Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22219 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22219 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17089 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME NOME e NOME , rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliati presso quest’ultimo ;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME, domiciliata presso quest’ultimo;
contro
ricorrente
nonché contro
COGNOME NOME intimato
avverso la sentenza n. 389/2021 depositata il 23 febbraio 2021 della Corte di appello di Venezia.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con citazione notificata il 12 giugno 2012 RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti al Tribunale di Verona NOME COGNOME e NOME COGNOME, amministratori di RAGIONE_SOCIALE – il primo fino al 13 maggio 2009, la seconda da quel momento in poi – chiedendone la condanna, in solido, al pagamento della somma di euro 391.872,00 oltre interessi e rivalutazione, a titolo di responsabilità omissiva e commissiva, avendo riguardo alle previsioni degli artt. 2485 e 2486 c.c.. L’attrice ha dedotto che la società RAGIONE_SOCIALE, costituita dai predetti convenuti, aveva acquistato, in data 20 ottobre 2006, un immobile da adibire ad abitazione dei soci, i quali l’ avevano poi effettivamente impiegato a scopo residenziale, perlomeno fino al mese di luglio del 2011; il 3 settembre 2007 RAGIONE_SOCIALE aveva concluso con la società RAGIONE_SOCIALE un contratto di appalto con il quale era stata affidata a quest’ultima l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’ immobile; i lavori erano iniziati nel 2007 e si erano protratti fino al 2011. La società istante ha rilevato che al momento di completamento dell’opera residuava un credito di essa appaltatrice pari ad euro 391.872,00; ha inoltre esposto che con atto di compravendita del 3 maggio 2011 RAGIONE_SOCIALE aveva venduto l’immobile a un soggetto terzo al prezzo di euro 2.420.000,00, inferiore alla somma pagata per il suo acquisto, pari ad euro 2.500.000,00. RAGIONE_SOCIALE ha poi evidenziato che dalle visure camerali effettuate nel marzo 2012 era emerso che tutti i bilanci della società committente presentavano rilevanti perdite di esercizio, tali da azzerare il capitale sociale: in particolare, l’esercizio sociale chiuso al 31 dicembre 2006 esibiva una perdita di euro 36.918,00, a fronte di un capitale sociale di euro 10.000,00, versato per soli euro 2.500,00 e in assenza di qualsiasi
riserva; l’assemblea dei soci aveva deliberato di riportare a nuovo tale perdita impegnandosi all’adozione delle decisioni da assumere ex art. 2482ter c.c., senza che poi ciò avvenisse. Ha narrato l’attrice che i successivi esercizi si erano chiusi con perdite via via maggiori e che, sebbene il capitale sociale si fosse ridotto al di sotto del limite legale fin dall’esercizio 2007, l’assemblea non aveva mai provveduto a rimuovere tale situazione; ha dedotto che la responsabilità di tale inerzia doveva ascriversi ai convenuti nella loro qualità di amministratori di RAGIONE_SOCIALE
I convenuti si sono costituiti, resistendo alla domanda e chiedendo la chiamata in causa di NOME COGNOME il quale, nella sua veste di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, aveva manifestato, a loro avviso, completa adesione agli atti di gestione posti in essere, rinunciando ad intraprendere qualsiasi azione di responsabilità al riguardo.
Autorizzata la chiamata in causa, il già menzionato NOME COGNOME si è costituito e ha negato che fosse intervenuta la rinuncia dedotta da parte attrice.
A seguito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale ha pronunciato sentenza con cui ha respinto la domanda: il Giudice di primo grado ha rilevato, in sintesi, che il dato rilevante della completa erosione del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE per perdite era conoscibile dalla società attrice a far data dalla pubblicazione del proprio bilancio relativo all’esercizio 2006: bilancio che la società RAGIONE_SOCIALE aveva l’onere di prendere in considerazione sulla base del generale dovere di diligenza qualificata inerente all’attività professionale svolta, giusta l’art. 1176, comma 2, c.c.. Secondo il Tribunale , l’attrice aveva accettato consapevolmente il rischio che l’inadempimento della controparte si protraesse e si aggravasse e ciò costituiva ragione ostativa all’accoglimento della pretesa risarcitoria azionata.
─ Ha proposto appello la società RAGIONE_SOCIALE si sono costituiti
gli attori vittoriosi in primo grado, non anche il chiamato in causa.
La Corte di appello di Venezia ha riformato la sentenza di primo grado e condannato i convenuti al pagamento della somma di euro 391.872,00, oltre interessi e rivalutazione.
In sintesi, e per quanto qui rileva, la detta Corte ha anzitutto ritenuto che la domanda risarcitoria dell’attrice si fonda sse sull’o messa attivazione della procedura prevista dal combinato disposto degli artt. 2482ter , 2484, comma 3, e 2485 c.c., «in conseguenza della quale risultata falsata l’informazione sull ‘ avvenuta verificazione della causa di scioglimento e quindi sulla possibilità per la società di continuare ad operare legittimamente, nonché quella sulla situazione patrimoniale – attuale e prospettica – e sulle concrete prospettive della gestione». Ha evidenziato che RAGIONE_SOCIALE non poteva pretendere di sgravarsi delle conseguenze risarcitorie dipendenti dall’avere il suo organo amministrativo scientemente disatteso, sia prima della stipulazione del contratto che negli anni successivi, l’obbligo di procedere agli adempimenti previsti per il caso di emersione di una causa di scioglimento della società – quella d i cui all’art. 2484, comma 1, n. 4 , c.c. , imputando a RAGIONE_SOCIALE di non aver diligentemente acquisito per suo conto informazioni specifiche circa la condizione economico-patrimoniale della controparte contrattuale, e cioè quelle stesse informazioni che «avrebbero dovuto essere partecipate erga omnes con l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui proprio gli amministratori accertavano ( recte : avrebbero dovuto accertare) la causa di scioglimento e che in ogni caso avrebbero dovuto essere tempestivamente e in termini adeguati comunicati alla controparte in attuazione dell’obbligo di buona fede imposto dall’art. 1337 c.c. ». Veniva dunque in questione, secondo la Corte di appello, una distorsione del quadro informativo reso disponibile alla società appaltatrice: distorsione che traeva origine dalla violazione degli artt. 2484 e 2485 c.c.. Doveva dunque ritenersi accertata in capo
a entrambi i convenuti e appellati la responsabilità per aver omesso di assumere le iniziative previste dalle norme sopra richiamate, le quali «avrebbero reso evidente il dato della messa in liquidazione della società, consentendo all’attrice di rendersi pienamente conto della situazione di fatto e di diritto della controparte e di assumere una decisione pienamente consapevole, sia in relazione alla scelta di vincolarsi che all’opportunità di continuare nell’esecuzione del contratto». La Corte di merito ha inoltre osservato come il contratto di appalto fosse stato stipulato in data successiva all’approvazione del bilancio chiuso con una perdita tale da azzerare il capitale sociale e che posteriori a tale data risultavano essere pure le operazioni con cui RAGIONE_SOCIALE aveva contratto alcuni mutui fondiari, acquistato un postoauto e venduto l’immobile ristrutturato: ha rilevato che tutte queste iniziative, nella situazione patrimoniale in cui si trovava la società, non potevano ritenersi consentite, esulando da una gestione meramente conservativa.
Il Giudice distrettuale ha poi reputato priva di fondamento l’eccezione incentrata sulla qualità di amministratore di fatto che avrebbe dovuto riferirsi a NOME COGNOME ha osservato che non risultava provato il pieno inserimento dello stesso nell’organico di RAGIONE_SOCIALE e la conoscenza, da parte sua, dei dati economici e patrimoniali a questa pertinenti; ha negato, infine, che la società attrice avesse rinunciato al proprio credito nei confronti della committente dei lavori.
La Corte di appello ha quindi liquidato il danno in misura corrispondente all’ammontare del credito della società attrice rimasto insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori e ha pronunciato condanna in solido dei medesimi, considerando che non assumeva rilievo «la più o meno breve permanenza di ciascun soggetto all’interno dell’organo amministrativo della società», posto che tale circostanza aveva rilievo
«unicamente nei rapporti interni tra i debitori solidali, risultando invece inopponibile al creditore».
3. ─ Avverso la pronuncia della Corte veneta, pubblicata il 23 febbraio 2021, ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME con sei motivi. Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE Sia i ricorrenti che la controricorrente hanno depositato memoria. Ha depositato memoria pure RAGIONE_SOCIALE alla quale non è stato notificato il ricorso per cassazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente deve darsi atto dell’irritualità della memoria depositata da RAGIONE_SOCIALE, che non risulta essere parte del giudizio di legittimità. La stessa non ha notificato controricorso, non essendo stata intimata dai ricorrenti, e, in ogni caso, nel giudizio di cassazione non è consentito l’intervento di terzi che non hanno partecipato alle pregresse fasi di merito (per tutte: Cass. 7 agosto 2018, n. 20565), fatta salva l’eccezione, che qui non ricorre, del successore a titolo particolare nel diritto controverso, il quale intenda resistere al ricorso proposto contro il proprio dante causa, nel caso in cui in cui quest’ultimo sia rimasto inerte (cfr. Cass. 13 giugno 2024, n. 16526).
2. -Col primo motivo di ricorso si denuncia l’ omesso esame circa una domanda e un fatto decisivo per il giudizio e, in ogni caso, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto circa un fatto decisivo per il giudizio, per non essersi la Corte di appello pronunciata circa il grado di responsabilità da imputarsi a NOME COGNOME anche in considerazione della data in cui la stessa aveva assunto la carica di amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE È spiegato che la predetta COGNOME, subentrata nella carica di amministratore unico della società solo il 29 aprile 2009, non poteva essere ritenuta responsabile per l’attività posta in essere dal precedente amministratore nel periodo intercorrente tra il 20 settembre 2006, data di costituzione della
società, e il giorno sopra indicato.
3 . -Il motivo è fondato.
La responsabilità ascritta agli odierni ricorrenti è quella configurata dagli artt. 2484 e 2485 c.c..
L’art. 2485 c.c. prevede, al primo comma, che gli amministratori devono senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell’art. 2484 c.c., il quale a sua volta dispone, per quanto qui rileva, che gli effetti dello scioglimento della società si determinano, per il caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (come anche per le ipotesi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 5 dell’articolo), alla data di iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa. Gli amministratori, dunque, sono tenuti sia ad accertare la causa di scioglimento, la quale determina un diverso ambito operativo dell’ente , da gestirsi « ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale » (art. 2486, comma 1, c.c.), sia a rendere pubblica tale causa di scioglimento attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese.
Stabilisce l’art. 2485 , sempre al comma 1, che gli amministratori « in caso di ritardo od omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi». Come è evidente, la disposizione replica la regola della generale responsabilità degli amministratori per i danni derivanti da violazione di legge o dello statuto che è contemplata dagli artt. 2392, 2393, 2394 e 2395 c.c..
Ora, la responsabilità contemplata dall’art. 2395 c.c. nei confronti del terzo postula la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente (per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15822; Cass. 8 settembre 2015, n. 17794; Cass. 5 agosto 2008, n. 21130).
E’ escluso, così, che chi sia subentrato nella qualità di
amministratore debba rispondere di danni imputabili a chi lo ha preceduto nella carica; allo stesso modo, il vecchio amministratore non può essere ritenuto responsabile del pregiudizio patrimoniale discendente da una condotta illecita posta in atto dal nuovo.
Tale regola vale, come è del tutto evidente, anche per la fattispecie di responsabilità nei confronti dei terzi rientrante nella previsione dall’art. 2485, comma 1, c.c..
La sentenza impugnata ha dunque mancato di considerare la diversità dei danni riferibili alle distinte condotte omissive imputabili ai due amministratori e, di riflesso, la necessità di stabilire un nesso di causa tra il comportamento illecito di ciascuno dei detti soggetti e le conseguenze pregiudizievoli in concreto accertate.
Questo profilo della controversia costituiva, in appello, oggetto di precisa eccezione (cfr. conclusioni rassegnate nell’epigrafe della sentenza impugnata, pag. 3): eccezione che, del resto, era rilevabile d’ufficio e quindi suscettibile di essere presa in esame ex art. 345, comma 2, c.p.c., indipendentemente dalla proposizione della stessa in primo grado.
4 . -Col secondo mezzo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la violazione o falsa applicazione di norme di diritto circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 2423, 2427, 2435, 2485 e 2486 c.c., per non avere la Corte di appello di Venezia valutato gli adempimenti informativi effettuati dagli amministratori relativamente alla reale situazione economicopatrimoniale di RAGIONE_SOCIALE Sostengono i ricorrenti che, essendo il bilancio dell’esercizio 2006 stato pubblicato il 28 maggio 2007, mentre il contratto era stato concluso il 3 settembre 2007, Montresor «era stata messa nella condizione di poter scegliere, previa visione del bilancio, se concludere o meno detto contratto».
Il terzo motivo contiene una censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e di violazione e di falsa applicazione di
norme di diritto circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 2423, 2427, 2435 e 1176 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente escluso l’obbligo della società RAGIONE_SOCIALE di verificare il bilancio di esercizio 2006 di RAGIONE_SOCIALE I ricorrenti, muovendo dalla funzione informativa del bilancio di esercizio, quale documento necessario e sufficiente per permettere ai creditori e ai terzi di decidere se contrarre o meno con la società, sostengono che «il creditore non può rimanere inerte rispetto all’obbligo, diametralmente opposto, di prendere visione del contenuto di tale documento».
Col quarto motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la violazione o falsa applicazione di norme di diritto circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 2423, 2427, 2435 e 1176 c.c. , nonché in relazione alla carenza dell’interesse d’agire ex art. 100 c.p.c., per avere La Corte di appello di Venezia erroneamente escluso l’obbligo della società RAGIONE_SOCIALE di verificare il bilancio di esercizio 2006 della società RAGIONE_SOCIALE e per non aver correttamente valutato, da un lato, l’assenza di iniziative della controparte volte a recuperare il proprio credito e, dall’altro, gli adempimenti informativi effettuati dagli amministratori quanto alla reale situazione economico patrimoniale della predetta RAGIONE_SOCIALE Assumono i ricorrenti che il comportamento della controricorrente, la quale era in grado di verificare l’erosione del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE al momento della conclusione del contratto, si configurerebbe «come implicita rinuncia ad avvalersi dell’azione di responsabilità esperita, soprattutto se si ha a riguardo al complessivo contegno assunto dalla società RAGIONE_SOCIALE», e cioè «all’assenza di qualsiasi formale richiesta di pagamento ovvero alla proposizione di iniziative giudiziarie (ad esempio ricorso per ingiunzione) volte ad ottenere la tutela dei crediti asseritamente vantanti dalla resistente verso RAGIONE_SOCIALE»: circostanze, queste, che assumerebbero rilievo anche sotto il profilo dell’interesse ad agire.
Il quinto motivo investe la sentenza impugnata con una censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e di violazione o falsa applicazione di norme di diritto circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 2423, 2427, 2435 e 1176 c.c., per avere la Corte di appello di Venezia erroneamente escluso l’obbligo della società RAGIONE_SOCIALE di verificare il bilancio di esercizio 2006 di RAGIONE_SOCIALE e per non aver correttamente valutato gli adempimenti informativi effettuati dagli amministratori relativamente alla reale situazione economico-patrimoniale di questa seconda società. La censura è priva di svolgimento argomentativo, essendosi la ricorrente limitata a richiamare quanto dedotto coi motivi secondo, terzo e quarto.
-I quattro motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto vertenti sulla medesima questione.
Essi non meritano accoglimento.
6. -La Corte di appello ha evidenziato l’infondatezza della prospettiva in cui si era collocato il Giudice di primo grado, il quale aveva riversato sulla società creditrice l’obbligo, non previsto e quindi non esigibile, di rendersi parte attiva nelle ricerca di tutti gli elementi di fatto rilevanti per procedere in modo realmente consapevole nella trattativa: ad avviso della detta Corte, rilevava invece l’incidenza del contestato inadempimento ex artt. 2484, 2485 e 2486 c.c. sulla fase genetica del rapporto d’appalto e, specificamente, la «distorsione del quadro informativo reso disponibile alla società appaltatrice a causa e in dipendenza delle indicate violazioni di legge imputate agli amministratori» (pronuncia impugnata, pag. 18), oltre che il compimento di «operazioni che nella situazione patrimoniale in cui era venuta a trovarsi RAGIONE_SOCIALE non potevano ritenersi consentite, non essendo riguardabile come meramente conservativa un’attività di gestione comportante spese doppie rispetto a quelle sostenute nel corso della gestione imprenditoriale produttiva in tutti gli esercizi successivi al 2006 di ingenti perdite di esercizio» (pag. 20 della sentenza).
-Ora, entrambe queste condotte, in quanto dannose, sono produttive di una responsabilità risarcitoria. Come è stato di recente precisato da questa Corte, in presenza di una causa di scioglimento della società, gli amministratori sono esposti a una duplice e distinta responsabilità patrimoniale: da un lato, per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi, a seguito del ritardo o dell’omissione nell’accertamento della causa di scioglimento e nel deposito della relativa dichiarazione nel registro delle imprese, e, dall’altro lato, per i danni arrecati a tali soggetti dagli atti o dalle omissioni compiute in violazione del divieto di gestire la società se non a fini conservativi (Cass. 17 aprile 2024, n. 10413).
-Merita soffermarsi sul primo dei detti inadempimenti.
Il legislatore del 2003 ha mostrato di voler escludere che lo scioglimento della società (evenienza che, è appena il caso di precisare, non si identica con l’estinzione della stessa : per tutte, Cass. 2 novembre 2022, n. 32178) operi di diritto, in presenza delle particolari ipotesi delineate dall’art. 2484 c.c. . Nel periodo anteriore alla riforma alcuni autori, muovendo dal dato normativo consistente nel divieto fatto agli amministratori di compiere nuove operazioni a seguito della venuta ad esistenza della causa di scioglimento, avevano asserito che questo operasse automaticamente. La disciplina dello scioglimento e della liquidazione delle società di capitali delineata del d,lgs. n. 6 del 2003, in cui assume centralità la previsione, contenuta nel terzo comma dell’art. 2484 c.c., circa il momento in cui lo scioglimento della società ha effetto, si colloca in una logica opposta. Come si legge nella relazione ministeriale alla legge di riforma del diritto societario attuata in base alla legge-delega n. 366/2001, « ‘innovazione fondamentale rispetto al sistema vigente consiste nella netta separazione tra il verificarsi di una causa di scioglimento e la determinazione del momento in cui ha effetto »: è ivi spiegato che la nuova regolamentazione risponde « al fine essenziale di eliminare l’incertezza, per tutti, sul momento in cui lo
scioglimento si determina » e che « n coerenza con la nuova disciplina sull’efficacia della causa di scioglimento all’art. 2484 si è precisato l’obbligo degli amministratori di accertarla e di effettuare la relativa iscrizione ».
Nella sentenza impugnata l ‘inadempimento agli obblighi di accertare il verificarsi della causa di scioglimento (nella specie rappresentato da ll’azzeramento del capitale) e di procedere alla relativa iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese è stato a ragione reputato sussistente nonostante i bilanci pubblicati attestassero la reale consistenza patrimoniale della società.
A gli amministratori compete infatti, per legge, l’obbligo di verificare periodicamente la situazione patrimoniale ed economica dell’ente e, in presenza di una diminuzione del capitale sociale al di sotto della soglia legale, cui non faccia seguito la delibera assembleare di riduzione e aumento del capitale stesso o la delibera di trasformazione della società (art. 2482ter c.c.), ad essi compete « senza indugio » (art. 2485, comma 1, c.c.) di prendere atto della causa di scioglimento della società prevista dall’art. 2 484, n. 4, c.c. e di darne pubblicità.
Questi obblighi non vengono meno per effetto della pubblicazione del bilancio, incombente che ha bensì una funzione informativa rispetto ai terzi, ma che non li surroga affatto. Gli obblighi di cui qui si discorre hanno natura ben diversa rispetto a quello di ostensione del bilancio, essendo diretti a dar conto del verificarsi del fatto produttivo dello scioglimento della società, e quindi del l’aprirsi di una fase che proietta la stessa verso l’attività liquidatoria e la successiva estinzione. Negare gli obblighi suddetti in presenza di un bilancio che documenta una perdita del patrimonio al di sotto del minimo legale equivale a privare di rilievo l’attività accertativa e pubblicitaria che incombe, per legge, agli amministratori: attività che, nel disegno normativo, sono funzionali a conferire evidenza giuridica al mutamento di stato della società, tanto
che, come si è visto, è dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della causa di scioglimento della società che detto scioglimento ha effetto. La disciplina in esame si preoccupa dunque di fornire un quadro conoscitivo più avanzato rispetto a quello offerto dal bilancio: l ‘iscrizione nel registro delle imprese che fa seguito all’accertamento della causa di scioglimento consente, in particolare, ai terzi di avere immediata percezione della mutata condizione della società, così da permettere loro di valutare con piena consapevolezza l’opportunità di intrattenere rapporti con essa.
Né conta che dal bilancio di esercizio il terzo possa ricavare il dato della riduzione del capitale al di sotto del limite legale: l ‘accertamento della relativa causa di scio glimento è rimessa all’amministratore, che deve poi assicurarne la pubblicità con l’iscrizione nel registro delle imprese. Il legislatore non si cura, del resto, di escludere o di differenziare gli obblighi che, a norma dell’art. 2484, comma 3, c.c. , gravano sugli amministratori, attribuendo un qualche rilievo all ‘ obiettiva non controvertibilità di particolari situazioni giuridiche che assurgono a causa di scioglimento della società; tant’è che , ad esempio, l’art. 2484, comma 1, n. 1) , c.c. fa dipendere gli effetti dello scioglimento dall’assolvimento dei richiamati incombent i ne ll’ipotesi di decorso del termine: situazione, quest ‘ultima , in costanza della quale l’attività degli amministratori si riduce alla mera ricognizione del dato temporale a fronte della disposizione dell’atto costituivo che programma la durata della società.
In conclusione, gli obblighi degli amministratori di accertare, da un lato, la causa di scioglimento della società determinata dalla perdita del capitale sociale al di sotto del limite legale e di darne, dall’altro, pubblicità attraverso l’iscrizione nel r egistro delle imprese non sono esclusi dal deposito di un bilancio che dia ragione della perdita, sicché gli stessi amministratori rispondono dell’omissione relativa all’adempimento dei detti obblighi anche ove il deposito in questione
abbia avuto luogo.
-L’ ipotetica omessa consultazione del bilancio di esercizio di RAGIONE_SOCIALE da parte della società RAGIONE_SOCIALE non può allora incidere sulla responsabilità degli amministratori per l’assenza dell’ accertamento e della rappresentazione, col mezzo pubblicitario prescritto, della causa di scioglimento della società discendente dalla perdita del capitale sociale.
-Men che meno, in presenza della detta causa di scioglimento, la pubblicazione del bilancio può esimere dal l’ulteriore obbligo, gravante sugli amministratori, di astenersi dal compimento di atti che eccedano il fine della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale: è del tutto chiaro, infatti, che l’ obbligo pubblicitario che riguarda il bilancio di esercizio non ha attinenza alcuna con un obbligo di condotta gestionale, quale appunto quello previsto dall’art. 2486, comma 2, c.c. .
-Quanto, poi, alla circostanza per cui la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe prestato acquiescenza all’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE vale rammentare che tale acquiescenza è stata espressamente esclusa dalla Corte di appello sulla base di un accertamento di fatto qui non sindacabile.
-Col sesto mezzo viene denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e, in ogni caso, violazione o falsa applicazione di norme di diritto circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di Venezia valutato con ragionamento logico giuridico non immune da vizi la condotta di NOME COGNOME quale amministratore di fatto e socio occulto di RAGIONE_SOCIALE. Si deduce: che il predetto COGNOME aveva agito nell’interesse della società committente in qualità di amministratore di fatto; che era stata data prova che lo stesso avesse conoscenza della situazione economico finanziaria di Finimmobilia; che col proprio comportamento il detto COGNOME aveva manifestato l’intenzione di rinunciare a qualsiasi
richiesta risarcitoria o indennitaria nei confronti degli amministratori di questa.
13 . – Il motivo è in ammissibile.
I ricorrenti continuano a sostenere che NOME COGNOME avrebbe agito nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE nella qualità di amministratore di fatto della medesima: ma la Corte di merito ha escluso, sulla base di un giudizio di fatto che sfugge al sindacato di legittimità, che al predetto fosse riferibile tale veste e che, in conseguenza, lo stesso COGNOME avesse conseguito le «conoscenze dei dati economico-patrimoniali rilevanti» che riguardavano detta società.
Già si è detto, poi, che la Corte di merito ha pure negato che l’odierna controricorrente avesse rinunciato al proprio credito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
14 . -In conclusione, va accolto il primo motivo e vanno disattesi gli altri.
15 . – La sentenza impugnata è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia, che giudicherà in diversa composizione e statuirà sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo e respinge gli altri, ad eccezione del sesto, che dichiara inammissibile; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione