Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11049 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11049 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8086/2021 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente
-controricorrente-
avverso RAGIONE_SOCIALE di CORTE D’APPELLO MILANO n. 169/2020 depositata il 11/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con ordinanza dell’11.1.2021 la Corte di appello di Milano dichiarava inammissibile, ai sensi dell’art 348 bis e dell’art 348 ter c.p.c., l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE avverso la pronuncia nr 9041/2019 del Tribunale di Milano che aveva accertato la responsabilità dell’appellante ex amministratore condannandolo al pagamento della somma di € 181.705,11(come corretta con ordinanza del 27.11.2019).
Rilevava che la scrittura del 21.3.2011 intercorsa fra le parti, considerata dal Tribunale un vero e proprio riconoscimento di avvenuto prestito della somma di € 54.000,00, non era mai stata disconosciuta sia con riguardo alla sottoscrizione che in rapporto al contenuto ed il relativo credito era stato annotato nei bilanci della società a partire dall’anno 2011.
Osservava che tale contenuto non poteva essere travolto da mere allegazioni sfornite di supporto documentale.
Con riguardo alle spese per € 8.112,67 per beni personali nell’interesse della moglie e dei figli, ritenute ingiustificate, così come la gestione delle spese del carburante in quanto alcuni consumi figuravano effettuati in giorni in cui l’amministratore non
era in Lombardia, la Corte di appello condivideva la valutazione espressa dal Tribunale sottolineando come eventuali impieghi di familiari per esigenze della società avrebbero dovuto essere autorizzati.
Con riferimento alla gestione del carburante osservava che le condivisibili conclusioni raggiunte dal Tribunale non erano state scalfite dai motivi di gravame evidenziando che l’appellante si era limitato ad esprimere una diversa valutazione in termini non di illegittimità per la compilazione delle schede a consuntivo senza dimostrare che mediante tale prassi ,certamente meno ordinata, non vi fossero discordanze significative, come emergeva dallo specchietto di cui alle pagine 18 e 19 della comparsa della società.
Relativamente all’anticipazione della retribuzione le circostanze fattuali erano secondo il giudice del gravame pacifiche giacchè l’amministratore aveva ricevuto in anticipo la retribuzione il 4.3.2016 e l’incarico era stato revocato con decorrenza dal 4.3.2016 sicchè le somme ricevute a tale titolo dovevano essere restituite.
Da ultimo con riguardo ai pagamenti effettuati in favore di COGNOME e dei consulenti della stessa per complessivi € 94.258,02 tra il 2012 ed il 2013 osservava che l’appellante non aveva contestato la realtà storica dei fati limitandosi a sostenere che l’effettuazione di tali versamenti di denaro corrispondevano ad accordi di cui non era stata fornita la benchè minima prova.
Evidenziava inoltre che non era stato neppure spiegato per quali ragioni i versamenti disposti nell’anno 2010 avrebbero dovuto essere collegati a quelli del 2011 come sarebbe stato necessario per fornire un titolo contrattuale all’ultimo pagamento.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi di ricorso cui la società RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si deduce la violazione degli articoli 24 secondo comma, art 111 Cost, degli articoli 6 e 13 Cedu e degli articoli 101,180 e 348 bis e ter c.p.c. per incompatibilità fra le misure emergenziali alternative per la trattazione delle udienze civili( in particolare l’udienza cartolare) con l’applicazione del c.d. filtro in appello ex art 348 bis e ter c.p.c. in quanto lesive del diritto di difesa e contrarie al principio del contraddittorio e alla stessa previsione testuale dell’art 348 ter, primo coma c.p.c. che prevede che il Giudice assuma la decisione sentite le parti.
Si lamenta, in particolare, che per le brevissime note e repliche telematiche sono stati assegnati termini divergenti e oltremodo stringenti del tutto inidonei a garantire l’indispensabile contraddittorio sull’applicabilità del filtro in appello di cui all’art 348 bis c.p.c.
Con un secondo motivo si censura la decisione sotto il profilo delle art 1417,2729, secondo comma c.c. anche in relazione all’art 1344 e agli articoli 2423 ss c.c. in relazione all’art 360 nr 4 c.p.c. nonché per violazione dell’art 115 c.p.c..
Si rimprovera, in particolare, alla Corte di appello di aver confermato la decisione del Tribunale non rispettando le norme relative alla violazione degli indizi e delle presunzioni, nonché all’ammissibilità della prova per testi per la dimostrazione dell’esistenza di un accordo simulatorio in frode alla legge tra le parti.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art 115 secondo comma in relazione all’art 360 nr 4 c.p.c.
Si sostiene che prima della recente introduzione della fatturazione elettronica era prassi notoria all’epoca dei fatti che le schede carburanti fossero mensilmente compilate a mano senza individuare con esattezza la data del rifornimento, tantopiù quando avveniva presso un distributore unico.
Prassi questa di cui la Corte di appello non avrebbe tenuto in debito conto.
Con il quarto motivo si critica la condanna del COGNOME alla restituzione del compenso del mese di marzo che sarebbe stata pronunciata in violazione degli articoli 1334,1373 e 2383 c.c.
Si lamenta in particolare che la Corte di appello, nel confermare il diritto della RAGIONE_SOCIALE al rimborso del compenso anticipato all’amministratore nel mese di marzo 2016 non avrebbe considerato il diritto dell’appellante a trattenere parte della retribuzione almeno sino alla revoca.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli articoli 1417, 2729, secondo comma c.c. e dell’art 2932 c.c. per avere la Corte di appello escluso che i pagamenti effettuati da First su espressa autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE potessero rientrare nell’ambito dell’insindacabile discrezionalità tipica dell’amministratore in forza della c.d. business judgment rule.
Il primo motivo è infondato.
Il principio del contraddittorio è certo un principio fondamentale del nostro ordinamento, che trova il suo primario riconoscimento alla Costituzione, art. 111 come modificato dalla legge costituzionale n. 2/1999. Tale disposizione, infatti, nel garantire il giusto processo e il diritto di difesa delle parti, pone fondamentali principi che devono
caratterizzare ogni iter processuale. Tra di essi vi è, appunto, quello del contraddittorio tra le parti, in base al quale gli effetti di un provvedimento giurisdizionale non possono estendersi ad un soggetto che non sia stato preventivamente messo in condizione di esternare le proprie ragioni e preparare adeguatamente la propria difesa.
Il principio ha un ruolo centrale nel nostro sistema processuale (civile, penale eamministrativo), in quanto è strumento di garanzia e di attuazione del diritto costituzionale di difesa (Cost., art. 24 comma 2) e, dall’altra parte, si correla anche alla regola dell’uguaglianza, affermata dalla Cost., art. 3 garantendo a ciascuno dei destinatari del provvedimento del giudice di poter influire sul contenuto dello stesso.
Nel processo civile, in particolare, il principio, che è ribadito nell’art. 101 c.p.c., è posto a favore non soltanto delle parti costituite in giudizio, ma anche a tutela della parte contumace e del suo diritto di essere a conoscenza degli atti del processo ai fini del successivo diritto di difesa. E non è riferibile soltanto all’atto introduttivo del giudizio di merito, ma deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto il successivo eventuale svolgimento processuale, compresa la fase del giudizio di legittimità.
Orbene, nel caso di specie, il principio del contraddittorio è stato indubbiamente rispettato.
Il ricorrente si duole che la Corte di appello ha fissato brevissime note e repliche telematiche entro il termine stabilito nel giorno immediatamente successivo al decreto presidenziale il che avrebbe impedito all’appellante di replicare alla corposa memoria avversaria (25 pagine).
Senonché non spiega le ragioni per le quali sarebbe stata utile la memoria di replica.
Neppure spiega le ragioni per le quali non ha richiesto alla Corte di appello la trattazione orale nei cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento così come previsto dal D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 221, come convertito con la L. 17 luglio 2020, n. 77, articolo 221, comma 4 (in vigore dal 29 ottobre 2020).
Va inoltre sottolineato che la costituzione della società in fase di gravame è avvenuta telematicamente il 24.4.2020 mentre la prima udienza inizialmente fissata per il 24.4.2020 è stata rinviata al 18.11.2020 e con provvedimento del 12.11.2020 la Corte di appello in forza della normativa emergenziale contenuta nel D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito che l’udienza si tenesse in forma cartolare concedendo termine sino al 13.11.2020 per deposito di brevi noti scritte all’appellante e sino al 16 novembre per eventuali repliche.
Il lungo rinvio disposto dalla Corte di appello per la prima udienza ai sensi degli articoli 350 e 351 c.p.c. ha consentito all’appellante di esaminare le deduzioni avversarie e di esercitare a pieno il suo diretto di difesa.
Il secondo motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
In primo luogo, la censura difetta di autosufficienza con riferimento alla scrittura del 21.3.2011 (Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34469; (Cass. Sez. U. n. 8950/2022; Cass. n. 6769/2022).
Ed invero, il mezzo non riproduce e neppure riassume il contenuto specifico dell’atto, onde consentire alla Corte di stabilire di apprezzare la fondatezza della censura.
Occorre in secondo luogo ricordare che, come più volte ribadito, nelle rispettive motivazioni, da Cass. n. 25432/2020, Cass. n. 14938/2018 e Cass. n. 25470/2019, il sindacato di legittimità sull’ interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione).
Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto; interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539/2009, Cass. n. 2465/2015, Cass. n. 10891/2016; Cass. n. 7963/2018).
Nel caso di specie il ricorrente tenta di riproporre una propria diversa interpretazione del significato della scrittura privata ipotizzando che l’erogazione della somma di € 54.000,00 a favore dell’ex amministratore sarebbe fondata su un presunto accordo simulatorio non rilevato dai giudici di merito.
Parimenti inammissibile è la censura relativa alla mancata ammissione delle prove orali e alla mancata valutazione dei documenti prodotti.
Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su una istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla sua valutazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’impugnazione, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 17915/2010; Cass. 21632/2013; Cass. 48/2014; Cass. 19985/2017).
Onere questo che non è stato assolto dal ricorrente.
Deve comunque ribadirsi che è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (ex plurimis, Cass. n.29404 del 2017)
Nel contesto delineato in esame, il motivo, al di là delle carenze sopra delineate, si risolve in concreto nella messa in discussione della valutazione operata dal Giudice di merito – e, si ripete, di sua esclusiva competenzadel materiale probatorio, della sua sufficienza e della idoneità delle prove non ammesse, se in ipotesi di esito favorevole alla parte richiedente, a incidere sulla decisione.
Quanto, poi, alla denuncia di violazione di legge, con riferimento all’art. 115 c.p.c., è sufficiente considerare che, come questa Corte non ha mancato di precisare (sent. 1892/16), in materia di ricorso per cassazione la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile in quanto la censura è
caratterizzata dalla genericità.
La Corte di appello, nel condividere la valutazione espressa dal Tribunale in merito alle spese per beni personali nell’interesse della moglie e dei figli e alla gestione delle spese carburante, ha osservato che gli impieghi familiari per esigenze sociali avrebbero dovuto essere autorizzati e comunque non emergeva con chiarezza l’utilizzo dei beni con esigenze sociali.
Per la gestione delle spese del carburante che registravano discordanze tra le date relative ai timbri apposti su dette schede la decisione qui impugnata ha rilevato la genericità della censura nella parte in cui aveva invocato la legittimità della prassi con compilazione a consuntivo senza tuttavia spiegare le discordanze significative che erano emerse in causa.
Valutazione queste che non sono per nulla scalfite dalla censura che contiene un sostanziale rimando alle tesi difensive fatte valere nella fase di merito.
Con riguardo poi alla violazione dell’art 115 secondo comma c.c. per inquadrare la questione giova premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il concetto fatto notorio al pari di quello della nozione di comune esperienza, deve essere interpretato in senso rigoroso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, costituendo una deroga al principio dispositivo ex art. 112 c.p.c. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c..
Il ricorso al notorio rientra poi nel potere discrezionale del giudice di merito, sicché può essere censurato in sede di legittimità solo il recepimento di una sua inesatta nozione, ma non anche la sua mancata applicazione (Cass, n. 4428 del 20.2.2020, sez. 2, n. 33154 del 16.12.2019; Sez. 6 – 5, n.35258 del 18.11.2021).
La ritenuta sussistenza di un fatto notorio, cioè, può essere censurata in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, laddove, del resto, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero l’inveridicità del preteso fatto notorio può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non di ricorso per cassazione (Sez. 6 – 3, n. 13715 del 22.5.2019).
In ogni caso il giudice di merito ha preso in considerazione detta prassi, quantunque considerata meno ordinata, rilevando che ciò che dovevano essere spiegate, al di là delle modalità di registrazione adottate, erano le discordanze riscontrate in relazione alle quali nessuna risposta era stata fornita dall’appellante.
Il quarto motivo è inammissibile.
Con riguardo poi alla retribuzione del mese di marzo, infatti, la Corte ha evidenziato che, a fronte dell’incontestato quadro fattuale, le argomentazioni addotte dall’appellante non erano idonee ad incidere sulle conseguenze giuridiche.
La restituzione della retribuzione era legata al fatto che durante il mese di marzo l’appellante non avrebbe dovuto svolgere l’attività di amministratore stante la revoca dell’incarico a decorrere dal 4.3.2016 sicchè l’anticipo dello stipendio pacificamente avuto in anticipo andava restituito.
La valutazione espressa dal giudice di merito con un ragionamento coerente con le risultanze di causa non può essere censurata se non negli stretti limiti di cui all’art 360 primo comma nr 5 c.p.c. qui non deducibile atteso che, a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza di appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c.
Da ultimo anche la censura relativa al quinto motivo è inammissibile.
Si lamenta che il giudice del gravame non abbia considerato con riguardo ai pagamenti effettuati dalla società RAGIONE_SOCIALE su autorizzazione del RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE la facoltà dell’amministrazione di operare scelte gestionale.
Il ricorrente, al di là della formale denuncia di violazione di legge, attinge alla valutazione del fatto espressa in proposito dalla Corte di appello proponendo un apprezzamento diverso e alternativo non consentito in questa sede stante le preclusioni derivanti dalla regola di cui all’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c.
Invero la Corte ha rilevato che l’appellante non aveva contestato la realtà storica dei fatti essendosi limitato a qualificarli secondo una prospettazione difensiva fatta valere in primo grado vale dire che tali versamenti in denaro corrispondevano ad accordi dei quali però non aveva fornito alcun riscontro.
Così come non aveva dato alcuna spiegazione in merito ai pretesi collegamenti fra i versamenti effettuati nell’anno 2010 e quelli relativi all’anno 2011.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE delle spese di legittimità liquidate in complessive € 7000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed al 15% per le spese generali ed Iva e c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 17.04.2025
Il Presidente
(NOME COGNOME)