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Responsabilità amministratori non esecutivi: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna di due amministratori non esecutivi per i danni causati dalla prosecuzione illecita dell’attività sociale dopo la perdita totale del capitale. La sentenza chiarisce che la responsabilità degli amministratori non esecutivi non deriva da una generica omissione, ma dal non essersi attivati pur in presenza di evidenti segnali di crisi, violando l’obbligo di agire informati per tutelare il patrimonio sociale. Il danno è stato calcolato con il criterio della differenza dei netti patrimoniali.

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Responsabilità amministratori non esecutivi: quando l’omessa vigilanza costa cara

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto societario: la responsabilità degli amministratori non esecutivi non è una mera formalità. Anche chi non ha deleghe operative ha il dovere di vigilare e di intervenire attivamente di fronte a evidenti segnali di crisi aziendale. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni a cui sono giunti i giudici.

I fatti di causa

Una società a responsabilità limitata, costituita tramite il conferimento di un ramo d’azienda, si trova ben presto in difficoltà. Contrariamente a quanto previsto da un ottimistico business plan, i primi due bilanci si chiudono con perdite ingenti, tali da erodere completamente il capitale sociale e portare il patrimonio netto in territorio negativo.

Nonostante la legge imponga, in questi casi, di accertare la causa di scioglimento e di non intraprendere nuove operazioni, gli amministratori proseguono l’attività d’impresa. Questa gestione, definita di mala gestio, aggrava ulteriormente lo stato di insolvenza fino alla dichiarazione di fallimento.

La curatela fallimentare avvia un’azione di responsabilità contro gli ex amministratori, inclusi quelli privi di deleghe esecutive, chiedendo il risarcimento dei danni causati dall’illegittima prosecuzione dell’attività.

La decisione della Corte d’Appello

In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello accoglie la domanda del fallimento. I giudici di secondo grado, basandosi sulle risultanze di una consulenza tecnica, accertano che già alla fine del secondo anno di attività la società aveva perso interamente il proprio capitale. La prosecuzione dell’attività, in violazione dell’art. 2486 c.c., ha generato un danno quantificato nella differenza tra il patrimonio netto negativo al momento della perdita del capitale e il passivo accertato in sede fallimentare.

La Corte condanna quindi due amministratori non esecutivi al risarcimento, ritenendoli responsabili in solido per una quota del danno complessivo (il 70%), tenendo conto della loro minor colpa rispetto agli amministratori esecutivi.

L’analisi della Cassazione e la responsabilità amministratori non esecutivi

I due amministratori condannati ricorrono in Cassazione, sostenendo di non avere colpe, in quanto privi di deleghe operative. La Suprema Corte, tuttavia, dichiara il ricorso inammissibile e conferma la loro responsabilità. Il ragionamento dei giudici è lineare e si fonda sul dovere di “agire informati”.

La Corte chiarisce che agli amministratori non esecutivi non veniva imputata la responsabilità per l’originaria sopravvalutazione del conferimento, ma per la loro inerzia successiva. Di fronte a risultati economici “macroscopicamente lontani” da quelli previsti dal business plan, essi avrebbero dovuto attivarsi per verificare la congruità del valore degli asset e la tenuta del patrimonio sociale.

Il dovere di vigilanza attiva

Verificatasi la causa di scioglimento per la perdita del capitale, su ogni amministratore, anche quello “non operativo”, grava l’obbligo di monitorare la situazione economico-finanziaria della società (art. 2485 c.c.). Gli amministratori senza deleghe sono tenuti ad acquisire, anche dagli amministratori operativi o dal collegio sindacale, ogni informazione utile a valutare se la società conservi ancora il capitale sociale, che rappresenta la garanzia per i terzi.

L’omissione di questa vigilanza attiva si traduce in una colpa che fonda la responsabilità per i danni derivanti dalla continuazione dell’attività, che ha solo aggravato la situazione debitoria.

Il criterio di liquidazione del danno

La Cassazione conferma anche la correttezza del metodo utilizzato per calcolare il danno: il criterio dei “netti patrimoniali”. Questo metodo consiste nel confrontare il patrimonio netto al momento in cui si è verificata la causa di scioglimento (nel caso di specie, negativo) con quello esistente al momento della dichiarazione di fallimento. La differenza rappresenta il danno incrementale causato dalla gestione illecita, di cui gli amministratori devono rispondere.

Le motivazioni

La decisione si fonda su principi consolidati del diritto societario. In primo luogo, il dovere di diligenza imposto agli amministratori non si esaurisce nelle attività operative, ma include un obbligo di monitoraggio e vigilanza. Gli amministratori non esecutivi rispondono non per una generica omissione, ma per non aver impedito fatti pregiudizievoli di cui erano, o avrebbero dovuto essere, a conoscenza, attivandosi per ottenere le necessarie informazioni.

In secondo luogo, l’art. 2486 c.c. pone un limite invalicabile al potere gestorio: una volta persa l’integrità del capitale, gli amministratori possono compiere solo atti volti alla conservazione del valore del patrimonio in vista della liquidazione. Ogni nuova operazione che esponga la società a ulteriori rischi è illecita e fonte di responsabilità personale e solidale.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un messaggio cruciale per chi ricopre cariche sociali: il ruolo di amministratore, anche se privo di deleghe, non è mai puramente onorifico. Comporta doveri specifici di controllo e di intervento. L’inerzia di fronte a segnali di allarme evidenti, come perdite di bilancio significative e reiterate, configura una colpa grave che espone al rischio di dover risarcire personalmente i danni causati alla società e ai suoi creditori.

Un amministratore senza deleghe (non esecutivo) può essere ritenuto responsabile per la cattiva gestione della società?
Sì. La sua responsabilità sorge non per una generica omissione di vigilanza, ma per non essersi attivato per acquisire le informazioni necessarie e per non essere intervenuto di fronte a evidenti segnali di crisi, come la perdita totale del capitale sociale, violando così l’obbligo di agire in modo informato.

Come si calcola il danno causato dagli amministratori che continuano l’attività d’impresa dopo la perdita del capitale sociale?
Il danno viene calcolato secondo il criterio della “differenza dei netti patrimoniali”. Si confronta il valore del patrimonio netto al momento in cui si è verificata la causa di scioglimento (perdita del capitale) con il patrimonio netto al momento della cessazione della gestione o dell’apertura della procedura concorsuale. La differenza rappresenta l’aggravamento del dissesto di cui gli amministratori sono responsabili.

L’obbligo di vigilanza di un amministratore non esecutivo è solo passivo o richiede un’azione proattiva?
Richiede un’azione proattiva. Secondo la Corte, gli amministratori non esecutivi sono “tenuti ad acquisire” le informazioni utili per valutare la salute della società, operando con la normale diligenza richiesta dalla funzione. Devono quindi attivarsi per ottenere dati dagli organi esecutivi e sindacali, specialmente in presenza di segnali di allarme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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