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Responsabilità amministratore per incarico senza fondi

La Corte di Cassazione conferma la responsabilità dell’amministratore pubblico per un incarico professionale affidato senza un contratto valido. La sentenza chiarisce che la prescrizione del diritto al compenso decorre dal completamento della prestazione e che una dichiarazione unilaterale del professionista può limitare l’importo dovuto, anche in assenza di un contratto formale con l’ente. Questo caso sottolinea la diretta responsabilità dell’amministratore che agisce al di fuori delle procedure contabili.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità dell’amministratore: cosa succede se l’incarico è senza contratto?

La recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nei rapporti tra professionisti e Pubblica Amministrazione: la responsabilità dell’amministratore per incarichi affidati senza rispettare le procedure contabili. Quando un contratto con un ente pubblico è nullo, chi paga il professionista? La legge stabilisce che sorge un rapporto obbligatorio diretto tra il privato e l’amministratore che ha consentito la prestazione. Questa pronuncia offre chiarimenti fondamentali sulla decorrenza della prescrizione e sulla quantificazione del compenso in tali circostanze.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da un incarico professionale conferito nel 1988 da un Comune a un gruppo di professionisti per la redazione del piano regolare generale. A causa della mancata formalizzazione di un contratto valido, l’accordo con l’ente pubblico è stato dichiarato nullo. Di conseguenza, i professionisti hanno agito legalmente non contro il Comune, ma direttamente nei confronti dei due sindaci succedutisi nel tempo, invocando la loro responsabilità personale, come previsto dalla normativa speciale (art. 23 del D.L. 66/1989).

In primo grado, la domanda dei professionisti è stata respinta per prescrizione. La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, condannando i due ex amministratori al pagamento di una somma residua. La Corte territoriale ha ritenuto che la prescrizione decorresse non dalla data di conferimento dell’incarico, ma dal momento della sua effettiva conclusione, individuata nella delibera comunale di adozione del piano. Al contempo, ha limitato l’ammontare del compenso totale a una cifra pattuita in una nota inviata dagli stessi professionisti anni prima, in cui accettavano un importo ridotto, condizionando il resto a finanziamenti regionali mai arrivati. Contro questa decisione hanno proposto ricorso in Cassazione sia i professionisti (per ottenere l’intero compenso originario) sia gli ex amministratori e il Comune (per far valere la prescrizione e contestare i calcoli).

La decisione della Cassazione sulla responsabilità dell’amministratore

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, sia quello principale dei professionisti sia quelli incidentali degli ex amministratori e del Comune, confermando in toto la sentenza d’appello. La Corte ha stabilito principi chiari su tre questioni principali: la decorrenza della prescrizione, la validità della limitazione del compenso e la corretta gestione delle notifiche in caso di cause connesse.

Il Termine di Prescrizione per il Compenso Professionale

La Corte ha confermato che il termine di prescrizione decennale per il diritto al compenso non inizia a decorrere dal momento del conferimento dell’incarico, bensì dalla sua effettiva conclusione. Nel caso di specie, l’attività dei professionisti non si era esaurita con la prima consegna degli elaborati, ma era proseguita con modifiche e integrazioni richieste dall’ente fino all’approvazione finale del piano. Pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente identificato la data di conclusione della prestazione nel momento dell’adozione del Piano Regolatore Generale, rendendo tempestiva l’azione legale dei professionisti.

La Quantificazione del Compenso e la Responsabilità dell’Amministratore

Sul punto più contestato dai professionisti, ovvero la riduzione del compenso, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione della Corte d’Appello. La nota con cui i professionisti avevano limitato le loro pretese economiche è stata interpretata come una dichiarazione unilaterale che fissava il valore della loro prestazione. Secondo i giudici, non vi è contraddizione nel ritenere nullo il rapporto contrattuale con l’ente e, al contempo, considerare valida la quantificazione del compenso fatta dai professionisti stessi. La responsabilità dell’amministratore sorge per il pagamento della prestazione, ma l’ammontare di tale prestazione può essere determinato anche da accordi o dichiarazioni intercorsi, che ne definiscono il valore economico. La Corte ha chiarito che l’obbligazione dell’amministratore e quella (nulla) dell’ente si pongono su piani diversi. Di conseguenza, la pretesa dei professionisti è stata legittimamente limitata all’importo da loro stessi indicato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra i diversi piani giuridici in gioco. In primo luogo, in tema di prescrizione, la Corte ribadisce il principio consolidato secondo cui il diritto al compenso diventa esigibile solo quando la prestazione è completata in ogni sua parte. L’onere di dimostrare una data di conclusione anteriore spettava agli amministratori, che non sono riusciti a fornire prove adeguate.

In secondo luogo, riguardo alla quantificazione del compenso, la Cassazione ha sottolineato che l’interpretazione di una dichiarazione unilaterale, come la nota dei professionisti, rientra nell’accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Tale accertamento è incensurabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è logicamente motivato. La Corte ha ritenuto che la nota del 1989 rappresentasse la volontà dei professionisti di definire il valore certo della loro prestazione, rinunciando a importi maggiori. Questa autolimitazione del credito definisce l’entità dell’obbligazione che si trasferisce in capo all’amministratore responsabile. Infine, la Corte ha specificato che tale importo si riferiva al solo compenso, escludendo oneri fiscali e previdenziali, respingendo così le argomentazioni degli ex amministratori secondo cui il debito era già stato interamente saldato.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio a tutela sia dei professionisti che agiscono in buona fede, sia della corretta gestione delle finanze pubbliche. Per gli amministratori pubblici, emerge un chiaro monito: ogni impegno di spesa deve seguire pedissequamente le procedure contabili previste dalla legge. In caso contrario, la responsabilità dell’amministratore diventa personale e diretta, trasformando l’obbligazione da pubblica a privata. Per i professionisti, la decisione conferma che il loro diritto al compenso è tutelato anche in caso di nullità del contratto con l’ente, ma sottolinea anche come le loro stesse dichiarazioni possano vincolarli nella determinazione dell’importo dovuto. In sintesi, la pronuncia bilancia la necessità di garantire il pagamento delle prestazioni rese con l’esigenza di responsabilizzare chi gestisce risorse pubbliche.

Da quando inizia a decorrere la prescrizione per il compenso di un professionista se il contratto con l’ente pubblico è nullo?
La prescrizione del diritto al compenso inizia a decorrere non dal momento del conferimento dell’incarico, ma dalla data di effettiva e definitiva conclusione della prestazione professionale, che può coincidere con l’atto formale di approvazione del lavoro da parte dell’ente (ad esempio, l’adozione del piano regolatore).

Una dichiarazione del professionista che limita il proprio compenso è valida anche se il contratto con la P.A. è nullo?
Sì. Secondo la Corte, una dichiarazione unilaterale con cui i professionisti quantificano il proprio compenso è valida e vincolante per determinare l’importo dovuto dall’amministratore personalmente responsabile, anche se il rapporto contrattuale originario con l’ente pubblico è nullo. I due aspetti operano su piani giuridici distinti.

Cosa succede se un atto di appello viene notificato in ritardo a una delle parti ma puntualmente a un’altra in una causa connessa?
Se le cause sono inscindibili o dipendenti (litisconsorzio processuale), la notifica tempestiva dell’impugnazione a una delle parti è sufficiente a instaurare validamente il giudizio. Il giudice potrà poi ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte a cui l’atto è stato notificato in ritardo, sanando il vizio iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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