Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8008 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8008 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22161/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da:
NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente incidentale- contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente all’incidentale-
nonché contro
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente incidentale- contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente all’incidentale-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO MILANO n. 4617/2019 depositata il 19/11/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/03/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano con sentenza del 21 agosto 2017, n. 8763, in accoglimento della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, condannò l’amministratore NOME COGNOME al risarcimento del danno in favore della società, nella misura di € 1.071.210,24 oltre accessori, in relazione agli addebiti consistenti in un ammanco di cassa (per € 34.239,55) e nella imprudente negoziazione di un contratto di locazione di spazi pubblicitari concluso con la RAGIONE_SOCIALE; in accoglimento della domanda di regresso proposta dal convenuto, condannò altresì gli altri amministratori, NOME COGNOME e NOME COGNOME, a rifondere, in quote paritarie, quanto da lui pagato alla società attrice; mentre dichiarò inammissibile la domanda proposta dal convenuto COGNOME nei confronti del chiamato NOME COGNOME, socio finanziatore della società.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 19 novembre 2019, n. 4617, ha accertato anche la responsabilità del socio i NOME COGNOME per i danni cagionati dalla conclusione del predetto contratto di locazione di spazi pubblicitari, per il resto respingendo gli appelli proposti.
La corte territoriale, nel confermare la decisione di primo grado, salvo la predetta statuizione di accertamento, ha ritenuto per quanto ancora rileva che:
a) sussiste la responsabilità degli amministratori con riguardo al contratto concluso dalla società il 7 marzo 2011 con la RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la concessione in esclusiva degli spazi pubblicitari della società presso la rete metropolitana di Milano, per il corrispettivo annuo di € 1.340.000,00, oltre a percentuali ulteriori
collegate ad eventi condizionanti: infatti, si tratta di un contratto di rilevante entità, concluso dal COGNOME senza le dovute cautele, atteso che l’altra contraente era stata costituita circa un mese dopo il contratto e con un capitale sociale di € 20.000,00, inadeguato rispetto all’impegno economico assunto; con riguardo al danno, la società aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro l’altra contraente RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del predetto importo, decreto che, sebbene revocato per l’esistenza di una clausola arbitrale, prova il danno ‘nella sua storicità’, integrato dal mancato guadagno;
b) la domanda di accertamento della responsabilità in capo a NOME COGNOME, socio sovrano e finanziatore, proposta dal COGNOME in primo grado è ammissibile, essendo stata formulata chiaramente dal convenuto con l’atto di chiamata in causa di terzi, ed è altresì fondata, come comprovato dai documenti e dalle testimonianze assunte, dai quali risulta il ruolo centrale del COGNOME e la sua partecipazione effettiva alle scelte gestorie più importanti della società, quale la stipula del detto contratto;
c) la domanda di manleva proposta dal COGNOME contro NOME COGNOME, amministratore anch’egli, è ammissibile, essendo stata formulata con l’atto di chiamata in causa, a nulla rilevando la diversa enunciazione nella comparsa di risposta dell’originario convenuto, ed è altresì fondata, essendo stato il COGNOME nominato amministratore della società in data anteriore, sebbene di pochi giorni, alla conclusione del contratto in questione, avendo il teste ascoltato dichiarato che entrambi avevano condotto effettive trattative per la conclusione del contratto con la RAGIONE_SOCIALE
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione da NOME COGNOME, affidato a due motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, il primo proponendo altresì ricorso incidentale per cinque motivi ed il
secondo ricorso incidentale condizionato al mancato accoglimento del ricorso principale per due motivi.
Ai due ricorsi incidentali resiste NOME COGNOME con controricorso.
Ha depositato controricorso anche la RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE
Le parti hanno depositato le memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il ricorso principale di NOME COGNOME propone due motivi, che denunziano:
la violazione degli artt. 1218, 2476 e 2697 c.c., per avere la corte d’appello ritenuto il decreto ingiuntivo, ottenuto contro la società amministrata RAGIONE_SOCIALE e pure revocato, idoneo a provare il credito risarcitorio avverso l’amministratore;
la violazione degli artt. 1218, 1223, 2476 e 2697 c.c., per avere la corte d’appello ritenuto di poter individuare il danno risarcibile nella mera esistenza di un credito della società verso la RAGIONE_SOCIALE, senza affatto verificare che quel credito si fosse risolto in una perdita per la società in quanto inesigibile, né aver verificato se la società avesse dato corso alle tutele possibili per l’esazione del medesimo, sino all’istanza di fallimento della società debitrice RAGIONE_SOCIALE o all’azione ex art. 2331 c.c. verso l’amministratore che aveva agito prima della costituzione della società.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto vertono sulla medesima doglianza, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Da un lato, invero, è permesso al giudice del merito di trarre elementi di convincimento dalle c.d. prove atipiche, quali sono, per giurisprudenza costante di questa Corte i provvedimenti resi in altro giudizio, e dunque anche un decreto ingiuntivo, per quanto revocato, nella specie in virtù di una clausola arbitrale.
Dall’altro lato, costituisce accertamento di merito, operato dalla corte territoriale e dal tribunale, reputare provata l’esistenza di un credito della società rimasto insoddisfatto e divenuto irrecuperabile, avendo in tal modo i giudici del merito reputato di liquidare, ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno in misura pari al credito andato perduto.
A fronte di un simile accertamento di fatto, operato già dal giudice di primo grado, era quindi onere dell’appellante e, poi, del ricorrente dedurre che al contrario il credito manteneva un effettivo valore patrimoniale, in quanto recuperabile, in tutto o almeno in parte.
Ed invece, dopo la condanna operata dal tribunale con la sentenza di primo grado, l’appellante nulla dedusse circa la ritenuta irrecuperabilità del credito, opponendo al contrario la sussistenza effettiva del credito medesimo nel patrimonio della società amministrata, in quanto l’appellante opinò di dedurre soltanto come risulta dalla sentenza impugnata e dal ricorso -con riguardo alla sussistenza o no dell’inadempimento ai doveri gestori, in nulla censurando già la prima con riguardo all’esistenza del danno.
Se, infatti, non è data l’automatica traduzione di un credito societario in una perdita per la società, atteso il necessario rispetto del principio generale di commisurazione del risarcimento alle conseguenze immediate e dirette della condotta, ai sensi dell’art. 1223 c.c., ciò vuol dire che quel credito si traduce, però, in un danno risarcibile, ogniqualvolta e nella misura in cui nel patrimonio sociale quel credito non sia più pari al valore nominale, in quanto sia ridotta o vanificata ogni possibilità di soddisfarlo nella misura pari a tale valore.
La minor misura del valore effettivo del credito dipende da fattori concreti, per l’alea connessa al possibile, probabile o certo inadempimento da parte del debitore: quest’ultimo potrebbe
adempiere pagando in toto l’importo corrispondente, oppure no (si pensi al versamento di una somma inferiore, ma anche al tempo dell’adempimento, agli interessi pagati, ai costi di esecuzione, alla svalutazione sopravvenuta). Il rischio, o la certezza, di insoddisfazione del credito dipende dunque dall’esistenza e dalla misura dell’adempimento da parte del debitore (si veda, sia pure sotto il profilo delle valutazioni di bilancio, Cass., sez. I, 18 marzo 2015, n. 5450).
Nella specie, dunque, avendo la corte territoriale accertato la insoddisfazione del credito, ha in tal modo chiarito la sua decisione circa la determinazione del danno patito dalla società.
Il ricorrente, invece, non ha censurato la decisione con riguardo al profilo della sussistenza stessa del suo inadempimento, né ha ammissibilmente dedotto alcuna violazione dell’art. 1227 c.c., ma si è limitato a contrastare l’accertamento in fatto compiuto dalla corte territoriale, onde al riguardo i motivi sono inammissibili.
-I motivi del ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME censurano quanto segue.
2.1. -Il primo motivo deduce la violazione degli artt. 163, 167 e 183 c.p.c., perché la domanda di accertamento della sua corresponsabilità era stata proposta dal COGNOME solo nella seconda memoria di cui al secondo comma dell’art. 183 c.p.c. ed era quindi inammissibile.
Il motivo è infondato, perché non supera l’accertamento del contenuto della domanda, come operato dalla sentenza impugnata, anzi risultando dallo stesso ricorso incidentale che quella domanda era stata invero proposta nelle conclusioni dell’atto di chiamata in causa.
2.2. -Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 1218, 1292, 2476 e 2967 c.c., per avere la corte d’appello ritenuto corresponsabile anche il ricorrente, che non era un amministratore
di diritto, senza nemmeno indicare a che titolo tale responsabilità sia stata affermata.
Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 2727, 2729 e 2967 c.c., perché non sussistono elementi idonei a fondare la prova del suo concorso in responsabilità.
Il due motivi impingono nel merito, avendo la corte territoriale accertato, con apprezzamento di fatto ad essa riservato, che NOME COGNOME era un socio ‘sovrano’ e finanziatore, che ebbe, come provano i documenti e le testimonianze assunte, un ruolo centrale nelle scelte gestorie e nella stipula del detto contratto.
2.3. -Il terzo motivo deduce, in relazione al medesimo profilo, la motivazione omessa, tuttavia esistente e niente affatto inferiore al c.d. minimo costituzionale.
2.4. -Il quarto motivo deduce, in subordine, la violazione dell’artt. 2476, commi 1 e 7, c.c., in quanto egli non era socio, ma socia era la società dal medesimo amministrata, onde solo questa avrebbe potuto essere convenuta per concorso nella produzione del danno insieme agli amministratori di diritto, ma ciò non è avvenuto.
Il motivo è inammissibile, perché il mancato coinvolgimento della socia non escludeva che i giudici del merito potessero ravvisare, in base alle circostanze del caso concreto e come in effetti avvenuto, che un concorso causale con la condotta gestoria fu posto in essere dal ricorrente in proprio.
-Il ricorrente incidentale COGNOME ha espressamente condizionato il suo ricorso alla circostanza del mancato accoglimento del ricorso principale, onde va esaminato.
Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 183 c.p.c., in quanto l’attore chiamante in causa avrebbe proposto una domanda nuova. Il motivo è palesemente infondato, dal momento che era senz’altro tempestiva la domanda formulata con la citazione del
terzo in giudizio, restando irrilevante la non compiuta formulazione nell’ambito della richiesta di chiamata del terzo contenuta nella comparsa di risposta.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 2476 c.c., in quanto il contratto fu concluso appena quattro giorni lavorativi dopo il suo insediamento nella carica di amministratore ed egli si limitò a prenderne atto. Il motivo è inammissibile, in quanto propone esclusivamente censure di merito.
-In conclusione, tutti i ricorsi debbono essere respinti.
Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente principale NOME COGNOME verso la società, nonché dei ricorrenti incidentali NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti del ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed i ricorsi incidentali; condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese di lite in favore della RAGIONE_SOCIALE, liquidate in € 20.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge; condanna NOME COGNOME al rimborso delle spese di lite in favore di NOME COGNOME, che liquida in € 7.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge; condanna NOME COGNOME al rimborso delle spese di lite in favore di NOME COGNOME, che liquida in € 7.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Dichiara che sussistono presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello richiesto, se dovuto, per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 marzo