Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11037 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11037 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27292/2019 R.G. proposto da :
BPER RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMEricorrente- contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
nonchè contro
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrenti-
nonchè contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME NOME
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
nonchè contro
COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, CREDITO COMMERCIALE RAGIONE_SOCIALE LCA, MACOVEI IRINA LILIANA
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1762/2018 depositata il 15/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. – Il ricorso riguarda la sentenza del 15 novembre 2018 con cui la Corte di Appello di Salerno ha -per quanto qui interessa in ragione dei motivi di ricorso- confermato la sentenza con cui il locale Tribunale aveva parzialmente accolto la domanda con cui, nel 1997, RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE per azioni unipersonale, incorporata poi da Banca Popolare dell’Emilia Romagna socRAGIONE_SOCIALE, poi trasformata in BPER Banca s.p.a.) aveva proposto l’azione di responsabilità nei confronti di NOME
COGNOME in qualità di A.D. della società, NOME COGNOME, NOME COGNOME quali amministratori non esecutivi, nonché dei sindaci della società NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (cui poi sono succeduto gli eredi NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME), ed infine NOME COGNOME, A.D. della società controllante RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE (di seguito CCT), per ottenere il risarcimento del danno pari a lire 4.842.868.561 (euro 2.501,32,88) oltre interessi, asseritamente derivante da un’operazione -decisa dall’A.D. (a ciò indotto dal COGNOME, AD della controllante all’80%) su cui non avevano vigilato gli amministratori non esecutivi né i sindaci – che aveva generato due ingenti crediti (l’uno nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, l’altro nei confronti della sua controllante società RAGIONE_SOCIALE) che erano divenuti di fatto inesigibili (per il fallimento della RAGIONE_SOCIALE e per l’infruttuoso esito dell’esecuzione forzata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, costringendo la RAGIONE_SOCIALE a svalutare totalmente i crediti, ad azzerare per la perdita il capitale sociale e a ricostituirlo con emissione di nuove azioni tutte poi sottoscritte dal socio di maggioranza RAGIONE_SOCIALE società nel frattempo posta in liquidazione coatta amministrativa.
COGNOME, COGNOME COGNOME, COGNOME, e COGNOME avevano chiesto il rigetto della domanda; NOME COGNOME, costituendosi, aveva chiesto ed ottenuto di chiamare in giudizio CCT (deducendo che l’operazione era stata effettuata nell’interesse di CCT) e Banca Popolare dell’Emilia Romagna (BPER, cessionaria dei delle attività e passività di CCT in l.c.a.); il sindaco NOME COGNOME aveva chiesto ed ottenuto la chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE(poi Unipol Assicurazioni s.p.a.). I chiamati si erano costituiti in giudizio, RAGIONE_SOCIALE e BPER aderendo alla domanda di RAGIONE_SOCIALE .
– Per l’intelligenza della vicenda, nei limiti di quanto occorre per scrutinare i motivi di censura della sentenza impugnata, giova riferire che:
quanto all’operazione finanziaria infragruppo: (i) l’A.D. COGNOME aveva chiesto alla capogruppo RAGIONE_SOCIALE l’apertura di un rapporto di conto corrente destinato a regolare i movimenti finanziari intercorrenti tra le due società sul quale aveva fatto accreditare ingenti disponibilità della società provenienti in gran parte dal pagamento, eseguito dalla società controllante RAGIONE_SOCIALE, delle somme dovute alla società attrice per i servizi resi (principalmente gestione del centro di calcolo e della contabilità della controllante) le quali venivano poi utilizzate per eseguire ulteriori operazioni finanziarie; (ii) tra queste quella di acquisto di una polizze di credito commerciale per lire 3.801.000.000, emessa da RAGIONE_SOCIALE (controllata dalla capogruppo RAGIONE_SOCIALE la quale come detto – era controllante anche di RAGIONE_SOCIALE, e di cui COGNOME era rispettivamente socio di maggioranza e RAGIONE_SOCIALE); (iii) poco prima della scadenza della polizza COGNOME anticipava al Lambiase che la debitrice RAGIONE_SOCIALE avrebbe richiesto una proroga, ma stante la contestazione del COGNOME – su indicazione dello stesso COGNOME, il credito era stato ceduto a Parfin; (iv) di detta cessione e dell’operazione sottostante l’origine del credito, il COGNOME aveva informato i sindaci e il consiglio d’amministrazione, il quale aveva preso atto delle operazioni compiute sottolineando che non vi era stata l’autorizzazione necessaria al loro compimento stante l’importo della stessa che oltrepassava il limite della delega; perciò lo invitava a porre in essere ogni operazione necessaria al rientro immediato dal credito e decideva di revocare le deleghe a suo tempo conferite al COGNOME è nominato procuratore della società l’ing. COGNOME; la società otteneva dal Tribunale di Bari decreti ingiuntivo nei confronti della Progetti immobiliari e di Prefin con l’esito infruttuoso predetto;
b) il Tribunale di Salerno, accoglieva la domanda nei confronti di NOME COGNOME NOME condannandolo al risarcimento del danno che quantificato in € 2.089.715,15, oltre accessori e spese in favore di RAGIONE_SOCIALE per azioni unipersonale in cui nel frattempo RAGIONE_SOCIALE si era trasformata; rigettava, invece, la domanda proposta nei confronti degli altri originari convenuti nonché le ulteriori domande spiegate da alcuni di essi nei confronti dei terzi chiamati;
c) contro tale sentenza ha – per quanto qui rileva – interposto appello BPER RAGIONE_SOCIALE p.aRAGIONE_SOCIALE, deducendo: (i) un errore materiale nella quantificazione del danno materiale in quanto la cifra indicata in lire 3.081.258 240 doveva essere corretta in quella di lire 3.801.258.200 (pari della polizza commerciale non pagata dalla RAGIONE_SOCIALE cui doveva aggiungersi il saldo attivo del conto corrente con la RAGIONE_SOCIALE non soddisfatto); (ii) l’erroneità della decisione di rigetto della domanda nei confronti degli altri amministratori che – prima dell’operazione contestata -appreso il fatto che L’A.D. effettuava operazioni finanziarie ad alto rischio che non rientravano nell’oggetto sociale, anziché revocare la delega al Lambiase, avevano ratificato l’attività sino a quel momento compiuta e risoltasi positivamente per la società, ed imposto il limite di 300 milioni di lire per future analoghe operazioni, laddove la revocato della delega avrebbe impedito all’A.D. di commettere le ulteriori gravi violazioni foriere del danno dedotto in giudizio; ed in ogni caso erano venuti meno al dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione; (iii) l’erronea decisione di rigetto della domanda nei confronti dei sindaci – presenti alle riunioni del CdA in cui erano state assunte le decisioni predette – che avrebbero dovuto reagire alla delibera di ratifica dell’operato dell’A.D. convocando urgentemente l’assemblea o segnalando al Pubblico Ministero e che, prima ancora, avevano omesso i controlli sul rispetto dei limiti gestori imposti
all’amministratore che avrebbe permesso di individuare l’illiceità dell’operazione eseguita; (iv) l’erroneità della decisione di rigetto della domanda nei confronti di NOME COGNOME che non si fondava dal presupposto che questi fosse l’amministratore di fatto, socio sovrano o tiranno della società attrice, bensì sulla sua responsabilità extracontrattuale per il fatto di aver indotto NOME all’inadempimento contestato del mandato gestorio, come sarebbe stato risultato in causa per effetto dedotto dallo NOME COGNOME a suo difesa e delle testimonianze raccolte nel giudizio di primo grado
3. La Corte d’appello respingeva il gravame, confermando la sentenza impugnata quanto alla condanna di COGNOME dichiarando la carenza di legittimazione passiva di NOME COGNOME, quale successore del primo nel frattempo deceduto che aveva rinunciato all’eredità, ed inammissibili la domanda volte alla correzione della quantificazione del danno, e respingendo i motivi d’appello relativi al rigetto delle domande nei confronti degli altri convenuti, osservando in ordine al danno, che mancava, altresì, la prova della sua sussistenza e del fatto che esso fosse stato causato dal comportamento illecito dei convenuti, non potendo questo essere ridotto ad una perdita contabile generata dal fatto che i crediti verso la RAGIONE_SOCIALE e verso RAGIONE_SOCIALE erano stati integralmente svalutati per le ragioni dette, ed irrecuperabili. Invero il credito verso RAGIONE_SOCIALE (controllata da RAGIONE_SOCIALE) derivava da un prestito che la RAGIONE_SOCIALE le aveva effettuato ma nell’effettivo interesse della CCT (società anch’essa controllata dalla RAGIONE_SOCIALE e amministrata da COGNOME NOME) poiché quest’ultima aveva un credito verso la predetta Progetti Immobiliari che veniva estinto proprio con detto prestito per erogare il quale RAGIONE_SOCIALE aveva attinto ad un affidamento per £ 3 miliardi che la CCT stessa le aveva all’uopo concesso in aggiunta all’originario affidamento già in essere di £ 700 milioni. Perciò una parte consistente del prestito
effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE proveniva da risorse messe a disposizione dalla CCT che, poi, aveva utilizzato il suo credito verso la RAGIONE_SOCIALE per ricapitalizzare quest’ultima di cui era socio di maggioranza. Perciò all’esito della complessa operazione si doveva affermare che il preteso danno subito dalla RAGIONE_SOCIALE non poteva essere individuato né nel credito, né nella sua irrecuperabilità. Esso avrebbe dovuto identificarsi piuttosto con l’esito finale delle operazioni, cui si è accennato; un danno che non era stato né allegato, né dimostrato.
Né il passaggio in giudicato della pronuncia di responsabilità di NOME COGNOME vincolava l’esito della cognizione riguardo alla responsabilità degli altri soggetti che doveva essere esclusa dal momento che benché i prestiti contestati fossero stati effettuati dall’A.D. COGNOME su influenza del COGNOME amministratore delegato della CCT nell’interesse di questa (e della capogruppo RAGIONE_SOCIALE), non era emerso un danno al patrimonio sociale al netto delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla CCT.
4- Contro la Sentenza Propone ricorso BPER Banca s.p.a. affidato a quattro motivi di cassazione, corredato di memoria. Resistono con controricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME che spiegano altresì ricorso incidentale, che si vedrà essere condizionato, con un motivo, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Rimangono intimati gli altri. COGNOME e COGNOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DI DIRITTO
– Il primo motivo di ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 586 c.c., 102 e 110 c.p.c., in quanto, all’esito della rimessione sul ruolo della causa per verificare se – stante la rinuncia all’eredità della sig. COGNOME vedova dell’A.D. NOME COGNOME -vi fossero altri successibili, e della verifica che dal certificato di estratto di famiglia storico, risultava in qualità di moglie la sig. NOME COGNOME il cui stato civile,
tuttavia, risultava «libera», aveva affermato che, la circostanza che non vi fossero successibili unitamente a quella della mancanza di nomina di un curatore dell’eredità giacente, induceva a ritenere che le domande di correzione e di revisione dell’entità della condanna al risarcimento dei danni fossero dichiarate inammissibili, laddove l’accertamento della mancanza di successibili avrebbe dovuto indurre la Corte a disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dello Stato (cita in tal senso, con riferimento ad una ipotesi di litisconsorzio necessario, Cass., 4.3.2008, n. 5794), in quanto l’appellante aveva interesse alla correzione della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva erroneamente quantificato il danno.
1.1. – Il motivo è inammissibile già in ragione della sua formulazione, laddove è la stessa ricorrente a richiamare -a fondamento della sua tesi – un principio concernente il caso del litisconsorzio necessario, principio che come tale non è utilmente invocato in relazione alla vicenda in esame, in cui non ricorre affatto l’ipotesi contemplata dall’articolo 102 c.p.c., il quale stabilisce al primo comma che: « Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo », e soggiunge al secondo che: « Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito ».
L’esigenza di integrazione del contraddittorio prevista dal secondo comma dell’articolo 102 c.p.c., dunque, intanto sussiste, in quanto il giudizio sia stato introdotto da alcuni soltanto dei litisconsorti necessari ovvero nei confronti di alcuni soltanto di essi: non invece nell’ipotesi in cui il giudizio sia stato instaurato nei confronti di persone che non detengono la qualità di litisconsorti necessari, rispetto al soggetto, in questo caso lo Stato, che si
vorrebbe chiamato in giudizio per via di integrazione necessaria del contraddittorio.
Invero, nel nostro caso si versa in ipotesi di azione di responsabilità di amministratori e sindaci di RAGIONE_SOCIALE, con i quali avrebbe concorso ab externo il COGNOME, ovvero un caso in cui il litisconsorzio è meramente facoltativo, giacché la domanda risarcitoria trova fondamento nell’allegato compimento di fatti di mala gestio tali da configurare un’ipotesi di obbligazione solidale passiva, con l’ulteriore conseguenza che il creditore, come è libero di agire in giudizio contro uno qualsiasi dei pretesi condebitori, così è libero di proporre impugnazione nei confronti di uno soltanto o di alcuni di essi (Cass. n. 20476/2008, in caso di interruzione del giudizio di appello e riassunzione di esso nei confronti di alcuni soltanto degli appellati; analogamente Cass. n. 7907/2012; sul carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria di amministratori e sindaci p. es. Cass. n. 16050/2009).
Poiché la censura sottoposta all’esame di questa Corte si fonda sull’asserita violazione dell’art. 102 c.p.c., oltre che degli artt. 110 c.p.c. e 586 c.c., quindi sull’esigenza di integrazione necessaria del contraddittorio prospettata sull’assunto dell’inscindibilità della causa, mentre non v’è alcun cenno ad un nesso di dipendenza tra le cause tale da giustificare il dovere del giudice di disporre l’integrazione del contraddittorio non per inscindibilità, ma ai sensi della seconda parte del primo comma dell’articolo 331 c.p.c., non è compito della Corte interrogarsi se l’esigenza di chiamare in appello l’avente causa del medio tempore defunto COGNOME (secondo la ricorrente lo Stato, potesse discendere (v. p. es. Cass. 29 dicembre 2023, n. 36420 ) dalla dipendenza dell’accertamento in ordine alla omessa vigilanza da parte di alcuni degli originari convenuti rispetto all’addebito della condotta commissiva in tesi posta in essere da COGNOME–COGNOME.
1.2D’altro canto, l’integrazione necessaria del contraddittorio neppure poteva trovare giustificazione, nel caso di specie, nel fermo principio secondo cui, in caso di morte di una parte nel corso del giudizio, i suoi successori a titolo universale sono tutti litisconsorti necessari quando abbiano acquistato la qualità di eredi per accettazione espressa o tacita (a mero titolo di esempio Cass. 16 febbraio 2025, n. 3959), come noto, infatti, secondo l’articolo 521 c.c., « Chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato ». La norma sancisce, cioè, il principio -parallelo a quello della retroattività dell’accettazione di cui al comma 2 dell’art. 459 c.c. della retroattività della rinuncia all’eredità, la quale comporta che la rinuncia travolge la delazione nei confronti del rinunciante con effetto dal momento dell’apertura della successione, aprendo la strada alla delazione nei confronti dei chiamati in via successiva. Il che, nel complesso, concorre a disegnare il fenomeno della successione per causa di morte, in dipendenza del quale l’erede subentra senza soluzione di continuità nei rapporti giuridici trasmissibili che facevano capo al defunto.
Val quanto dire che, nel caso di specie, COGNOME COGNOME – la quale, secondo la corte d’appello, ha validamente rinunciato all’eredità del COGNOME -altro non è che un’estranea alla vicenda dedotta in giudizio, sicché l’appello proposto nei suoi confronti non giustificava l’integrazione del contraddittorio nei confronti dello Stato in veste di erede legittimo, tale secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 5794/2008); d’altro canto nessuna censura è stata rivolta all’accertamento operato dalla Corte territoriale -e quindi insindacabile in questa sede – secondo cui, risultando dal certificato acquisito che tale « NOME in qualità di moglie », era di stato civile « libera », ciò consentiva di escludere con certezza la sussistenza di chiamati fino al sesto grado secondo la previsione dell’articolo 565 c.c., con conseguente
insussistenza dei presupposti per la dichiarazione di giacenza dell’eredità ai sensi dell’articolo 528 c.c.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2392 c.c., nel testo vigente ante riforma del 2003, in quanto
3.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2384 e 2407, comma secondo, c.c., nel testo vigente ante riforma del 2003.
4.- Detti motivi sono manifestamente inammissibili e per le stesse ragioni sicché possono essere trattati simultaneamente.
Essi denunciano violazione degli articoli 2392, 2384 e 2407, comma secondo, c.c., ovvero le disposizioni che riguardano la responsabilità degli amministratori e dei sindaci.
Secondo la Corte d’appello « Nella fattispecie non sono state dimostrate violazioni di doveri da parte degli amministratori. Invero, essi non avevano alcun obbligo di revocare la delega rilasciata all’amministratore delegato … Se nonostante la conoscenza del superamento dei limiti della delega da parte dell’amministratore delegato, gli altri componenti del consiglio di amministrazione non provvedono alla revoca, significa che essi ne condividono l’operato; ciò rientra nella discrezionalità dell’organo amministrativo. Le operazioni dell’A.D. condivise nella riunione del 19.12.1995, sono quelle anteriori a tale data, risultate tutte con esito positivo, a differenza di quelle poste in essere nel 1996, che hanno condotto a una perdita contabile. La dimostrazione della violazione di doveri manca, altresì, riguardo all’operato dei sindaci. Essi in presenza della eccedenza dai limiti della delega da parte dell’A.D. e della ratifica del suo operato, avvenuta nella riunione del 19.12.1995, non avevano né l’obbligo di convocare urgentemente l’assemblea dei soci, né di denunciare il fatto al pubblico ministero; la violazione della delega, invero, non costituisce violazione della legge, né a maggior ragione costituisce reato » .
Orbene, è noto che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; tra le moltissime pronunce non massimate sul punto, cfr. di recente: Cass. 14 dicembre 2024, n. 32475; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32040; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32036; Cass. 18 novembre 2024, n. 29580).
Nel caso di specie è di tutta evidenza che il secondo e terzo motivo di ricorso per cassazione non si misurano con il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, bensì con la concreta applicazione che il giudice di merito ne ha fatto: infatti la ricorrente addebita alla Corte d’appello di non aver tenuto conto dell’obbligo di vigilanza incombente su amministratori e sindaci, laddove la valutazione compiuta dal giudice di merito ne esclude la responsabilità quanto ai primi, gli amministratori non delegati, perché questi avevano condiviso le operazioni poste in essere dal COGNOME il che rientrava « nella discrezionalità dell’organo amministrativo » – sicché la ricorrente quanto a questi convenuti neppure coglie la ratio decidendi rispetto alla quale muove una censura non pertinente, quanto ai sindaci, perché costoro, a fronte della ratifica dell’operato dell’amministratore delegato, « non avevano né l’obbligo di convocare urgentemente l’assemblea dei soci, né di denunciare il fatto al pubblico ministero », dunque si duole del rigetto nel merito delle censure, in quanto non condivide le ragioni del ragionamento decisorio, non perché detto
ragionamento rappresenti una errata interpretazione e ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme invocate.
Il quarto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 132 c.p.c., 1223 e 2697 c.c. a proposito dell’accertamento circa l’insussistenza del danno compiuto dalla Corte d’appello, che la ricorrente ritiene frutto di una motivazione che definisce «incomprensibile» dunque inesistente, laddove il danno doveva identificarsi nella perdita derivante dalla mancata restituzione delle somme erogate a RAGIONE_SOCIALE e nei costi necessari per il tentativo di recupero, ma soprattutto nella conseguente perdita dell’intero patrimonio sociale che costrinse la società all’azzeramento del capitale sociale e alla sua ricostituzione; per cui l’affermazione della Corte d’appello per cui il danno non sarebbe stato provato violava apertamente gli articoli 1223 e 2697c.c.
5.1- Il motivo è chiaramente inammissibile.
Quanto alla dedotta violazione dell’obbligo motivazionale, che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al « minimo costituzionale » del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto
di « sufficienza » della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Nel caso di specie la motivazione, riportata poco nella ricostruzione dei fatti, non solo c’è ma neppure manifesta alcuno dei quattro vizi sopra elencati: in particolare, non è affatto vero che la motivazione sia incomprensibile, giacché è agevolmente sintetizzabile nel senso che il denaro perso dalla società era in realtà denaro proveniente da Credito Commerciale Tirreno RAGIONE_SOCIALE la quale peraltro quale socio di maggioranza all’80%, all’esito della svalutazione dei crediti e dell’azzeramento del capitale aveva interamente sottoscritto le azioni in sede di sua ricostituzione, azzerando gli effetti dannosi dell’operazione: motivazione di merito che semplicemente si sottrae al sindacato della Corte di cassazione.
5.2Erroneo è poi il richiamo all’art. 2697 c.c., giacché la sua violazione si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando si deduca, a seguito di una non condivisione della valutazione delle acquisizioni istruttorie, che il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949): e nel caso di specie un simile ribaltamento del riparto degli oneri probatori non è in effetti neppure compreso nel motivo spiegato.
5.3Quanto alla violazione dell’art. 1223 c.c., valgono le considerazioni poc’anzi svolte: nel motivo non viene in discussione il precetto in se stesso dettato dalla norma, ma il governo del materiale istruttorio fatto dalla corte territoriale al fine di escludere che il danno dedotto in giudizio fosse stato provato.
Con l’unico mezzo del ricorso incidentale i resistenti eredi Testa denunciano error in procedendo per violazione del secondo comma dell’articolo 350 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza di appello derivante da violazione dell’articolo 137 e seguenti c.p.c. in connessione con gli articoli 300 e 303 c.p.c., legittima presentazione, non tardiva, della certificazione di accettazione beneficiata.
6.1- Il ricorso incidentale è assorbito dovendo essere considerato come ricorso condizionato come si desume da quanto affermato a pagina 12 del ricorso medesimo, ove è detto che, ove « il ricorso per Cassazione dovesse essere infondato, e Questa Corte, nella trattazione della questione più liquida, dovesse indirizzarsi verso tale conclusione, rimandare il processo alla fase di merito significherebbe ritardare senza motivo la conclusione della vicenda in violazione delle norme sul giusto processo ».
7.- In conclusione il ricorso principale va dichiarato inammissibile e quello incidentale è assorbito. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed assorbito quello incidentale; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna parte controricorrente, liquidate per ciascuna nell’importo di euro 20.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° sezione