Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26195 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26195 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16535/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7447/2018, depositata il 23/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
La Banca d’Italia, con provvedimento del 1° marzo 2016, ha irrogato a carico di NOME COGNOME, NOME COGNOME ed
NOME COGNOME la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 69.500 ciascuno, per ‘carenze nel governo, nella gestione e nel controllo dei rischi da parte degli ex componenti il consiglio di amministrazione in carica fino ai primi mesi del 2014’ della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto opposizione. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza 23 novembre 2018, n. 7447, ha rigettato l’opposizione.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso la Banca d’Italia.
Memoria è stata depositata dal nuovo difensore del ricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: nel caso in esame ‘il procedimento sanzionatorio davanti alla Banca d’Italia non ha offerto le garanzie del giusto processo richieste dalla disciplina nazionale e internazionale’; ‘nella fase di impugnazione davanti alla Corte d’appello è integralmente mancato il sindacato giurisdizionale nel merito della sanzione irrogata’.
Il motivo non può essere accolto.
Quanto al procedimento amministrativo, il ricorrente sottolinea come la proposta di sanzione riporti le censure sollevate dagli incolpati in modo unilaterale, non sia stata offerta agli incolpati la possibilità di replicare alla proposta di sanzione e non sia stata garantita la necessaria distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, così violando gli articoli delle Carte fondamentali europee sopra richiamati. Al riguardo la Corte d’appello, alla quale la doglianza è stata sottoposta, ha sottolineato -richiamando la
giurisprudenza di questa Corte -come le sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 144 del testo unico bancario (TUB) non abbiano natura sostanzialmente penale e non si ponga quindi un problema di compatibilità con le garanzie riservate al processo penale dall’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo e come il procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia non violi il medesimo art. 6 in quanto questo esige solo che, ove il procedimento amministrativo sanzionatorio non offra garanzie equiparabili a quelle del processo giurisdizionale, l’incolpato possa sottoporre la questione della fondatezza della contestazione a un organo indipendente e imparziale, dotato di piena giurisdizione (si veda al riguardo, per tutte, Cass. n. 4923/2022, che si è pronunciata in un processo che si è svolto tra le medesime parti del presente giudizio).
Venendo al processo innanzi alla Corte d’appello, il ricorrente si limita a dire che si sarebbe trattato di un ‘rito stanco, come tale incapace di assicurare la tutela dei diritti dell’incolpato, in aperta violazione dell’art. 6, comma 1 CEDU e dell’art. 47, comma 2 CDFUE’: è evidentemente una censura del tutto generica, come tale inammissibile.
2. Il secondo motivo contesta violazione dell’art. 49, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per avere la Corte d’appello confermato il provvedimento sanzionatorio irrogato pure in presenza della sopravvenuta introduzione di una lex mitior , idonea a determinare il venire meno degli effetti del provvedimento sanzionatorio; la sanzione irrogata avrebbe infatti natura ‘sostanzialmente penale’, così che la ‘drastica riduzione delle sanzioni amministrative nei confronti delle persone fisiche realizzata dal d.lgs. n. 72/2015’ comporterebbe l’applicazione del primo comma dell’art. 49 della Carta, secondo cui ‘se, successivamente alla commissione alla commissione del reato, la
legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima’.
Il motivo è infondato. Il presupposto del ragionamento del ricorrente è costituito dalla natura penale della sanzione, qualificazione che è -come si è già detto sopra -negata dall’orientamento di questa Corte (si veda al riguardo, per tutte, la pronuncia n. 4923/2022, sopra ricordata, che sottolinea come gli illeciti amministrativi previsti dal TUB, secondo la giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte, non abbiano carattere sostanzialmente penale), la quale – proprio in ragione della natura non penale (nemmeno sostanzialmente) delle sanzioni amministrative si cui agli artt. 144 e 144ter TUB – ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 72 del 2015, per contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost., nella parte in cui tale norma non prevede la retroattività del principio della lex mitior (cfr. Cass. n. 17209/2020).
Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono tra loro strettamente connessi.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2381, commi 3 e 6, e dell’art. 2392, commi 1 e 2 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: la Corte d’appello ha confermato la sanzione per il ‘grave ritardo’ con il quale il consiglio di amministrazione della Banca avrebbe affrontato la gestione del credito deteriorato, quando invece la corretta applicazione delle norme sulla responsabilità degli amministratori e una ‘pluralità di circostanze non considerate dalla Corte smentiscono l’accusa contenuta nel provvedimento sanzionatorio’.
Il quarto motivo contesta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte d’appello confermato la sanzione con riferimento alle ‘altre questioni di merito’ quando,
invece, una pluralità di circostanze non considerate smentirebbe le contestRAGIONE_SOCIALE formulate nel provvedimento sanzionatorio.
c) Il quinto motivo fa valere ancora omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2381, commi 3 e 6, e dell’art. 2392, comma 2 c.c.: la Corte d’appello ha confermato la quantificazione della sanzione operata da Banca d’Italia in ragione del ruolo ricoperto dal ricorrente all’interno del consiglio di amministrazione e della gravità delle contestRAGIONE_SOCIALE sollevate nei suoi confronti, omettendo di considerare una pluralità di circostanze decisive che dimostrerebbero la sproporzione della sanzione irrogata e avrebbe così erroneamente applicato la disciplina sulla responsabilità degli amministratori.
I motivi non possono essere accolti.
Il terzo motivo denuncia sia violazione di norme di diritto sia l’omesso esame di fatti decisivi. Quanto al riferimento ‘fuori misura’ alla previsione dell’art. 2381 c.c., va sottolineato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘in tema di sanzioni amministrative previste dall’art. 144 del d.lgs. n. 385 del 1993, l’obbligo imposto dall’art. 2381, ultimo comma, c.c. agli amministratori delle società per RAGIONE_SOCIALE di , pur quando non siano titolari di deleghe, -e nel caso in esame si tratta di un amministratore con deleghe (v. pag. 5 della sentenza) -si declina, da un lato, nel dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica, per prevenire o eliminare ovvero attenuare le situRAGIONE_SOCIALE di criticità aziendale di cui siano, o debbano essere, a conoscenza, dall’altro, in quello di informarsi, affinché tanto la scelta di agire quanto quella di non agire risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale che gli stessi possano procurarsi esercitando tutti i poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze; tali
obblighi si connotano in termini particolarmente incisivi per gli amministratori di società che esercitano l’attività bancaria, prospettandosi, in tali ipotesi, non solo una responsabilità di natura contrattuale nei confronti dei soci della società, ma anche quella, di natura pubblicistica, nei confronti dell’Autorità di vigilanza’ (così Cass. n. 19556/2020, v. anche Cass. n. 16517/2020, Cass. n. 2620/2021 e Cass. 4923/2022). Quanto alla denuncia di omesso esame di fatti, si tratta in realtà della contestazione della valutazione data dal giudice di merito agli elementi di prova acquisiti nel processo (v. in particolare le pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata), chiedendo a questa Corte di legittimità una inammissibile rivalutazione dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’appello.
Il medesimo giudizio di inammissibilità vale per la denuncia di omesso esame di fatti decisivi di cui al quarto motivo, ove si contestano le valutRAGIONE_SOCIALE compiute dalla Corte d’appello in relazione a una serie di specifici comportamenti del consiglio di amministrazione (come la delibera di premi sociali ai dipendenti, l’affidamento di incarichi di consulenza, il riacquisto di beni immobili, i provvedimenti adottati in ordine alle posizioni deteriorate, v. la pag. 7 della sentenza).
Il quinto motivo contesta la quantificazione della sanzione richiamando i due parametri della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi. Circa la violazione di legge (si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2381 e 2932 c.c.), manca nella esposizione del motivo un qualche sviluppo della censura. Circa l’omesso esame di fatti decisivi, non sarebbe stato considerato dalla Corte d’appello che ha confermato il quantum della sanzione alla luce del ruolo ricoperto dagli opponenti (e quindi anche dal ricorrente) all’interno del consiglio di amministrazione e della gravità delle contestRAGIONE_SOCIALE a loro mosse -l’effettivo assetto dei poteri nell’ambito del consiglio di amministrazione, con
prevalenza del ruolo del direttore generale e del presidente, nonché il contesto in cui ha operato il ricorrente, amministratore privo di deleghe. Al riguardo va rilevato che dalla sentenza impugnata (come si è già supra detto) risulta invece il contrario, ossia che il ricorrente fosse munito di deleghe, e il punto non è stato oggetto di specifica censura e deve comunque essere osservato che la giurisprudenza appena ricordata evidenzia il ruolo cruciale dell’amministratore pur senza deleghe all’interno delle società che esercitano l’attività bancaria. Privo di decisività è infine il generico riferimento alle sanzioni irrogate a soggetti che hanno ricoperto la medesima carica per un periodo più lungo.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 5.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione