Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27813 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27813 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20558/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME .
– Ricorrente –
Contro
BANCA D ‘ ITALIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME .
– Controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 466/2021, pubblicata il 22/01/2021.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2025.
SANZIONI BANCA D’ITALIA
Rilevato che:
NOME COGNOME, ex componente del cda di RAGIONE_SOCIALE (‘VB’) , proponeva opposizione ex art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993 (‘TUB’) avverso la delibera n. 727/2017 (provvedimento sanzionatorio prot. 1513040NUMERO_DOCUMENTO17) del 22 dicembre 2017 del direttorio della RAGIONE_SOCIALE d’Italia c on cui gli era stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 70.000,00 per carenze nell’organizzazione, nella gestione dei rischi e nei controlli interni.
La RAGIONE_SOCIALE d’Italia resisteva all’opposizione.
La Corte d’appello di Roma rigettava con la sentenza richiamata in epigrafe la domanda e condannava l’ opponente al pagamento delle spese del grado dopo avere respinto i motivi di opposizione in punto di tardività della contestazione, mancata applicazione del principio del favor rei , nonché alcune censure di merito.
In particolare, la sentenza premette che all’opponente è stato contestato di avere provveduto, quale componente del cda, a nominare, in data 8/04/2014, NOME COGNOME alla carica di direttore generale della banca, e ciò in contrasto con le richieste di ‘ integrale ricambio degli organi societari avanzate da RAGIONE_SOCIALE d’Italia’ .
L a Corte d’appello r espingeva l’eccezione dell’opponente di difetto di colpa in ragione del fatto che, in primo luogo, anche i consiglieri privi di delega sono tenuti a vigiliare sui delegati; in secondo luogo, in materia di sanzioni amministrative, opera la presunzione di colpa e spetta all’incolpato, nella specie all’amministratore di una banca, in presenza di segnali di allarme, provare di aver tenuto la condotta attiva dovuta al fine di scongiurare il danno.
Nel dettaglio, la sentenza riteneva fondata l ‘argomento della RAGIONE_SOCIALE d’Italia secondo cui l’attività ispettiva del 2013 aveva fatto emergere un accentuato deterioramento della situazione di VB,
derivante dall’elevata esposizione ai rischi creditizi e alle rilevanti disfunzioni nella governance e nel sistema dei controlli interni, ed aveva individuato nella figura di COGNOME all’epoca amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE – il dominus della banca, principale se non unico responsabile di scelte gestionali estremamente rischiose e indifferenti ai canoni di prudenza e di correttezza dell’attività creditizia.
Pertanto, spiega la Corte d’appello, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia , nelle note indirizzate all’istituto di credito, aveva ripetutamente chiesto un ricambio delle principali cariche sociali e aveva indicato l’esclusione di COGNOME dal vertice dell’esecutivo di VB.
Tuttavia, prosegue la sentenza, il cda, nella seduta dell’8/04/2014, con il voto favorevole di COGNOME, aveva nominato COGNOME direttore generale, con ciò ponendo il manager nella posizione gestoria apicale – anche perché, nel nuovo assetto societario, veniva a mancare la figura dell’ad – nonostante la chiara richiesta di discontinuità proveniente dall’autorità di vigilanza.
Infine, ad avviso del giudice di merito, la sanzione pecuniaria inflitta all’opponente, nella misura di euro 70.000, 00, posta l’inapplicabilità dell’art. 144 quater del TUB, è congrua alla luce della gravità della condotta consistita nella (vedi pagina 12 della sentenza) ‘ conferma di COGNOME in un ruolo apicale nonostante l’esito dell’ispezione e l’espresso invito ad una radicale svolta nella governance e di iniziative in netta discontinuità con il passato, e quindi nella consapevolezza di operare in difformità da regole di diligenza amministrazione ‘;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
La RAGIONE_SOCIALE d’Italia ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è denunciata -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l’intervenuta decadenza della RAGIONE_SOCIALE d’Italia dal potere sanzionatorio per effetto della tardività della contestazione, notificata al dirigente di VB oltre il termine di 90 giorni dall’accertamento previsto dell’art icolo 14 (cit.);
1.1. il motivo non è fondato;
la Corte di appello di Roma ha ritenuto tempestiva la contestazione, notificata a COGNOME l’8 febbraio 2017, ponendo l’accento su due concorrenti ragioni: in primo luogo, la complessità dell’attività accertatrice dell’organo ispettivo della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, il quale ha dovuto prendere visione e rielaborare, in maniera autonoma, il risultato dell’accertamento della BCE , conclusosi il 23 ottobre 2015, tra l’altro basato su una corposa relazione in inglese, dato che, per la giurisprudenza di legittimità, ai fini della decorrenza del termine di contestazione, non occorre fare riferimento al momento in cui avviene la violazione, ma a quello in cui il soggetto titolare della potestà sanzionatoria acquisisce la piena contezza dell’illecito amministrativo; in secondo luogo, l’art. 1.1. del provvedimento della RAGIONE_SOCIALE d’Italia del 18 dicembre 2012 (‘ Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa’) , che prevede che l’accertamento si perfeziona co n l’apposizione agli atti del visto da parte del capo del dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria.
L’accertamento si è perfezionato, dunque, in data 17 gennaio 2017, con l’apposizione del visto del capo dipartimento vigilanza, sicché la contestazione dell’8 febbraio 2017 è avvenuta entro il termine di 90 giorni del citato articolo 14.
Il primo aspetto della decisione della Corte di appello di Roma, concretizzandosi in un giudizio di fatto, è estraneo al perimetro del
sindacato di legittimità. In termini generali, il prolungarsi dell’attività di accertamento appare giustificato sia dalla particolare complessità del procedimento (il primo nel suo genere, per essere scaturito dalle sollecitazioni della BCE e dalla documentazione da questa inviata all’autorità di vigilanza nazionale), sia dall’esigenza dell’autorità di vigilanza nazionale di svolgere un accertamento in maniera del tutto autonoma e indipendente rispetto alla BCE che, in base alla normativa comunitaria, ha compiti di vigilanza prudenziali nei confronti dei cosiddetti ‘ intermediari significativi ‘ , ma non ha potere di irrogare sanzioni ai dipendenti e esponenti aziendali degli stessi enti.
Il secondo aspetto della decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (vedi, tra le altre, Cass. nn. 6078/2025, Cass. 32010/2024, in connessione con Cass. Sez. 2 n. 29594/2023 e Cass. Sez. 2 n. 4820/2019), che ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di sanzioni amministrative irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia, il termine di decadenza previsto dall’art. 14 della legge n. 689 del 1981 per la notifica della contestazione delle violazioni agli interessati decorre dall’apposizione del visto del direttore centrale della vigilanza bancaria e finanziaria, suggellandosi con esso la conclusione della fase di accertamento di tutti gli elementi dell’illecito, comprensiva, altresì, della valutazione e dell’adeguata ponderazione dei dati acquisiti e degli atti preliminari;
2. con il secondo motivo è dedotta in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione o falsa applicazione degli articoli 144-ter e 144-quater e 145 comma 11 del TUB ed è prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 3 del d.lgs. n. 72 del 2015 e dell’art. 1 , comma 1, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui tali norme escludono l’applicazione retroattiva delle
disposizioni più favorevoli previste, rispettivamente, dagli artt. 144ter e 144-quater del TUB.
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non ha applicato retroattivamente le disposizioni più favorevoli previste dall’art. 144 -ter del Testo unico bancario, introdotte dal d.lgs. n. 72 del 2015, che, di regola, limitano la responsabilità degli esponenti e del personale degli enti e società al ricorrere di determinate condizioni (alle quali non si fa riferimento nell’accertamento da cui è scaturita l’impugnata sanzione), o, in subordine, dagli artt. 144-quater e 145, comma 11, TUB, pure introdotti dal d.lgs. n. 72 del 2015, in base ai quali la sanzione irrogata dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia deve essere commisurata tenendo conto di una serie di criteri aggiuntivi miranti a personalizzare la sanzione sulla base delle caratteristiche individuali e, pertanto, sulla base dell’effettiva responsabilità soggettiva e organica di ciascuno dei soggetti sanzionati (in misura maggiore e più favorevole all’incolpato rispetto a quanto fosse previsto dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981). Ed infatti, prosegue il ricorrente, l’ applicazione retroattiva delle nuove disposizioni del TUB è imposta dalla natura sostanzialmente penale dell’illecito amministrativo contestato all’ex membro del cda di VB e presuppone che sia sollevata questione di legittimità costituzionale della disciplina transitoria dettata dal d.lgs. n. 72 del 2015, che irragionevolmente differisce l’entrata in vigore degli articoli 144-ter, 144-quater e 145, comma 11, del TUB all’emanazione della normativa secondaria di attuazione o, in subordine, dell’art. 1 , comma 1, della legge n. 689 del 1981, che non prevede l’applicazione retroattiva della lex mitior ;
2.1. il motivo, nelle sue plurime censure prospettate, è infondato;
la sentenza afferma che le nuove diposizioni del TUB, introdotte dal d.lgs. n. 72 del 2015, trovano applicazione soltanto per le
violazioni commesse dopo il 1° giugno 2016, ossia dal l’entrata in vigore della normativa secondaria adottata dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia, e quindi non possono essere fondatamente invocate nel presente giudizio che riguarda fatti commessi in epoca precedente.
La soluzione è conforme al costante orientamento di questa Corte (vedi, tra le altre, Cass. 32010/2024) secondo cui lo ius superveniens , ossia il d.lgs. n. 72/2015, quale lex mitior , non è applicabile retroattivamente in ragione del fatto che lo stesso decreto, all’art. 2 , comma 3, stabilisce che esso si applica ai fatti commessi dopo il 1° giugno 2016 (data di entrata in vigore delle disposizioni di carattere secondario adottate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 145 -quater, TUB, introdotto dalla normativa sopravvenuta), e, quindi, non anche nel presente giudizio che riguarda fatti avvenuti in epoca anteriore.
Questa statuizione è conforme alla giurisprudenza di legittimità, la quale ha spesso affermato che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia, ai sensi degli artt. 144 e seguenti, TUB, (nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 72/2015) nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, non sono equiparabili, quanto a gravosità economica ed incidenza sui diritti e libertà fondamentali, avuto riguardo alle concrete estrinsecazioni professionali, imprenditoriali e manageriali della persona, a quelle previste dall’art. 187 -ter, TUF, per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno natura sostanzialmente penale e non pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU ( vedi, tra le altre, Cass. nn. 16517/2020, 17209/2020, 24850/2019, 3656/2016). Cade, quindi, anche l’analogia del caso con la pronuncia n. 63 del 2019 della Consulta, ove l’applicazione della lex mitior era stata, in
quell’occasione, affermata sulla scorta del riconoscimento della natura sostanzialmente penale della diversa fattispecie sanzionatoria rappresentata dall’art. 187 -ter, TUF. Esclusa, dunque, la natura afflittiva delle sanzioni irrogate, richiamata anche la ricostruzione nel quadro normativo internazionale e interno, in virtù del quale il principio di retroattività della lex mitior di natura penale (estensibile alle sanzioni amministrative di carattere afflittivo) non è assoluto, ma può essere ragionevolmente derogato dal legislatore (Corte cost., sentenza n. 236 del 2011, punto 10; Corte cost., sentenza n. 393 del 2006; Grande Camera della Corte EDU, 17 settembre 2009, COGNOME c. Italia; Corte EDU, decisione 27 aprile 2010, Morabito c. Italia), è stata ritenuta priva di pregio la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 72 del 2015. Ne esce confermato l’orientamento di questa Corte in virtù del quale, in materia di illecito amministrativo, il principio di legalità e irretroattività comporta l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, in base al canone del tempus regit actum (Cass. n. 24374/2024, in connessione con Cass. nn. 6295/2023, 16322/2019; in termini, Cass. nn. 12243/2025, 7141/2025, 29963/2024, 25718/2024, 24374/2024, 10348/2024, 26983/2022);
3. con il terzo motivo è prospettata -ancora in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del TUB per avere la Corte di Roma erroneamente ravvisato la responsabilità del ricorrente, dal momento che la deliberazione assunta dal cda di RAGIONE_SOCIALE in data 8/04/2014 (con il voto favorevole di COGNOME), con la quale NOME COGNOME veniva nominato direttore generale della banca, non si poneva in contrasto né con le richieste contenute nelle note della RAGIONE_SOCIALE d’Italia del 06/11/2013, del 27/01/2014 e del 25/03/2014, né con le disposizioni emanate dalla stessa autorità di vigilanza con regolamento del 4 marzo 2008;
4. con il quarto motivo è denunciata con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2381 e 2391 c.c. e dell’art. 144 del TUB per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la nomina di COGNOME a direttore generale di RAGIONE_SOCIALE fosse illegittima perché la decisione del cda in data 8/04/2014 -‘valutabile ex tunc e solo sulla base di quanto in quel momento era dai medesimi in concreto conoscibile e conosciuto del pregresso operato dell’allora amministratore delegato’ – era stata adottata nell’esercizio della piena e legittima discrezionalità dell’organo amministrativo e, pertanto, era immune da censure;
il terzo e il quarto motivo, suscettibili di esame congiunto perché pongono questioni tra loro connesse, sono anch’essi privi di fondamento.
Si tratta della riproposizione, in questa sede di legittimità, delle medesime censure già prospettate dall’opponente nel giudizio di merito e che la Corte d’appello ha disatteso articolando un ragionamento fondato su solide basi normative e su elementi di fatto, insindacabili nel giudizio di cassazione.
Nel dettaglio, la Corte d’appello evidenzia che il consiglio di amministrazione, nella riunione dell’8 aprile 2014, con il voto favorevole del consigliere COGNOME, aveva nominato COGNOME direttore generale, violando gli obblighi previsti dalle disposizioni della RAGIONE_SOCIALE d’Italia in materia di gestione società. Ed infatti l’autorità di vigilanza, con le note del 2013 e del 2014, aveva chiesto a RAGIONE_SOCIALE un radicale mutamento della governance , in precedenza appannaggio esclusivo de ll’amministratore delegato COGNOME.
Muovendo da questa premessa e dal dato testuale delle ‘ Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle Banche ‘ (Provvedimento della RAGIONE_SOCIALE d’Italia del 4
marzo 2008) -secondo cui l’espressione organo con funzione di gestione deve intendersi riferita al l’organo aziendale o ai componenti di esso ai quali spettano o sono delegati compiti di gestione, ossia l’attuazione degli indirizzi deliberati nell’esercizio della funzione di supervisione strategica. Il direttore generale rappresenta il vertice della struttura interna e come tale partecipa alla funzione di gestione -il giudice di merito giunge alla conclusione, ineccepibile sul piano giuridico, secondo cui integra la contestata violazione la conferma di COGNOME in un ruolo apicale, nonostante l’esito dell’ispezione e l’espresso invito ad una radicale svolta nella governance e all’assunzione di iniziative in netta discontinuità con il passato, e quindi nella consapevolezza di operare in difformità da regole di diligenza amministrativa.
Nel quarto motivo di ricorso (vedi pag. 58), inoltre, si sostiene che ‘Nell’aprile 2014 i Consiglieri non esecutivi di Amministrazione di VB che autorizzavano VB alla sottoscrizione con il signor NOME COGNOME del contratto come ‘Direttore Generale’ non erano né potevano esser a conoscenza delle modalità operative, integranti violazioni di norme penali, poste in precedenza in essere dal signor NOME COGNOME e che solo successivamente (vedi articolo del 21.2.2015 di Corriere del RAGIONE_SOCIALE ) sono state conosciute dagli amministratori non esecutivi e dal Dott. COGNOME, in particolare, in virtù della disposta custodia cautelare del signor NOME COGNOME e dei successivi procedimenti penali poi instaurati ‘ .
Il rilievo critico, sfrondato degli aspetti fattuali che questa Corte non può esaminare, e ridotto al nucleo concettuale in diritto, collide con il fermo indirizzo di legittimità (vedi Cass. n. 21502/2024; in termini, Cass. nn. 29963/2024, 8581/2024) sul ruolo e i doveri dei consiglieri privi di deleghe e sul tema delle sanzioni inflitte (per
quanto qui rileva) dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia ai componenti del cda di un ente creditizio per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni.
Queste pronunce chiariscono che «ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), del d.lgs. n. 385 del 1993 e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare n. 229 del 1999 (e successive modificazioni e integrazioni), sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che rigua rdano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi»; si è anche affermato che «in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto ind urre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848 del 2015; Cass. n. 19556 del 2020)». La Corte aggiunge che «l dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operativi tà, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di
tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima o all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno».
Comportamento diligente che, indubitabilmente, il ricorrente non ha tenuto, visto che, laddove ha partecipato alla nomina di COGNOME
quale direttore generale, ha disatteso le prescrizioni della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, che aveva ripetutamente sollecitato una drastica discontinuità nella governance di VB, da attuare attraverso l’esclusione dell’ex amministratore delegato dalla gestione della banca.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 6.000,00, a titolo di compenso, oltre ad euro 200,00, per esborsi, e alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 8 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME