Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6589 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6589 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 08065/2023
promosso da
COGNOME NOME , ammesso al patrocinio a spese dello Stato, elettivamente domiciliato in Canosa di PugliaINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per regolamento di competenza ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Barletta, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce alla memoria difensiva;
resistente
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
intimati per regolamento di competenza avverso la sentenza n. 732/2023 del Tribunale di Bari, Sezione specializzata in materia di impresa, pubblicata in data 01/03/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, depositate in data 20/09/2023, che ha chiesto il rigetto del regolamento di competenza;
letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE) – premesso che: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano ricoperto la carica di membri del Consiglio di amministrazione della società attrice (in particolare COGNOME NOME era stato Presidente del Consiglio di amministrazione dal 30/04/2011 al 28/02/2020, COGNOME NOME dal 06/02/2003 al 28/02/2020, COGNOME NOME dal 06/02/2003 al 01/06/2017 e COGNOME NOME dal 01/06/2017, tuttora in carica); gli amministratori non avevano adempiuto ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, nonché dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, in violazione dell’art. 2392 c.c.; la suddetta società aveva intrapreso un programma costruttivo per la realizzazione, nel nuovo Piano di Zona 167 del Comune di Barletta, di edifici abitativi di edilizia convenzionata, seguita dalle convenzioni sottoscritte tra il Comune di Barletta e la RAGIONE_SOCIALE in data 11/12/2009 e in data 30/03/2010; nel
2008 COGNOME NOME, in qualità di socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, sottoscriveva un contratto ‘project manager’ con la suddetta società, presieduta all’epoca da COGNOME NOME, socio accomandante della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e coniuge del COGNOME; il contratto in questione era stato stipulato in assenza di autorizzazione da parte dell’assemblea dei soci, nonché sottoscritto dal Vicepresidente della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, in assenza di delega; la RAGIONE_SOCIALE aveva cambiato denominazione per assumere l’attuale denominazione di RAGIONE_SOCIALE, non modificando la compagine sociale, sempre costituita da COGNOME NOME e dalla moglie COGNOME NOME; nel novembre 2011 COGNOME NOME succedeva alla moglie alla presidenza, ponendo in essere una serie di pagamenti in assenza di deliberazione e autorizzazione da parte del Consiglio di amministrazione; gli amministratori non avevano provveduto ad adeguare lo Statuto alla normativa della società per azioni, nonché a dotarsi dell’organo di revisione legale ai sensi dell’art. 2409 bis c.c., nonostante la presenza dei presupposti di legge ed il superamento dei limiti previsti dall’art. 2519 c.c., comma 2; la gestione sconsiderata del Consiglio di amministrazione e l’assenza di controllo sull’attività di COGNOME NOME avevano determinato conseguenze pregiudizievoli per la società, nonché un’indebita duplicazione dei costi; – conveniva in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, per sentir accertare e dichiarare il loro inadempimento ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze con condanna degli stessi in solido tra loro al risarcimento dei danni causati alla RAGIONE_SOCIALE.
Costituitosi con comparsa del 24/11/2021, COGNOME AVV_NOTAIO eccepiva, tra l’altro, l’incompetenza e/o il difetto di giurisdizione del Tribunale adito in ragione della presenza di una clausola
compromissoria nello statuto sociale approvato in data 13/12/2004, evidenziando l’irrilevanza dei successivi mutamenti relativi all’assetto organizzativo e normativo della società, inclusa l’eliminazione della suddetta clausola arbitrale.
Costituitosi con comparsa del 25/11/2021, anche COGNOME NOME eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del Tribunale adito in favore del collegio arbitrale come previsto dall’art. 32 dello statuto approvato in data 13/12/2004.
Con comparsa di pari data si costituiva COGNOME NOME, eccependo anch’esso, tra l’altro, l’incompetenza del Tribunale, in ragione dell’operatività della clausola arbitrale.
Costituitosi con comparsa del 21/03/2022, COGNOME NOME si difendeva nel merito.
A seguito dell’autorizzata chiamata in causa, richiesta da COGNOME NOME, si costituivano in giudizio i soci COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, i quali concludevano per il rigetto della domanda di regresso spiegata nei loro confronti, nonché per la condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., con vittoria di spese.
In presenza di plurime questioni preliminari e pregiudiziali, il giudizio veniva rimesso in decisione e con sentenza n. 732/2023, pubblicata il 01/03/2023, il Tribunale di Bari, Sezione specializzata in materia di impresa, così provvedeva: «1) rigetta l’eccezione di nullità della citazione; 2) dichiara l’incompetenza della Sezione Specializzata in materia di impresa presso il Tribunale di Bari a favore del Collegio arbitrale, in ordine alla domanda proposta dall’attrice nei confronti di COGNOME NOME; 3) assegna il termine di tre mesi, decorrente dalla comunicazione del presente
provvedimento, per la riassunzione della causa dinanzi al Collegio arbitrale; 4) condanna l’attrice al rimborso delle spese processuali a favore di COGNOME NOME, liquidate in € 3.808.00 per compensi, oltre 15% per spese generali, cpa ed iva come per legge, con distrazione in favore del procuratore anticipatario; 5) rigetta le eccezioni di incompetenza in favore del collegio arbitrale, sollevate dagli altri convenuti; 6) dispone la prosecuzione del giudizio nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e dei terzi chiamati, come da separata ordinanza.»
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per regolamento di competenza COGNOME NOME, affidato a due motivi di impugnazione, con i quali ha chiesto dichiararsi la competenza del Collegio arbitrale a conoscere dell’intera causa attualmente iscritta innanzi al Tribunale di Bari -Sezione specializzata in materia di impresa al n. R.G. NUMERO_DOCUMENTO.
La RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria ai sensi dell’art. 47, comma 5, c.p.c.
Il Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 102 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che non vi fosse un litisconsorzio necessario tra COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, considerando la causa scindibile e consentendo la prosecuzione della stessa per un convenuto innanzi agli arbitri e per gli altri innanzi a sé, mentre invece avrebbe dovuto rilevare che, nella specie, vi era litisconsorzio necessario, perché la società attrice aveva prospettato una responsabilità da omessa vigilanza degli amministratori COGNOME, COGNOME e COGNOME sull’operato del COGNOME,
ponendo la responsabilità dei primi in rapporto di dipendenza con la responsabilità di quest’ultimo.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 808 c.p.c. e dell’art. 25 Cost., non avendo il Tribunale considerato che non poteva opporsi agli amministratori revocati l’eliminazione della clausola compromissoria intervenuta dopo la loro revoca.
In particolare, secondo il ricorrente, la circostanza che il COGNOME ed il COGNOME fossero stati contestualmente soci e amministratori non rendeva opponibile agli stessi la soppressione della clausola compromissoria per le questioni riguardanti il rapporto organico amministratore-società, in quanto al momento della soppressione, pur essendo ancora soci, non erano più amministratori e il rapporto organico era pacificamente cessato (la revoca da consiglieri di amministrazione era del febbraio 2020 e la soppressione della clausola era dell’ottobre del 2020).
La RAGIONE_SOCIALE ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, ritenendo che la sentenza resa dal Tribunale di Bari non potesse essere impugnata mediante regolamento di competenza, perché la questione relativa alla deferibilità di una controversia ad arbitri rituali, secondo la società, non pone una questione di competenza, risolvendosi, piuttosto, in una questione relativa all’esistenza e alla validità dell’accordo arbitrale e, dunque, in una questione di merito.
2.1. L’eccezione è infondata.
La resistente ha riproposto un orientamento interpretativo oramai da tempo superato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, a Sezioni Unite, ha affermato che l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. n. 25 del 1994 e dal d.lgs. n. 40 del 2006, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo configura una questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla
competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione (così Cass., Sez. U, Ordinanza n. 24153 del 25/10/2013; conf. di recente Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 34569 del 16/11/2021; v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17908 del 13/08/2014 e Cass., Sez. 6 -1, Sentenza n. 1101 del 21/01/2016).
La RAGIONE_SOCIALE ha anche eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, in ragione della ritenuta mancanza di specificazione riferita alla parte della decisione censurata e alle motivazioni della stessa non condivise.
3.1. Anche questa eccezione è infondata.
Com’è noto, il regolamento di competenza si configura – salvo il caso in cui sia promosso ex art. 45 c.p.c. per risolvere un conflitto virtuale di competenza -come uno specifico mezzo di impugnazione avverso i provvedimenti che pronunziano sulla competenza, sicché, in ossequio al principio di autosufficienza, deve contenere tutti gli elementi previsti dall’art. 366 c.p.c. in ordine ai quali l’art. 47 dello stesso codice di rito non disponga una regolamentazione differenziata (v. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16752 del 21/07/2006; cfr. Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 16134 del 30/07/2015; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22682 del 19/10/2020).
Nel caso di specie, tuttavia, è sufficiente leggere il ricorso per comprendere le parti della statuizione sulla competenza criticate con il ricorso e le ragioni delle censure formulate.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
4.1. Questa Corte è oramai consolidata nel ritenere che, ove l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di società venga proposta nei confronti di una pluralità di soggetti, in ragione della comune partecipazione degli stessi, anche in via di
mero fatto, alla gestione amministrativa e contabile dell’ente, tra i convenuti non si determina una situazione di litisconsorzio necessario, attesa la natura solidale della obbligazione dedotta in giudizio che, dando luogo ad una pluralità di rapporti distinti, anche se collegati tra loro, esclude l’inscindibilità delle posizioni processuali, consentendo di agire separatamente nei confronti di ciascuno degli amministratori (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 21497 del 06/10/2020; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 21567 del 18/09/2017; v. da ultimo in motivazione Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 25593 del 01/09/2023).
Parte ricorrente ha richiamato alcune pronunce di questa Corte (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 832 del 16/01/2018; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7907 del 18/05/2012), in cui si è affermato il principio appena richiamato, secondo il quale l’azione di responsabilità promossa contro gli organi della società, ai sensi dell’art. 2393 c.c., instaura un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, ravvisandosi un’obbligazione solidale passiva tra gli amministratori ed i sindaci, ma è anche precisato che è fatto salvo il caso in cui l’accertamento della responsabilità di uno dei convenuti presupponga necessariamente quella degli altri, come avviene quando vi è l’imputazione per omessa vigilanza. Nelle pronunce richiamate, tuttavia, tale precisazione non ha portato questa Corte ad affermare il litisconsorzio necessario tra tutti i possibili convenuti nell’azione di responsabilità sociale.
Gli argomenti più estesi si rinvengono in Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7907 del 18/05/2012, ove si afferma il principio secondo cui la domanda di risarcimento dei danni cumulativamente proposta nei confronti di più soggetti corresponsabili di un fatto illecito dà luogo a cause scindibili, per effetto del vincolo di solidarietà passiva configurabile tra gli autori dell’illecito, soffre una parziale eccezione quando l’accertamento della responsabilità di uno di essi presupponga necessariamente quello della
responsabilità degli altri, rilevando che, in tale ottica, talora si è affermato che l’azione di responsabilità cumulativamente esercitata contro più amministratori e sindaci, pur introducendo una pluralità di cause alla stregua della pluralità dei titoli dedotti in giudizio, pone le cause medesime in relazione d’inscindibilità allorché la condotta addebitata a ciascuno sia definibile come illecita solo in stretto collegamento con la valutazione della condotta dell’altro. Ciò può accadere, in particolare, ove ai sindaci sia imputato di non avere doverosamente vigilato sulla condotta colpevole degli amministratori. Questo significa che, ad esempio, ove sia stata in primo grado esclusa la mala gestio degli amministratori e siano stati perciò assolti dalla domanda anche i sindaci, non si potrà impugnare quest’ultima statuizione senza rimettere altresì in discussione la posizione degli amministratori e l’illiceità della loro condotta, appunto perché questa costituisce l’indispensabile presupposto della responsabilità per omessa vigilanza addebitata ai sindaci. Non se ne ricava però che, in caso di azione originariamente rivolta contro una pluralità di amministratori e sindaci della società, tutti costoro – nessuno escluso – debbano necessariamente esser parti in ogni successivo grado del giudizio. La dipendenza tra i diversi rapporti processuali che impone la presenza nel giudizio d’appello degli amministratori prosciolti dalla domanda, quando l’atto d’appello dei sindaci (o nei confronti dei sindaci) rimetta in discussione l’illiceità delle loro condotte gestorie, discende dall’impossibilità di pervenire ad una diversa conclusione su tale punto senza che ciò contraddica la statuizione con cui, tanto nei riguardi degli amministratori che dei sindaci, si era concluso il precedente grado di giudizio. Tuttavia, la società attrice certamente può sin da principio agire solo contro alcuni degli amministratori ed alcuni dei sindaci cui sia imputabile la violazione dei rispettivi doveri, così certamente essa può poi transigere la causa e rinunciare all’azione promossa contro alcuni di essi, non implicando
ciò alcun accertamento (positivo o negativo) di mala gestio che rischi di porsi in contraddizione con l’esito del giudizio destinato a proseguire nei confronti dei sindaci e degli amministratori rimanenti.
Nessun litisconsorzio necessario sostanziale dunque è prospettato, ma soltanto la possibilità di configurare, in determinate ipotesi, un litisconsorzio processuale in sede di impugnazione ex art. 331 c.p.c.
In proposito, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25178 del 14/12/2015 ha chiaramente ribadito che la responsabilità dei sindaci di una società, prevista dall’art. 2407, comma 2, c.c. per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori, ha carattere solidale tanto nei rapporti con questi ultimi, quanto in quelli fra i primi, sicché l’azione rivolta a farla valere non va proposta necessariamente contro tutti i sindaci e gli amministratori, ma può essere intrapresa contro uno solo od alcuni di essi, senza che insorga l’esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri, in considerazione dell’autonomia e scindibilità dei rapporti con ciascuno dei coobbligati in solido.
Tale soluzione è, dunque, chiara per il caso di responsabilità dei sindaci ai sensi dell’art. 2407 c.c., e non può avere diversa soluzione per il caso dei componenti del consiglio di amministrazione chiamati a rispondere per non avere vigilato o impedito l’operato degli altri amministratori, tenuto conto che si tratta di responsabilità propria dei primi, come chiaramente evidenziato dalla ultima formulazione dell’art. 2392, comma 2, c.c., ove è stabilito che «In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’art. 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedire il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.»
Come, nella specie, rilevato dal giudice di merito, è, peraltro, possibile che l’azione di responsabilità sociale sia promossa nei confronti di alcuni amministratori davanti agli arbitri e nei confronti di altri amministratori davanti al giudice, pur trattandosi di cause che hanno elementi di connessione.
Infatti, il primo periodo dell’art. 819 ter , comma 1, c.p.c., nel prevedere che la competenza degli arbitri non è esclusa dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice ordinario, implica, in riferimento all’ipotesi in cui sia stata proposta una pluralità di domande, che la sussistenza della competenza arbitrale sia verificata con specifico riguardo a ciascuna di esse, non potendosi devolvere agli arbitri (o al giudice ordinario) l’intera controversia in virtù del mero vincolo di connessione. Pertanto, ove le domande connesse non diano luogo a litisconsorzio necessario, l’accoglimento del regolamento di competenza comporta la separazione delle cause, ben potendo i giudizi proseguire davanti a giudici diversi in ragione della derogabilità e disponibilità delle norme in tema di competenza (Cass., Sez. 6- 3, Ordinanza n. 26553 del 22/10/2018; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 307 del 10/01/2017)
Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
5.1. Senza dubbio la censura è inammissibile nella parte in cui affronta la questione dell’opponibilità della modifica statutaria che ha eliminato la clausola compromissoria ad una parte in causa diversa dal ricorrente (COGNOME NOME), non potendo quest’ultimo far valere in nome proprio un diritto altrui, come chiaramente sancito dall’art. 81 c.p.c.
Questa Corte ha, infatti, precisato che la devoluzione della controversia agli arbitri si configura come una rinuncia alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con uno strumento di natura privatistica, sicché la
relativa eccezione deve ritenersi eccezione propria (o in senso stretto), in quanto avente ad oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell’esercizio della giurisdizione statale, con la conseguenza che va proposta dalle parti nei tempi e nei modi propri delle eccezioni di merito non rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19823 del 22/09/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12684 del 30/05/2007).
Nel caso di specie, COGNOME NOME non ha proposto impugnazione avverso la pronuncia sulla competenza, e allo stesso non può sostituitisi l’attuale ricorrente.
5.2. Per quanto riguarda la posizione di quest’ultimo, si deve invece tenere conto che lo stesso COGNOME ha dedotto che, una volta cessato l’incarico di amministratore, ha comunque continuato ad essere socio della RAGIONE_SOCIALE e non ha allegato di avere impugnato la deliberazione assembleare, quando i soci hanno modificato lo statuto eliminando la clausola compromissoria.
Correttamente, dunque, il giudice di merito ha ritenuto opponibile al ricorrente la caducazione della clausola compromissoria e l’operatività della giurisdizione ordinaria.
Non assume rilievo il precedente richiamato dal ricorrente (Cass., Sez. 1, Ordinanza del 02/03/2023), ove l’amministratore esterno, cessato dalla carica, non risulta essere rimasto socio.
In tale pronuncia viene dato rilievo al principio consensualistico, che rende impossibile opporre una modifica convenzionale alla parte che non vi abbia prestato adesione, impugnando la delibera di eliminazione della clausola arbitrale, con la precisazione che, a seguito del venir meno del rapporto organico tra l’amministratore e la società, senza che il primo sia rimasto socio, non risulta sia concretamente intervenuta tra le parti alcuna pattuizione volta a derogare alla competenza arbitrale, fondata sulla clausola compromissoria (operante nel periodo in cui l’odierno ricorrente svolgeva le funzioni di amministratore).
Nel caso di specie, invece, il ricorrente, rimasto socio, non ha neppure dedotto di avere impugnato la deliberazione menzionata.
Non è condivisibile la distinzione operata dal ricorrente, che ha evidenziato come, pur essendo rimasto socio, non era più amministratore al momento in cui è stata soppressa la clausola compromissoria, e quindi non era opponibile tale modifica intervenuta quando il rapporto organico era ormai cessato.
Non può configurarsi una diversa disciplina applicabile allo stesso soggetto in ragione dei diversi ruoli rivestiti, posto che l’efficacia della clausola compromissoria nei confronti del socio amministratore non dipende dal rapporto organico, obiettivamente prestato, ma dal consenso alla diversa previsione statutaria.
Né può ritenersi, come pure affermato dal ricorrente, che la nuova previsione operi solo per il futuro, ma non per il rapporto tra amministratore e società già cessato al momento della eliminazione della clausola compromissoria.
Tale modifica statutaria si applica alle controversie instauratecome nella specie – successivamente alla sua approvazione, a prescindere dalla pregressa verificazione dei fatti oggetto di giudizio.
6. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Deve conseguentemente essere dichiara la competenza del Tribunale di Bari, Sezione specializzata in materia di impresa, in relazione alle domande formulate nei confronti di COGNOME NOME;
Il giudice di merito, avanti al quale prosegue il giudizio nei confronti del ricorrente provvederà anche al regolamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità.
In ragione della natura impugnatoria del presente ricorso, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 13636 del 02/07/2020).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e, per l’effetto, dichiara la competenza del Tribunale di Bari, Sezione specializzata in materia di impresa, in ordine alle domande formulate nei confronti di COGNOME NOME, davanti al quale prosegue il processo, anche per le spese di lite del presente giudizio di legittimità;
in applicazione dell’art.13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione