Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20478 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20478 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 10634/2019
promosso da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 4282/2018 della Corte di appello di Milano, pubblicata il 28/09/2018.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Cons. NOME COGNOME;
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 21/08/2014, il geom. COGNOME conveniva in giudizio COGNOME NOME, AVV_NOTAIO del Comune di Calvignasco, per sentirlo condannare al pagamento di € 23.561,34, sulla base della responsabilità prevista dall’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, quale corrispettivo dovuto per le prestazioni professionali acquisite dal Comune in virtù di contratto stipulato ed eseguito in violazione degli obblighi contabili.
Si costituiva in giudizio il convenuto, invocando, in via pregiudiziale, la transazione intervenuta con il Comune nel giudizio pendente innanzi al Tribunale di Abbiategrasso. Nel merito, eccepiva la mancata sottoscrizione da parte sua di tutti i disciplinari di incarico allegati in giudizio, con eccezione di uno solo. Aggiungeva che il Comune, per tutti i lavori in discorso, aveva attivato e concluso i procedimenti di annullamento in autotutela delle delibere di Giunta Comunale di affidamento degli incarichi e di approvazione dei progetti, per gravi inadempimenti imputabili al professionista, risolvendo gli incarichi conferiti. Deduceva, infine, la prescrizione di ogni eventuale diritto di quest’ultimo.
Con sentenza n. 1218/2016, depositata in data 22/08/2016 il Tribunale di Pavia accoglieva la domanda.
Con atto di citazione in appello del 02/02/2017, COGNOME NOME impugnava la sentenza, sulla base di cinque motivi: a) violazione del d.lgs. n. 267 del 2000 (di seguito anche T.U.E.L.) con riferimento alla mancata valutazione del ruolo del COGNOME quale organo del Comune, non titolare di poteri di amministrazione; b) violazione dello stesso d.lgs. con riferimento alla mancata considerazione del fatto che solo uno dei disciplinari (peraltro non attinente alle pretese azionate in giudizio) era sottoscritto dal COGNOME; c) violazione del medesimo d.lgs. e omesso esame di fatto decisivo con riferimento alle intervenute revoche in autotutela delle delibere di conferimento degli incarichi e di
approvazione dei progetti per gravi inadempienze nell’attività svolta dal geom. COGNOME; d) travisamento dei fatti e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio relativamente all’asserita inefficacia, ritenuta dal Tribunale, dell’atto transattivo inte rvenuto tra il geom. COGNOME e il comune di Calvignasco; e) travisamento dei fatti, contraddittorietà e/o omesso esame di un fatto decisivo del giudizio in relazione all’eccepita prescrizione.
Nel contraddittorio con l’appellato, con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’ impugnazione.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, affidato a quattro motivi di ricorso.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso vengono così riassunti dal ricorrente:
«1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 50, 107, 109 D.Lgs. 18.8.2000 n. 267 (e prima ancora degli artt. 36 e 51 l. 8.6.1990 n. 142 e dell’art. 6 l. 15.5.1997 n. 127) e dell’art. 191 D.Lgs. 18.8.2000 n. 267 (e prima ancora dell’art. 35 D.Lgs. 25.2.1995 n. 77) in relazion e all’art. 360 n. 3 c.p.c. . Non può dichiararsi la responsabilità del AVV_NOTAIO del comune per non aver impedito la fornitura del servizio affidato con delibera nulla perché priva di copertura finanziaria, in quanto al AVV_NOTAIO quale organo politico del comune sono estranei atti di gestione amministrativa e di puntuale controllo della regolarità dei singoli atti e provvedimenti (pag. 16).
Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 2702 c.c., 2721 c.c., 2725 c.c., 2729 c.c., 115 c.p.c., 214 e ss. c.p.c., dell’art. 191 D.Lgs. 20.8.2000 n. 267 (e prima ancora dell’art. 35 D.Lgs. 25.2.1995 n. 77) -art. 360 n. 3 c.p.c. . Non può affermarsi la
responsabilità del ricorrente per aver conferito tre dei quattro incarichi oggetto di causa, in quanto per questi manca la sottoscrizione del ricorrente in calce ai disciplinari di incarico prodotti in atti; né può ritenersi sufficiente allo scopo una gene rica ‘riconducibilità’ degli incarichi in questione al ricorrente; né può invocarsi a riprova di tale riconducibilità la mancata contestazione, da parte di altri soggetti ed in altri procedimenti giudiziari o amministrativi, della mancanza di sottoscrizione (pag. 19).
Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -art. 360 n. 5 c.p.c. La Corte ha completamente omesso di esaminare le circostanze poste a base delle motivazioni per cui il Comune di Calvignasco ha adottato le delibere di annullamento in autotutela degli atti di approvazione dei progetti del geom. COGNOME. Tali circostanze mostrano che il Comune non ha affatto utilizzato i progetti e le prestazioni rese dal professionista, in quanto inidonei all’esecuzion e delle opere (pag. 24).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 191 T.u.e.l. (e prima ancora dell’art. 35 D.Lgs. 25.2.1995 n. 77), degli artt. 1218 e 2697 c.c. -art. 360 n. 3 c.p.c. . La Corte ha illegittimamente negato rilevanza agli atti di annullamento delle delibere di approvazione dei progetti del geom. COGNOME ritenendoli atti unilaterali, laddove invece tali atti, ben lungi dal provenire da una delle parti in causa, dimostrano che nella fattispecie è mancata l’acquisizione del servizio necessaria ai fini dell’insorgenza dell’obbligo dell’amministratore, capovolgendo altresì le regole del riparto dell’onere della prova della corretta esecuzione del professionista (pag. 30).»
Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. , ma l’eccezione è estremamente generica, non contenendo alcun richiamo alla giurisprudenza consolidata che l’impugnazione vorrebbe sovvertire senza addurre elementi di
valutazione nuovi, mentre il ricorrente ha illustrato ampiamente i motivi di ricorso e l’opinione della giurisprudenza invocata a supporto delle proprie deduzioni.
Il controricorrente ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità dei motivi, ma anche in questo caso l’eccezione è estremamente generica, non descrivendo i motivi asseritamente viziati, emergendo, invece, dalla semplice lettura del ricorso le doglianze fatte valere e le ragioni poste a fondamento delle stesse.
La decisione della Corte d’appello , nella parte in cui ha ritenuto che il ricorrente ha reso possibile l ‘esecuzione della prestazione dello COGNOME, nonostante l’assenza di copertura finanziaria, si fonda su due distinte rationes decidendi.
La menzionata Corte ha, infatti, sul punto, statuito come segue: « L’azione del geometra NOME COGNOME, è quindi stata correttamente indirizzata nei confronti di uno dei responsabili del fatto denunziato, individuato nel AVV_NOTAIO COGNOME NOME. La responsabilità dello stesso deriva dal non avere impedito che le prestazioni avvenissero nella irregolarità della procedura amministrativa e quindi consentendo che l’attività professionale del geometra (direzione lavori progettazione ed altro) venisse utilizzata dall’ente comunale, che di volta in volta ha approvato tutta la documentazione fornita dal professionista all’Ente. Il Sindaco COGNOME poi ha sottoscritto le convenzioni di incarico professionale tra il comune di Calvignasco ed il geometra COGNOME ed a nulla rileva che, in talune di quelle prodotte in copia, non risulti la firma autografa del AVV_NOTAIO ma solo la dicitur a ‘ RAGIONE_SOCIALEto RAGIONE_SOCIALE‘ accanto al timbro e nella parte riservata alla firma del AVV_NOTAIO del comune di Calvignasco. Il primo giudice sul punto ha correttamente motivato, evidenziando che, nella fattispecie. costitutiva dell’obbligazione ex art. 191 TUEL ciò che rileva è la riconducibilità degli atti che hanno comportato la fornitura all’ente, all’amministratore o al funzionario
dello stesso. Le convenzioni citate sono infatti, allegati degli atti deliberativi, che ne approvano il contenuto, adottati dall’amministrazione comunale, e che autorizzano il AVV_NOTAIO all’affidamento dell’incarico alle condizioni di cui allo s chema approvato. Non vi è logica ragione di ritenere che, l’affidamento dell’incarico professionale sia stato conferito da soggetto estraneo e non autorizzato diverso dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO tempore NOME AVV_NOTAIO , peraltro nessuno prima di questo processo, ha messo in discussione la regolarità del conferimento dell’incarico n é con atti amministrativi né esplicitamente nelle precedenti fasi processuali ( anche di arbitrato), dove pur risultando contumace COGNOME NOME, risultava invece costituito il Comune di Cavignasco in persona del AVV_NOTAIO in carica NOME COGNOME con l’AVV_NOTAIO. A ciò si deve aggiungere che, il Consiglio Comunale e la giunta di Cavignasco ha sempre approvato, tutti i progetti predisposti del geom. COGNOME sulla base dei disciplinari d’incarico, mai contestati.»
Da una parte, la Corte ha dato rilievo al fatto che il Sindaco non avesse impedito l’esecuzione delle prestazioni nell ‘ irregolarità della procedura amministrativo-contabile e, dall’altra, ha ritenuto provato che fosse stato proprio il Sindaco a sottoscrivere le convenzioni con il professionista.
La prima statuizione è censurata con il primo motivo di ricorso e la seconda con il secondo motivo di ricorso.
Occorre prima esaminare il secondo motivo, che si rivela infondato.
5.1. Com’è noto, l’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, prevede quanto segue: «Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lettera e), tra il
privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni.»
La previsione riproduce, con qualche modifica, la normativa dettata dall’art. 23, comma 4, d.l. n. 66 del 1989, conv, con modif. in l. n. 144 del 1989, ove era stabilito quanto segue: «Nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni.»
In particolare, l ‘art. 23, comma 4, d.l. cit. è stato sostituito dall’art. 35, comma 4, d.lgs. n. 77 del 1995, modificato dall’art. 4 d.lgs. n. 342 del 1997, e poi è stato trasfuso nell’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000.
5.2. In punto di diritto, questa Corte è oramai costante nel ritenere che l ‘esecuzione della prestazione in favore di un ente locale, in mancanza di una formale delibera di assunzione di impegno contabile comporta , ai sensi dell’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, l’instaurazione del rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario, che ne abbiano consentito lo svolgimento (v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 26657 del 18/12/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 80 del 04/01/2017; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12014 del 16/05/2018).
Le Sezioni Unite di questa Corte, guardando alla previgente disciplina regolata dall’art. 23 d.l. n. 66 del 1989, hanno evidenziato che il tratto saliente della disciplina in questione deve essere individuato nell’avere operato una sorta di frattura (o scissione) ope legis nel rapporto organico tra l’amministratore (o il funzionario) che
ha consentito la spesa e l’Amministrazione – escludendo la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori dello schema procedimentale previsto – allo scopo di garantire il rispetto dei principi di legalità, correttezza e trasparenza della gestione, di assicurare che la volontà contrattuale sia espressa dagli organi istituzionalmente competenti, e, al tempo stesso, di contenere la spesa pubblica e prevenire il formarsi del disavanzo finanziario degli enti, mediante la previsione che ad ogni obbligazione assunta faccia riscontro l’impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio (v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 26657 del 18/12/2014).
Il rapporto obbligatorio che intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore (o il funzionario) che abbia consentito la fornitura non si pone in relazione di sinallagmaticità con la fornitura stessa, prefigurando, più che un’obbligazione ex contractu o ex delictu , il tertium genus delle obbligazioni ex lege (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 26657 del 18/12/2014).
Il rapporto obbligatorio, non perfezionatosi nei confronti dell ‘Ente per violazione delle norme regolatrici della sua formazione, si crea tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario, per avere questi, nell’esercizio delle sue funzioni, consentito ovvero permesso che avvenisse l’acquisizione della prestazione o della fornitura, senza opporvisi per quanto dovuto nei limiti delle sue attribuzioni (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15415 del 13/06/2018).
Tale ricostruzione è coerente con quanto statuito dalla Corte costituzionale, allorché la stessa ha ritenuto, sempre con riferimento all’art. 23 d.l. cit., « gli atti di acquisizione di beni e servizi in esame solo apparentemente sono riconducibili all’ente locale, mentre, in effetti, si verifica una vera e propria scissione del rapporto di immedesimazione organica tra agente e Pubblica amministrazione» (Corte cost., Sentenza n. 295 del 30/07/1997).
Ai fini dell’interpretazione del disposto dall’art. 23, comma 4, d.l. n. 66 del 1989, dal punto di vista soggettivo, questa Corte ha espressamente escluso che l’attività di “consentire” la prestazione debba consistere in un ruolo di iniziativa o di determinante intervento del l’amministratore o del funzionario, essendo sufficiente che questi ometta di manifestare il proprio dissenso e presti invece la sua opera come in presenza di una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21340 del 09/10/2014).
Il disposto normativo è, infatti, volto a far sì che un contratto non perfezionatosi secondo legge, nei termini sopra evidenziati, non pervenga alla fase esecutiva. A questo fine viene responsabilizzato l’amministratore o il funzionario che, chiamato ad operare, a cagione del suo ufficio, per la conclusione e l’attuazione del contratto, lasci che la prestazione venga eseguita. Il legislatore vuole, infatti, e lo si desume dalla scelta del l’ espressione verbale, che il funzionario neghi il suo consenso e comunque non presti, per quanto possibile, l’opera che sarebbe suo dovere compiere se il contratto fosse stato formato a norma di legge. Lasciar fare in luogo di ostacolare, assecondare, cooperare, sono manifestazioni di quel comportamento consenziente che il legislatore ha voluto vietare e dal quale fa scaturire conseguenze a carico del funzionario o dell’amministratore (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21340 del 09/10/2014).
5.3. In tale quadro, dunque, la partecipazione al conferimento dell’inca rico, mediante la firma della relativa convenzione, senza la necessaria copertura finanziaria è riconducibile alla condotta descritta dall’art. 191 d.lgs. cit., perché si tratta di attività che rende possibile l’esecuzione della relativa prestazione. È, tuttavia, evidente che la sottoscrizione della convenzione da parte dell’amministratore o del funzionario non assume rilievo esclusivo ai fini della pretesa avanzata,
trattandosi di un fatto che integra la condotta con la quale il Sindaco ha consentito la prestazione in violazione delle norme contabili.
5.4. Com’è noto, i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem , così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 c.c. per la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 5880 del 04/03/2021).
5.5. Non è, dunque, fondata la censura nella parte in cui è criticata la decisione della Corte territoriale, per non avere considerato la mancata acquisizione al processo delle convenzioni sottoscritte dal Sindaco, avendo il giudice di merito comunque ritenuto provato il fatto storico , consistente nell’intervenuta firma delle quattro convenzioni da parte di quest’ultimo, sulla base di una valutazione di una serie di elementi indiziari, operando una valutazione in fatto delle risultanze istruttorie, non sindacabile in sede di legittimità.
Il rigetto del secondo motivo di ricorso rende inammissibile il primo motivo, risultando la decisione fondata su una delle due rationes decidendi infondatamente censurata.
Col terzo e il quarto motivo di ricorso per cassazione è censurata la decisione della Corte di merito che ha respinto il terzo motivo di appello, relativo alle dedotte inadempienze del professionista, statuendo come segue: «Non risulta alcuna concreta contestazione in ordine all’esatto adempimento da parte del comune nei confronti del professionista, risulta invece l’approvazione con atti formali esecutivi degli organi comunali competenti, di tutta l’attività posta in essere dal geometra COGNOME in esecuzione degli incarichi affidati. Le delibere di annullamento sono state adottate a distanza di svariati anni
dall’approvazione delle stesse, e quindi dopo l’utilizzo da parte del comune del materiale ricevuto. Il primo giudice ha infine correttamente ritenuto che la revoca in autotutela delle delibere di conferimento dell’incarico, con procedimento iniziato dopo la diffida a pagare notificata dal professionista, è atto unilaterale e di nessuna rilevanza nel caso concreto, nel quale la fat tispecie costitutiva dell’obbligazione gravante sul convenuto, sorge non in rapporto di sinallagmaticità con la prestazione del professionista, ma in seguito alla acquisizione del comune – in difetto delle prescritte autorizzazioni di spesa, dei servizi del professionista medesimo – nel caso di specie provata dalle delibere prodotte dall’attore di approvazione dei progetti redatti dal medesimo.»
La Corte d’appello ha , dunque, fondato la decisione su due distinte rationes .
In primo luogo, ha dato rilievo all’approvazione dei progetti da parte del Comune e ha escluso il rilievo l’attività postuma, avviata molto tempo dopo la menzionata approvazione, in pendenza del contenzioso insorto tra il Comune e il professionista, che ha portato all’adozione degli atti di annullamento in sede di autotutela.
Tale statuizione è stata censurata con il terzo motivo di ricorso per cassazione.
In secondo luogo, ha ritenuto che la fattispecie prevista dall’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, si era, comunque, perfezionata con l’approvazione e l’utilizzazione delle prestazioni eseguite dal professionista, senza che potesse valere alcun legame di sinallagmaticità tra queste e l’obbligazione dell’amministratore di pagare il compenso.
Tale statuizione è stata censurata con il quarto motivo di ricorso.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
8.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio.
L’omesso esame di elementi istruttori acquisiti al processo non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 28887 del 08/11/2019; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Ovviamente, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione, con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022).
8.2. Nel caso di specie, non è censurato il mancato esame di uno o più fatti storici, intesi nel senso sopra indicato, ma la valutazione operata dei fatti storici acquisiti al processo, come considerati dal giudice, mediante l’argomentato rilievo attribuito ad alcuni elementi piuttosto che ad altri, nell’esercizio di un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità.
Il ricorrente ha ritenuto che il giudice avrebbe dovuto dare rilievo all’attività procedimentale che ha portato all’adozione delle menzionate delibere in sede di autotutela, mentre il giudice di appello ha escluso motivatamente tale rilievo, dando importanza decisiva al fatto che le opere risultassero approvate.
Anche il quarto motivo è inammissibile.
9.1. Secondo il COGNOME, la Corte d’appello ha errato nell’escludere ogni rilievo al fatto che il Comune, dopo aver approvato i progetti, aveva dato avvio ai procedimenti amministrativi per accertare le inadempienze del professionista, all’esito dei quali aveva deliberato di
revocare in sede di autotutela la delibera di affidamento dell’incarico e quella di approvazione dei progetti , perché il disposto dell’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000 deve essere inteso nel senso che deve intervenire una utile acquisizione di beni e servizi, poiché ‘una prestazione inadempiente non può ritenersi acquisizione del servizio’.
Inoltre, sempre in ragione della ritenuta necessità che le prestazioni di cui all’ art. 191, comma 4, d.lgs. cit. siano correttamente adempiute, il ricorrente ha dedotto che la Corte di merito ha violato le regole di riparto dell’onere della prova, poiché l’amministratore aveva contestato l’inadempimento del professionista, documentando che il Comune aveva addirittura revocato l’approvazione dei progetti predisposti dallo COGNOME, con la conseguenza che spettava a quest ‘ ultimo fornire la prova di avere correttamente adempiuto alla propria prestazione, cosa che nella specie non era avvenuta.
9.2. Sotto entrambi i profili la critica si fonda sulla ritenuta rilevanza di vizi e inadempienze nell’esecuzione delle prestazioni riscontrati dal Comune dopo l’approvazione dei progetti .
Il ricorrente, tuttavia, non ha neppure considerato l’effetto preclusivo alla contestazione di vizi e difformità data dall’approvazione dei progetti, ritenuta invece decisiva dal giudice di merito.
T rattandosi, infatti, di prestazione d’opera professionale, ove, in applicazione degli artt. 2230 e 2226 c.c. assume rilievo preclusivo l’accettazione espressa o tacita dell’opera, e sussistono termini di decadenza e di prescrizione per far valere vizi e difformità.
A tale disciplina il giudice ha fatto inequivoco riferimento, dando rilievo dirimente alla approvazione dei progetti e al decorso del ungo lasso di tempo tra l’ approvazione (e utilizzazione) dell’opera e l’avvio del procedimento che ha portato all’annullamento in sede di autotutela degli atti di conferimento degli incarichi, senza che la statuizione sia
stata sul punto attinta dal ricorrente, che ha solo prospettato la rilevanza della corretta esecuzione della prestazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente , che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge ;
dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile