuova valutazione dell’ idoneità dei fatti allegati in causa a dimostrare la mala gestio degli amministratori odierni controricorrenti: dichiarando di non voler ‘ censurare la non conformità alla verità processuale, delle affermazioni contenute nella sentenza circa la mancata deduzione da parte degli attori delle violazioni commesse dagli amministratori ‘ ( ibidem ), ciò che residua nella censura è il tentativo di indurre questa Corte a rivalutare i fatti di causa per come interpretati in senso conforme dai due giudici di merito, peraltro con specifici riferimenti all’assenza di rilievi e di contestazioni nella fase gestionale ad opera dei sindaci: accertamento in fatto, questo, con il quale l’ intero ricorso minimamente si confronta.
Per quanto compete a questa Corte verificare, è sufficiente sul punto rilevare la correttezza dell’ affermazione che l’onere dell’ amministratore di provare la non imputabilità della sua condotta rispetto al danno asseritamente cagionato scatta solo se e quando l’attore abbia dedotto e dimostrato specifiche
condotte idonee ad avere eziologicamente cagionato il danno di cui si chiede il ristoro (conf. a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25056 del 09/11/2020).
Il terzo motivo è inammissibile. Il vizio denunciabile ex art. 360, n. 5, c.p.c. è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storiconaturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; id. sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; id. Sez. 2, Ordinanza n. 20610 del 09/07/2021), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice -come nella specie è sicuramente accaduto, secondo quanto dedotto a confutazione dei precedenti motivi di ricorso ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
«Quarto mezzo. Violazione dell’art. 2392 c. 1 e dell’art. 1176 c. 2 cod. civ., e dei principi di diritto in materia di responsabilità gli amministratori – Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 3 cod. proc. civ.», deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nell’applicazione della cosiddetta business judgement rule in relazione a censure all’operato degli amministratori che non erano rivolte a una deliberazione degli amministratori e alla conseguente scelta gestionale, ma al comportamento degli stessi che avevano omesso di dare
esecuzione a scelte imprenditoriali dagli stessi deliberate e più volte ribadite nei verbali del consiglio di amministrazione con riferimento alla mancata apertura di un nuovo stabilimento produttivo.
«Quinto mezzo. Difetto del minimo costituzionale di motivazione – Violazione dell’art. 132 c. 2 , n. 4 cod. proc. civ. e 111 c. 6 Cost. – Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5 cod. proc. civ.», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto insindacabile il comportamento degli amministratori, omettendo di confrontarsi con il quarto motivo di appello con il quale si deduceva l’omissione dell’attuazione del deliberato del consiglio di amministrazione e non si intendeva valutarne la correttezza dal punto di vista imprenditoriale, finendo per rendere una motivazione apodittica e generica.
«Sesto mezzo. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5», deducendo che la Corte di appello avrebbe omesso di valutare i fatti decisivi dedotti nel quarto motivo di appello inerenti alle condotte omissive da parte del consiglio di amministrazione in relazione alla attuazione dei deliberati più volte ribaditi relativi alla individuazione e apertura di un nuovo sito produttivo.
I motivi quarto, quinto e sesto possono essere congiuntamente esaminati, atteso che lamentano, sotto diversi profili ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., la valutazione effettuata dalla Corte di appello, con specifico riferimento all’ affermata insussistenza di alcuna responsabilità in relazione alla mancata apertura di un nuovo stabilimento produttivo.
r.g. n. 21927/2019 Cons. est. NOME COGNOME
Ribadito in linea generale quanto premesso all’esame dei primi tre motivi in relazione all’interpretazione della motivazione della sentenza impugnata, in ordine logico, va esaminato con priorità il quinto motivo, con cui si deduce la nullità della sentenza impugnata (sebbene in epigrafe con un non corretto riferimento al n. 5), anziché al n. 4) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.) per aver reso una motivazione apparente e comunque largamente inferiore al minimo costituzionale, in relazione alla ritenuta insindacabilità delle scelte gestionali degli amministratori. Il motivo è infondato. Richiamato in via astratta quanto dedotto a proposito del secondo motivo di ricorso, va rilevato che le condizioni di nullità della sentenza non ricorrono nel caso di specie, giacché la Corte territoriale ha espresso una motivazione del tutto individuabile e perfettamente intelleggibile, che si sostanzia, come già detto, nell’ accertata assenza di alcuna ‘anomalia’ gestionale, atteso che le doglianze dedotte in lite dall’ odierna ricorrente non avevano trovato riscontro probatorio in atti ed erano smentite, con riguardo alla gestione delle scorte di magazzino, dal giudizio dei sindaci, che non avevano rilevato nella loro relazione di periodico controllo alcuna anomalia gestionale al riguardo. Rispetto a tale considerazione, che costituisce la ratio decidendi , le digressioni in sentenza sull’insindacabilità del comportamento degli amministratori in applicazione della c.d. business judgement rule si rivelano del tutto ancillari e, in ogni caso, espresse esclusivamente per corroborare l’affermazione , nel caso di specie, dell’ insufficienza delle allegazioni attoree a dimostrare la fondatezza dell’assunto dedotto in lite, che costit uisce l’ effettiva ragione della decisione assunta.
Il quarto motivo è inammissibile. La censura, al di là della sua epigrafe, ove è dedotta la violazione dei criteri di individuazione della responsabilità dell’ amministratore di società di capitali, in effetti contesta l’ affermazione della Corte territoriale inerente all’astratta rilevanza della c.d. business judgement rule nei giudizi di responsabilità dell’organo gestorio di società di capitali. Come detto a proposito del quinto motivo di ricorso, tale affermazione non è tuttavia che un obiter e in alcun modo costituisce la ratio decidendi , come più volte detto individuabile in una carenza di specifica allegazione e di conseguente prova delle condotte dedotte come lesive dei doveri incombenti sugli amministratori nel caso di specie, rispetto alla quale la censura tende a far compiere a questa Corte di legittimità una sostanziale rivalutazione dei fatti.
Il sesto motivo è inammissibile per le stesse ragioni illustrate a confutazione del terzo motivo di ricorso, oltre a incontrare anche la preclusione da c.d. ‘doppia conforme’ di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ.
«Settimo mezzo. Violazione dell’art. 2392 c. 1 e dell’art. 1176 c. 2 cod. civ., e dei principi di diritto in materia di responsabilità gli amministratori – Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 3 cod. proc. civ.», deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nell’applicazione della cosiddetta business judgement rule in relazione a censure all’operato degli amministratori che non erano rivolte a una deliberazione degli amministratori e alla conseguente scelta gestionale, ma al comportamento degli stessi che avevano omesso di dare corretta esecuzione a doveri su di essi ricadenti per la funzione gestoria svolta, con specifico riferimento alla sconsiderata gestione delle
scorte di magazzino e al conseguente aumento dell’ indebitamento bancario.
«Ottavo mezzo. Difetto del minimo costituzionale di motivazione Violazione dell’art. 132 c. 2 , n. 4 cod. proc. civ. e 111 c. 6 Cost. – Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5 cod. proc. civ.», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto insindacabile il comportamento degli amministratori, omettendo di confrontarsi con il motivo di appello con il quale si deduceva specificamente la mancanza di diligenza degli amministratori nella gestione delle scorte di magazzino, con conseguente incremento del relativo costo finanziario di indebitamento per la relativa tenuta.
«Nono mezzo. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -Impugnazione ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5», deducendo che la Corte di appello avrebbe omesso di valutare i fatti decisivi dedotti nel motivo di appello inerenti alle condotte omissive da parte del consiglio di amministrazione in relazione alla attuazione dei deliberati più volte ribaditi relativi alla mancanza di diligenza degli amministratori nella gestione delle scorte di magazzino, con conseguente incremento del relativo costo finanziario di indebitamento per la relativa tenuta.
I motivi settimo, ottavo e nono possono essere congiuntamente esaminati, atteso che lamentano, sotto diversi profili ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., la valutazione effettuata dalla Corte di appello, con specifico riferimento all’ affermata assenza di alcuna negligenza degli amministratori nella gestione delle scorte di magazzino, con conseguente insussistenza di alcun incremento del relativo costo finanziario.
Ribadito in linea generale quanto premesso all’esame dei primi tre motivi in relazione all’interpretazione della motivazione della sentenza impugnata, in ordine logico, va esaminato con priorità l’ottavo motivo, con cui si deduce la nullità della sentenza impugnata (sebbene in epigrafe con un non corretto riferimento al n. 5), anziché al n. 4) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.) per aver reso una motivazione apparente e comunque largamente inferiore al minimo costituzionale, in relazione all’allegata responsabilità degli amministratori conseguente alla scorretta tenuta delle scorte di magazzino. Il motivo è infondato. Richiamato quanto dedotto a proposito del secondo motivo di ricorso, va rilevato che le condizioni di nullità della sentenza non ricorrono nel caso di specie, giacché la Corte territoriale ha espresso una motivazione del tutto individuabile e perfettamente intelleggibile, che si sostanzia, come già detto, nell’ accertata assenza di alcuna ‘anomalia’ gestionale, atteso che le doglianze dedotte in lite dall’ odierna ricorrente non avevano trovato riscontro probatorio in atti ed erano smentite, con riguardo alla gestione delle scorte di magazzino, dal giudizio dei sindaci che avevano anzi positivamente riscontrato la corretta gestione sul punto: affermazione con cui la censura minimamente si confronta.
Il settimo motivo è inammissibile. La censura, al di là della sua epigrafe ove è dedotta la violazione dei criteri di individuazione della responsabilità dell’ amministratore di società di capitali, in effetti contesta l’ affermazione della Corte territoriale inerente all’astratta rilevanza della c.d. business judgement rule nei giudizi di responsabilità dell’organo gestorio di società di capitali. Come detto a proposito del quinto motivo di ricorso, tale
affermazione non è tuttavia che un obiter e in alcun modo costituisce la ratio decidendi , come più volte detto individuabile in una carenza di specifica allegazione e di conseguente prova delle condotte dedotte come lesive dei doveri incombenti sugli amministratori nel caso di specie, rispetto alla quale la censura tende a far compiere a questa Corte di legittimità una sostanziale rivalutazione dei fatti.
Il nono motivo è inammissibile per le stesse ragioni illustrate a confutazione del terzo e del sesto motivo di ricorso.
La soccombenza regola le spese, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna COGNOME NOME, in proprio e nella qualità, a rifondere a COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Bruno, COGNOME Lorenzo e COGNOME NOME, le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
r.g. n. 21927/2019 Cons. est. NOME COGNOME
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’ 11 febbraio