Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 999 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 999 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
Oggetto: srl responsabilità amministratore AC – 17/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37498/2019 R.G. proposto da
Collina NOME , dom.ta in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di C assazione e all’indirizzo pec EMAIL, rappresentata e dife sa dall’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del l.r.p.t., elett.te dom.ta in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , elett.te dom.ti in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dall’avv. NOME COGNOME rappresentati e dife si dall’a vv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, COGNOME NOME ;
-intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila , sezione civile, n. 1687/2019 del 16 ottobre 2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del
17 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di appello di L’Aquila , in riforma della sentenza del Tribunale di Teramo, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME avente a oggetto la domanda di risarcimento del danno formulata nei confronti degli amministratori (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e dei sindaci (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) della RAGIONE_SOCIALE; danni asseritamente derivanti da ll’i nottemperanza, da parte di ciascuno dei convenuti, agli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, quantificati in € 45.936,28, somma dalla quale andava decurtato l’importo recuperato dall’attrice
nella procedura di concordato preventivo della società debitrice, di talché il credito residuo ammontava a complessivi € 9.187,26 ; la Corte territoriale ha, altresì, disposto la restituzione in favore della compagnia di assicurazione RAGIONE_SOCIALEoggi Società Cattolica di RAGIONE_SOCIALE, quale terzo garante del COGNOME NOME, della somma dalla stessa corrisposta all’odierna ricorrente in esecuzione della condanna di primo grado.
2. Il giudice di secondo grado, per quanto in questa sede ancora rileva, ha ritenuto: a) che, pur ammettendo la perdurante legittimazione del creditore sociale all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo di una società sottoposta a procedura di concordato preventivo, il presupposto per la proponibilità dell’azione è l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare il credito vantato dal soggetto attore; b) che, a tal proposito, non era condivisibile l’affermazione del Tribunale che aveva dedotto la prova dell’incapienza patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE dalla sola circostanza che la medesima si era posta in liquidazione e aveva poi ottenuto l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, dovendo in contrario rilevarsi che, anche sulla base della consulenza tecnica espletata in primo grado, il patrimonio della società era di gran lunga superiore all’esiguo ammontare del credito vantato dalla Collina; c) che, in ogni caso, mancava la prova del nesso causale tra la dedotta mala gestio degli amministratori e le asserite conseguenze pregiudizievoli per il credito della Collina, apoditticamente affermato dalla sentenza di primo grado, dovendo invece escludersi, in tema di valutazione del nesso medesimo, che la compensazione tra il debito dei soci per aumento di capitale e il credito da questi vantato nei confronti della società medesima fosse illegittima e che, in ogni caso,
l’esecuzione forzata del credito vantato dalla Collina dopo la scadenza del termine per i conferimenti a titolo di aumento capitale sarebbe stata comunque preclusa, ai sensi dell’art. 168 della legge fallimentare, dalla pendenza della procedura concordataria, non essendovi in ogni caso alcuna evidenza del positivo esito di tale azione qualora l’aumento di capitale fosse stato effettivamente interamente incassato dalla società; d) che l’assenza di prova della responsabilità degli amministratori escludeva per conseguenza quella dei sindaci; e) che infondata era la contestazione mossa con l’appello incidentale della Collina inerente a una pretesa nullità della consulenza tecnica svolta in primo grado e al preteso diritto della medesima alla rifusione delle spese sostenute per le procedure di pignoramento nei confronti di NOME e NOME COGNOME.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a dodici motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso; la Società Cattolica RAGIONE_SOCIALE ha resistito con autonomo controricorso.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto notificato via pec con r.a.c. del 28 settembre 2020, ben oltre il termine previsto dall’art. 370, primo comma, cod. proc. civ., rispetto alla notifica del ricorso avvenuta per ciascuno di essi in data 10 dicembre 2019.
2. Il ricorso lamenta:
Primo motivo: «1) nullità della sentenza: art. 301 c.p.c. (art. 360 c.p.c., co. 1 n. 4 Cpc)», deducendo che l’avvocato NOME COGNOME, difensore degli amministratori e della società, nel corso il giudizio di secondo grado si era cancellato volontariamente dall’albo degli avvocati omettendo di fare la relativa dichiarazione nel procedimento.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse. Invero, come questa Corte ha già affermato, con argomentazioni del tutto condivisibili cui va garantita continuità (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21359 del 06/10/2020; Sez. 3, Sentenza n. 25641 del 17/12/2010), la cancellazione volontaria del difensore dall’albo degli avvocati, ancorché avvenuta, come nella specie, dopo la notifica della citazione in appello, comporta la perdita dello “status” di avvocato e procuratore legalmente esercente, così integrando una causa di interruzione del processo. Ne consegue la nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata, che può essere dedotta e provata in sede di legittimità mediante la produzione dei documenti necessari, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., solo dalla parte colpita dal detto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione, non potendo questa essere rilevata d’ufficio dal giudice né eccepita dalla controparte. Solo i patrocinati, che non lo hanno fatto, e non la ricorrente, erano dunque legittimati a eccepire quanto contenuto nel motivo in esame.
Secondo motivo: «2) Violazione di legge: violazione degli artt. 324 e 325 Cpc (360, co. 1 n. 3 Cpc)», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver accolto gli appelli principali senza avvedersi che gli amministratori e la società RAGIONE_SOCIALE non
avevano impugnato la sentenza di primo grado e non avevano dunque proposto appello, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Teramo nei loro confronti, con la conseguenza che le loro difese erano ammissibili nei soli limiti in cui fossero state adesive rispetto all’impugnazione proposta dai sindaci.
Terzo motivo: «3) Violazione di legge: violazione dell’art. 342 Cpc (360, co. 1 n. 3 Cpc)» deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per non aver rilevato l’inammissibilità dell’atto di appello per omessa specificità dei motivi, con particolare riferimento alla mancata impugnazione da parte degli amministratori del capo di condanna nei loro confronti contenuto nella sentenza di primo grado.
I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili. La Corte di appello ha affermato che gli amministratori e la società si erano « associati ai motivi primi e terzo dell’appello proposto dai sindaci » e avevano svolto, altresì, una serie di argomentazioni critiche rivolte alla sentenza di primo grado, delle quali la sentenza dà conto a pag. 5, espressamente qualificando il tutto come ‘ unico articolato motivo ‘ di appello degli amministratori e società. La Corte territoriale, dunque, ha affermato che gli amministratori e la società avevano in realtà proposto appello, mentre la contraria affermazione della ricorrente è sul punto priva di specificità, perché non chiarisce per quale ragione la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che anche gli amministratori e la società avessero proposto appello aderendo ai motivi primo e terzo degli appellanti principali e svolgendo ulteriori argomentazioni; inoltre, le censure in esame sono prive di autosufficienza nella parte in cui rinviano alla
comparsa di costituzione e risposta degli amministratori e società, senza riprodurne adeguatamente il contenuto per porre questa Corte in condizioni di comprendere e valutare la censura.
Quarto motivo: «4) Falsa applicazione dell’art 2394 cc (in riferimento all’art. 360 n.3 Cpc) », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di considerare che l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, costituirebbe prova dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, denotando quantomeno uno stato di crisi dell’impresa. Il motivo è inammissibile in quanto, sotto l’ apparente allegazione di una falsa applicazione dei criteri legali di accertamento dell’azione esperita, tende in effetti a far compiere a questa Corte un’ inammissibile rivalutazione dei fatti di causa, posto che ciò che essa sostanzialmente contesta è la valutazione della prova dell’ insufficienza patrimonial e per effetto dell’ammissione della società Villa Cervia al concordato preventivo, intesa come ‘fatto probatorio’, in assenza , peraltro, di alcuna contestazione inerente all’ applicazione dei canoni di valutazione delle prove e in presenza di una motivazione che ha chiaramente affermato che la sufficienza del patrimonio sociale a soddisfare l’obbligazione nei confronti dell’attrice si traeva dalle conclusioni della consulenza
tecnica di ufficio svolta in primo grado.
Quinto motivo: «4) Violazione di legge art. 115 Cpc (in riferimento all’art. 360 n.3 Cpc). », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe posto a fondamento della decisione prove mai allegate, avendo il giudice di secondo grado sostanzialmente prestato adesione a delle mere deduzioni
dell’organo amministrativo non appellante, non supportate peraltro da alcun riscontro probatorio.
Sesto motivo: «6) Violazione di legge art. 2480 cc (in riferimento all’art. 360 n.3 Cpc) », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di considerare che nel caso di specie non esisteva alcuna delibera di aumento di capitale sociale per compensazione, che sarebbe ammissibile peraltro soltanto con riferimento a un credito preesistente.
Settimo motivo: «7) Violazione di legge art. 2467 cc (in riferimento all’art. 360 n.3 Cpc)», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di rilevare che nella specie il rimborso del finanziamento ai soci, che non risulterebbe peraltro nemmeno provato, sarebbe comunque postergato nella restituzione rispetto alla soddisfazione degli altri creditori con conseguente impossibilità di procedere alla compensazione.
Ottavo motivo: «8) Violazione di legge art. 2697 cc (in riferimento all’art. 360 n.3 Cpc) », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di considerare che nessuna istruttoria sarebbe stata mai svolta in relazione alla sufficienza del patrimonio sociale in caso di recupero della somma sottoscritta e non versata a soddisfare il credito dell ‘ odierna ricorrente, ipotesi nella quale del resto esso sarebbe stato facilmente soddisfatto attraverso il pagamento.
Nono motivo: «9) Falsa applicazione degli artt. 2394 e 2395 cc (in riferimento all’art. 360 n.3 Cpc) », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe confuso tra l’azione di responsabilità di amministratori e sindaci per omessa salvaguardia del patrimonio sociale e la diversa azione di responsabilità diretta
verso il creditore sociale, quest’ultima mai esercitata nella controversia per cui è causa.
Le censure dalla quinta alla nona possono essere congiuntamente esaminate, in quanto inammissibili per la medesima ragione: la Corte di appello ha respinto la domanda sulla base di due autonome rationes decidendi : a) insussistenza del presupposto dell ‘ insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le ragioni del creditore, come accertato mediante consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado; b) mancanza di prova del nesso causale tra la presunta mala gestio degli amministratori e il danno patito dall’attrice. Tutte le censure in commento riguardano esclusivamente la seconda ratio decidendi , mentre non contestano la prima ragione della decisione che, non efficacemente aggredita con il quarto motivo, si rivela sufficiente a sorreggere la correttezza della decisione del tutto a prescindere dall’esame delle questioni afferenti alla seconda ratio .
Decimo motivo: «10) Violazione di legge art. 95 e 632 (art. 360 n. Cpc)», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe respinto l’appello incidentale ponendo le spese del processo esecutivo sostenute dal creditore procedente a carico di chi subisce l’esecuzione e della disposizione che regola la liquidazione delle spese del processo esecutivo estinto.
La censura è inammissibile, atteso che a pagina 8, penultimo capoverso, la Corte territoriale si pronuncia sul punto, e la censura in commento omette di confrontarsi con il tenore della decisione resa sul punto, apoditticamente affermando che andava accolto il proprio appello incidentale, senza tuttavia esplicitare in alcun modo il sostrato giuridico di siffatta affermazione.
Undicesimo motivo: «11) Violazione di legge in riferimento agli artt. 198 Cpc e 360 n. 3 CPC», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe respinto l’appello incidentale omettendo di esaminare la questione della nullità della consulenza tecnica di ufficio di primo grado, che era stata sufficientemente dedotta con l’appello incidentale, insussistente essendo la rilevata genericità della censura sul punto.
Il motivo è inammissibile, atteso che la sentenza di appello ha espressamente motivato (pag. 8) le ragioni per cui ha ritenuto generica la formulazione della censura in appello sul tema della nullità della consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado, e la censura non si confronta con la rilevata genericità, ma si limita a prospettare un proprio diverso convincimento circa le ragioni della nullità dell’ elaborato svolto.
Dodicesimo motivo: «12) Violazione di legge in riferimento al D. Lgs. n. 38/2005, art. 2 e art. 360 n.3 CPC», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di rilevare la nullità della consulenza tecnica d’ufficio per mancata rilevazione del divieto di adozione degli IAS per redigere il bilancio della società, con conseguente necessità di rinnovo dell’elaborato peritale.
Il motivo è inammissibile , perché consta anch’ esso di una prospettazione delle ragioni di dissenso rispetto alle risultanze della consulenza tecnica di ufficio di primo grado, in alcun modo deducibili come vizio della sentenza di appello che, sul punto, si è conclusa con una declinatoria in rito per inammissibilità della relativa questione.
Il ricorso va quindi complessivamente respinto.
La soccombenza regola le spese tra la ricorrente e coloro che hanno proposto ritualmente il controricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara inammissibile il controricorso proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME condanna NOME a rifondere alla Società Cattolica di Assicurazioni Coop. a r.l. le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre