Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21142 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21142 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
R.G.N. 3405/2019 C.C. 21/05/2024
SANZIONI AMMINISTRATIVE BANCA D’ITALIA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio, in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su separato foglio materialmente congiunto al controricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e elettivamente domiciliata presso gli stessi, in Roma, INDIRIZZO;
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4110/2018, pubblicata il 15 giugno 2018;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 21 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il provvedimento n. prot. 27061 del 12 gennaio 2016, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia irrogava a COGNOME NOME, nella qualità di componente del CdA della RAGIONE_SOCIALE, la sanzione di euro 33.000,00 per:
carenze nell’organizzazione dei controlli interni con particolare riferimento alla gestione del rischio di credito e al patrimonio, da parte del CdA (art. 107, comma 2, d. lgs. n. 385/1993, nel testo applicabile ai sensi dell’art. 10 del d. lgs. n. 141/2010, come modif. dall’art. 7 del d. lgs. n. 218/2010 e dall’art. 5 del d. lgs. n. 162/2012, nonché parte prima capp. V e VI Istruz. di vigilanza Intermediari Elenco Speciale circ. 216/2012; art. 2 DM 2.04.1999);
posizioni ad andamento anomalo e previsione di perdite non segnalare all’Organo di vigilanza da parte del CdA del collegio sindacale e del direttore generale (art. 107, comma 3, d. lgs. n. 385/1993, nel testo applicabile ai sensi dell’art. 10 del d. lgs. n. 141/2010, come modif. dall’art. 7 del d. lgs. n. 218/2010, nonché parte prima cap. VIII Istruz. di vigilanza Intermediari Elenco Speciale circ. 216/2012).
Detto provvedimento veniva opposto dal COGNOME dinanzi alla Corte di appello di Roma, che, nella costituzione della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, con sentenza n. 4110/2018, la respingeva integralmente, condannando l’opponente alla rifusione delle spese giudiziali.
In particolare, per quanto ancora di interesse nella presente sede, la Corte laziale:
-rigettava il motivo sulla dedotta violazione del principio del ‘contraddittorio pieno’, del diritto di difesa in sede istruttoria (per
mancato esercizio del diritto all’ultima parola avanti al Direttorio), nonché il difetto di motivazione espressa del provvedimento sanzionatorio (prospettando l’inammissibilità della motivazione ‘per relationem’) e la violazione del principio di separazione tra funzione istruttoria e decisoria, nell’ambito della procedura sanzionatoria promossa dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia;
-rigettava i motivi di merito relativi alla contestazione dei doveri incombenti sugli amministratori di intermediario finanziario, non avendo, nella fattispecie, il COGNOME valutato adeguatamente e segnalato il rischio di liquidità e la rischiosità del portafoglio, che si erano venuti a manifestare soprattutto nella seconda metà del 2012, allorquando le banche avevano cessato di concedere credito alla RAGIONE_SOCIALE, così contravvenendo all’obbligo di agire in modo informato, di provvedere ad interventi di riduzione e di riesame dei finanziamenti, oggettivamente più rischiosi rispetto all’originaria prevalente attività di concessione di leasing in favore di farmacie;
-rigettava il motivo relativo alla contestazione delle operazioni con parti correlate o in conflitto di interesse, evidenziando che quest’ultima materia era già stata fatta oggetto di precedente ispezione dell’Organo di vigilanza, risalente al 2011, allorquando gli ispettori avevano accertato l’erogazione di finanziamenti per euro 22,7 milioni a favore di farmacie socie ed affiliate alla società RAGIONE_SOCIALE, nella quale il Presidente e l’Amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE rivestivano le principali cariche amministrative, il tutto – pur avendo l’opponente gli elementi per apprezzare l’anomala situazione -senza procedere ad alcuna comunicazione circa le ragioni e la convenienza dei finanziamenti, in base a quanto previsto dall’art. 2391 c.c.;
-respingeva anche il motivo attinente alle posizioni ad andamento anomalo e alle previsioni di perdite;
-rigettava, infine, anche il motivo relativo alla contestazione della congruità della sanzione, siccome da considerarsi adeguatamente motivata e giustificata nel ‘quantum’ alla stregua delle funzioni svolte e degli specifici obblighi gravanti sull’opponente quale componente del Consiglio di amministrazione.
Avverso la citata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, il COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso l’intimata RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente ha, innanzitutto, denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione del principio del giusto procedimento in relazione all’art. 6 CEDU e agli artt. 24 e 111 Cost., contestando la ritenuta inapplicabilità – con la sentenza impugnata – dell’assimilazione della sanzione amministrativa alla sanzione penale e, dunque, la non pertinenza dei principi dettati dalla CEDU con riferimento alle sanzioni del TUB per violazione dei divieti in materia di ‘market abuse’, avuto riguardo ai doveri complessivamente evincibili dall’art. 144 dello stesso TUB.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione del principio del contraddittorio (pieno), risolvendosi la procedura sanzionatoria azionata dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia in un procedimento escludente ogni possibilità di difesa dinanzi all’organo titolare della funzione decisoria.
Con il terzo motivo il ricorrente ha lamentato l’omessa considerazione di fatti decisivi, contestando la strutturazione della motivazione della sentenza impugnata siccome svolta ‘per relationem’, così mancando di prendere posizione (chiara ed intellegibile) in merito alle doglianze dallo stesso proposte in sede di
opposizione e con riferimento agli addebiti in concreto ascrittigli, limitandosi ad un sostanziale riesercizio ‘ex post’ del potere dell’organo sanzionatorio amministrativo.
Con il quarto motivo il ricorrente ha prospettato la illogicità e contraddittorietà delle motivazioni della Corte di appello circa le singole questioni oggetto di contestazione, in uno all’omesso esame di ulteriori fatti decisivi, avuto riguardo alla ravvisata violazione del dovere di agire informati incombente in capo agli amministratori di RAGIONE_SOCIALE, senza considerare le iniziative prese da esso ricorrente all’interno della società RAGIONE_SOCIALE, al fine di valutarne la portata ed eventualmente la capacità esimente ai fini dell’accertamento della inerente responsabilità, omettendosi di valorizzare e (finanche) travisare le difese spiegate in sede di opposizione, anche allo scopo di escludere, eventualmente, la sussistenza dell’elemento psicologico previsto dall’art. 3 della legge n. 689/1981.
Con il quinto motivo il ricorrente ha contestato – in ordine all’art. 360, comma 1, nn. 1, 3 e 5, c.p.c. – l’entità delle sanzioni e della relativa e conseguente condanna alle spese, sul presupposto del difetto di adeguatezza nella valutazione operata per ravvisare la congruità del trattamento sanzionatorio specificamente applicato.
I primi due motivi – esaminabili congiuntamente in quanto all’evidenza connessi -sono destituiti di fondamento.
Sul piano generale si osserva come sia pacifico il principio alla stregua del quale le autorità indipendenti, nello svolgimento delle funzioni di garanzia loro attribuite, perseguono la tutela di interessi collettivi dello Stato -Comunità (quali la libertà del mercato, la tutela del risparmio, il corretto funzionamento della borsa e del sistema creditizio, etc.) e, in taluni casi, di diritti soggettivi individuali (come la tutela della riservatezza) e, nei rispettivi ambiti, esercitano funzioni sanzionatorie, ponendosi quali organi giustiziali, non
equiparabili ad organi di giustizia in senso proprio che pronunciano statuizioni giudiziali. Il procedimento sanzionatorio di cui alla l. n. 262 del 2005 non partecipa, quindi, della natura giurisdizionale del processo tipicamente inteso, che è solo quello che si svolge davanti ad un giudice, e le sanzioni applicate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia ai sensi dell’art. 195 T .U.F. non hanno natura penale, con la conseguenza che non è violato l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ben potendo l’incolpato esercitare tutti i suoi diritti di difesa nella successiva eventuale fase di opposizione, ove si realizza un pieno sindacato giurisdizionale, fino al vaglio di legittimità.
Pertanto, pure nel caso in esame, trova applicazione -premesso che le violazioni ascritte al ricorrente non hanno natura sostanzialmente penale, ma sono pacificamente amministrative – il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il procedimento sanzionatorio davanti alla RAGIONE_SOCIALE d’Italia non viola il diritto di difesa dell’incolpato, atteso che, sebbene l’art. 24, comma 1, della l. n. 262 del 2005 disponga che “i procedimenti sanzionatori sono svolti nel rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione, nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie”, è tuttavia esclusa la diretta applicabilità, in tale ambito, dei precetti costituzionali degli artt. 24 e 111 Cost., invocabili solo con riferimento al processo che si svolge davanti al giudice, innanzi al quale l’incolpato può impugnare il provvedimento sanzionatorio con piena garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio (cfr., per tutte, Cass. n. 16157/2020 e Cass. n. 8237/2019).
È stato anche, in particolare, precisato (v., ad es., Cass. n. 3656/2016 e Cass. n. 24850/2019) che – diversamente da quanto
sostenuto dal ricorrente -le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia ai sensi dell’art. 144 TUB per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187 ter TUF per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, NOME RAGIONE_SOCIALE e altri c. Italia).
Anche il terzo e quarto motivo -esaminabili unitariamente in quanto connessi -sono infondati.
Innanzitutto, deve affermarsi che la motivazione della decisione impugnata non è affatto carente, né strutturata ‘per relationem’ rispetto al contenuto del provvedimento sanzionatorio impugnato, pur condividendone, ma con argomentazioni autonome ed approfondite, i passaggi logico-giuridici per pervenire alla conferma della legittimità di detto provvedimento.
Non sussistono, poi, le violazioni attinenti alla supposta carenza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata sul merito delle violazioni ascritte ed accertate a carico del ricorrente, siccome adeguatamente e compiutamente (senza l’omissione di fatti decisivi) valutate nella loro concreta sussistenza (per quanto desumibile dalla compiuta analisi della verifica degli illeciti commessi dal COGNOME: v. le ampie argomentazioni contenute alle pagg. 6-12 della sentenza), ovvero avuto puntualmente riguardo all’inosservanza di tutti gli specifici doveri incombenti sullo stesso quale componente del CdA.
In via generale si ricorda che la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata (v., tra le tante, Cass. n. 2737/2013 e Cass. n. 22848/2015) nell’affermare che nello specifico settore delle attività bancarie o di intermediazione finanziaria, ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), d.lgs. n. 385/1993 e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo ai componenti del consiglio di amministrazione nel suo complesso e ai singoli consiglieri (anche se privi di deleghe operative). Essi sono sempre tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei requisiti di professionalità di cui sono e devono essere in possesso, ad impedire possibili violazioni. Tale dovere, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6, e dall’art 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i singoli consiglieri devono possedere e attivare una costante ed adeguata conoscenza del business bancario ed, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutti i settori di operatività della banca, oltre che ad attivarsi in modo da esercitare efficacemente la funzione di monitoraggio sulle scelte compiute, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri di direttiva o avocazione riguardo alle attività rientranti nella delega. L’ambito entro il quale deve esprimersi la diligenza dei consiglieri non è mutato neppure a seguito della riforma del diritto societario adottata con d. lgs. n. 6/2003: l’art. 2381, comma 6, c.c., impone un dovere di agire in modo informato, disponendo infine che “ciascun amministratore
può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”; il comma 2 dell’art. 2392 c.c. continua a prevedere che gli amministratori “sono in ogni caso solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.
Occorre, inoltre, evidenziare che, per quanto specificamente attiene ai consiglieri non esecutivi di società RAGIONE_SOCIALE, l’art. 53, lett. b) e d), del t.u.b. prevede che la RAGIONE_SOCIALE d’Italia emani disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, per quanto in questa sede rileva, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e l’organizzazione societaria e dei controlli interni. Le disposizioni attuative sono state dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare 21 aprile 1999 n. 229, e le successive modificazioni ed integrazioni, le quali sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, che si incentrano, per l’intero organo collegiale, proprio in quel compito di monitoraggio e valutazione della struttura operativa. In particolare, il dovere di agire in modo informato gravante sui consiglieri di amministrazione (anche non esecutivi) è stato chiarito da questa Corte – con la sentenza n. 2737/2013 – essere “particolarmente stringente in materia di organizzazione e governo societario delle banche, anche in ragione degli interessi protetti dall’art. 47 Cost., la cui rilevanza pubblicistica plasma l’interpretazione delle norme dettate dal codice civile”: ciò, in quanto la “diligenza richiesta agli amministratori risente della «natura dell’incarico» ad essi affidato ed è commisurata alle «loro specifiche competenze» (art. 2392 c.c.)”.
La sentenza appena richiamata ha ricordato come, sotto questo profilo, il d.lgs. n. 385 del 1993, esiga il possesso, in capo ai soggetti investiti di funzioni di amministrazione presso banche, di determinati requisiti di professionalità (art. 26), mentre le predette Istruzioni di vigilanza attribuiscono al consiglio di amministrazione una quantità di compiti specifici afferenti ai rischi ed al sistema informativo interno, con l’obbligo espresso di adottare “con tempestività idonee misure correttive” “nel caso emergano carenze o anomalie” (titolo IV, capitolo 11, sezione II). Tanto più, pertanto, nell’ambito delle società bancarie, è stato enfatizzato il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi: che -come è già stato posto in risalto – “non è rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dagli amministratori delegati attraverso i rapporti del quali la legge onera questi ultimi, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante ed adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni assunte dall’intero consiglio (al quale è affidata l’approvazione degli orientamenti strategici e delle politiche di gestione del rischio dell’intermediario), hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter utilmente ed efficacemente esercitare una funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi attraverso un costante flusso informativo; e ciò non solo in vista della valutazione del rapporti degli amministratori delegati, ma anche ai fini della diretta ingerenza nella delega attraverso l’esercizio del poteri, di spettanza del consiglio di amministrazione, di direttiva e di avocazione” (v. anche Cass. n. 17799/2014).
Mediante le richiamate disposizioni del testo unico di cui al d.lgs. n. 385 del 1993 e della normativa secondaria, l’ordinamento ripone,
dunque, un particolare affidamento nella specifica competenza degli amministratori, sia pure non esecutivi, in ragione dei loro requisiti di professionalità e, perciò, di una dovuta sensibilità percettiva, nonché nella connessa reazione, che concreta il dovere di ostacolare l’accadimento dannoso: in presenza di segnali d’allarme percepibili da un amministratore diligente secondo la specifica competenza, egli risponde del mancato dovere di attivarsi. Ciò chiarito, la Corte di appello ha puntualmente evidenziato che il COGNOME, nella qualità di componente del CdA della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, è incorso in plurime omissioni o condotte di carente controllo. In particolare, è rimasto provata e, quindi, confermata la mancata attivazione dei doveri per evitare o, comunque, contenere il rischio di liquidità e la rischiosità del portafoglio che si erano venuti a manifestare soprattutto nella seconda metà del 2012, allorquando le banche avevano cessato di concedere credito alla citata RAGIONE_SOCIALE, così contravvenendo all’obbligo di agire in modo informato, di provvedere ad interventi di riduzione e di riesame dei finanziamenti, oggettivamente più rischiosi rispetto all’originaria prevalente attività di concessione di leasing in favore di farmacie.
Ancora, la Corte di appello ha adeguatamente motivato sulla contestazione delle operazioni con parti correlate o in conflitto di interesse, evidenziando che quest’ultima materia era già stata fatta oggetto di precedente ispezione dell’Organo di vigilanza, risalente al 2011, allorquando gli ispettori avevano accertato l’erogazione di finanziamenti per euro 22,7 milioni a favore di farmacie socie ed affiliate alla società RAGIONE_SOCIALE, nella quale il Presidente e l’Amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE rivestivano le principali cariche amministrative, il tutto -pur avendo
l’opponente gli elementi per apprezzare l’anomala situazione -senza procedere ad alcuna comunicazione circa le ragioni e la convenienza dei finanziamenti, in base a quanto previsto dall’art. 2391 c.c.
Inoltre, la Corte laziale ha confermato le violazioni attinenti alle posizioni ad andamento anomalo e alle previsioni di perdite, quelle inerenti alle politiche di monitoraggio del credito e quelle aventi ad oggetto la ‘policy’ sulle rettifiche di valore (per come adeguatamente motivato alle pagg. 12 -13 della sentenza, al cui contenuto condiviso si rimanda).
La giurisprudenza di questa Corte è, altresì, univoca nel ritenere che – in relazione agli illeciti di cui all’art. 144 del d.lgs. n. 385 del 1993 che coinvolgono i soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari -il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della condotta inosservante, sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della l. n. 689 del 1981, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza.
È appena il caso, peraltro, di porre in risalto che le contestazioni tendono a confutare la valutazione di merito compiuta dalla Corte di appello, insindacabile nella presente sede siccome assolutamente
congrua e logica, oltre che rispondente ai principi giuridici reiteratamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Infine, è chiaramente inammissibile o, comunque, infondato il motivo relativo alla contestazione della misura della sanzione, siccome motivatamente ritenuta adeguata dalla Corte di appello avuto riguardo alla natura apprezzabile delle funzioni svolte e degli specifichi obblighi gravanti sullo stesso ricorrente nella qualità rivestita.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 4.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile