Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8228 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8228 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 17015/2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
Sanzioni Banca d’Italia
avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Roma n. 7439/2018 depositata il 23/11/2018.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 28 novembre 2024.
Udito la Sostituta Procuratrice Generale NOME COGNOME la quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Udito l’avvocato NOME COGNOME su delega dell’avvocato NOME COGNOME.
Uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. In esito alle indagini a largo raggio condotte dalla Banca Centrale Europea (‘BCE’) nei confronti della Banca Popolare di Vicenza ( ‘ BPVi ‘ ), nel periodo compreso tra il 26/02/2015 e il 03/07/2015, in relazione al c.d. Meccanismo di Vigilanza Unico istituito con Regolamento Europeo del Consiglio n. 1024/2013 (che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale (ossia attinenti ai rischi che gravano sul singolo intermediario) degli enti creditizi ‘significativi’ che riserva all’ autorità nazionale di vigilanza il potere di irrogare sanzioni agli organi persone fisiche per violazione sia di norme comunitarie in materia direttamente applicabili, sia di norme nazionali traspositive di direttive comunitarie), con delibera n. 367/2017, prot. 683186, del 25/05/2017, il Direttorio della Banca d’Italia applicò a NOME COGNOME fino al 09/07/2013 componente del consiglio di amministrazione della banca, due sanzioni amministrative per complessivi euro 20.000 per ‘ c arenze nell’organizzazione, nella gestione dei rischi e nei controlli interni’ e per ‘carenze di governo societario, con particolare riferimento all’assetto del gruppo, alla ripartizione delle deleghe ed ai flussi informativi’ .
NOME COGNOME ha proposto opposizione, ex art. 145 TUB, davanti alla Corte d’appello di Roma e ha chiesto l’annullamento dell a sanzione.
La Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio della Banca d’Italia, ha respinto la domanda dopo avere disatteso i motivi di opposizione riguardanti: (i) la violazione del termine decadenziale di novanta giorni di cui all’art. 14 legge n. 689 del 1981 per notificare la contestazione degli addebiti; (ii) la violazione del diritto dell’incolpato di accesso agli atti consegnati dalla BPVi alla Banca d’Italia e/o alla BCE nel corso degli accertamenti ispettivi; (iii) il difetto di istruttoria a causa d ell’ acritico recepimento delle risultanze del report della BCE; (iv) l’ illegittimità del procedimento sanzionatorio per violazione delle garanzie procedimentali del giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo , sulla base dei principi enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 04/03/2014, COGNOME RAGIONE_SOCIALE c. Italia ; (v) la genericità e indeterminatezza delle contestazioni; (vi) la violazione del principio di personalità della sanzione con riferimento alla dedotta assenza di colpevolezza del ricorrente; (vii) le singol e contestazioni mosse dalla Banca d’Italia al ricorrente sulla base dei findings allegati al rapporto ispettivo della BCE, con specifico riferimento ai rilievi attinenti al processo di determinazione del valore delle azioni; alla pratica dei cd. finanziamenti baciati (finanziamenti erogati dalla BPVi alla clientela per fornire la provvista per l’acquisto di azioni proprie) ; alle procedure di riacquisto di azioni proprie; al mancato controllo circa la non conformità dell’aumento di capitale deliberato nel 2013 rispetto alla normativa MiFID; all ‘ attività delle funzioni di compliance e di internal audit ; alla carenza di governo societario, assetto del gruppo, ripartizione delle deleghe e flussi informativi; all ‘ operatività della divisione finanza al di fuori dei poteri delegati dal c.d.a.; alle
disfunzioni attinenti alla controllata di diritto irlandese RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattordici motivi.
La Banca d’Italia ha resistito con controricorso .
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che il ricorso sia respinto.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso per cassazione di NOME COGNOME è articolato in settantotto pagine, suddivise in quattordici motivi: l’eccezionale ampiezza dell’atto impone una sintetica esposizione delle singole censure con rinvio ad esso per relazione.
Il primo motivo censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 145 TUB e dell’art. 1 4 legge n. 689 del 1981 per avere la sentenza qui impugnata erroneamente respinto l’eccezione dell’opponente di decadenza della Banca d’Italia dalla potestà sanzionatoria a causa della tardiva notificazione degli addebiti.
In particolare, a fronte di un accertamento conclusosi il 29 febbraio 2016, la contestazione è stata notificata il 12 luglio 2016, un mese e mezzo dopo la scadenza del termine di novanta giorni di cui all’art. 14, cit.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato.
In linea con quanto stabilito da questa Corte (Cass. n. 12436/2022) chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da un altro consigliere d’amministrazione della BPVi avverso la stessa delibera sanzionatoria qui in esame, rileva il Collegio che la CDA di Roma, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto tempestiva la contestazione della violazione del 16 luglio 2016 in
quanto l’accertamento si perfeziona con l’apposizione del visto da parte del capo dipartimento della Banca d’Italia, adempimento avvenuto il 6 luglio 2016.
La sentenza ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 2 n. 29594 del 2023; Sez. 2, n. 4820, 19/02/2019, Rv. 652690), secondo cui, in tema di sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d ‘ Italia, il termine di decadenza previsto dall ‘ art. 14 della l. n. 689 del 1981 per la notifica della violazione decorre dall ‘ apposizione del visto del direttore centrale della vigilanza bancaria e finanziaria, suggellandosi con esso la conclusione della fase di accertamento di tutti gli elementi dell ‘i llecito, comprensiva, altresì, della valutazione e dell ‘ adeguata ponderazione dei dati acquisiti e degli atti preliminari.
Più in generale, in tema di sanzioni irrogate dalle autorità di vigilanza, la giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. n. 27242/2024, in materia di sanzioni Consob) ha chiarito che: il momento dell’accertamento , che presuppone un’attività istruttoria, non coincide con quello dell’acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell’autorità di vigilanza, ma è quello in cui l’autorità ha completato l’attività istruttoria finalizzata a verificare la sussistenza o meno dell’infrazione. In altre parole: ‘constatazione del fatto’ e ‘accertamento del fatto’ sono due concetti diversi; l’accertamento dell’illecito amministrativo in materia bancaria e di intermediazione finanziaria non si identifica nella fine dell’attività ispettiva o commissariale, ma si colloca in un momento successivo, da valutare a seconda delle particolarità del caso concreto; spetta all’autorità amministrativa, e non al giudice, decidere se avviare o meno un’attività di indagine; al giudice compete esclusivamente controllare se il provvedimento sanzionatorio sia stato adottato in un tempo ragionevole e, a tal fine, deve valutare la superfluità ex ante , e non la
congruità ex post , dell’indagine amministrativa prodromica all’adozione del provvedimento sanzionatorio .
Il secondo motivo censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., del Regolamento UE n. 468/2014 del 16/04/2014 art. 25, in combinato disposto con l ‘ art. 32 del Regolamento UE n. 1024/2013, nonché degli artt. 22 legge n. 241 del 1990 e 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell ‘UE, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., ed omessa motivazione, in relazione all ‘ art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.
La sentenza è viziata nella parte in cui ha respinto l’eccezione del ricorrente in punto di violazione del diritto di difesa per l’impossibilità di accesso agli atti consegnati alla Banca d’Italia dalla BCE e dalla stessa BPVi nel corso degli accertamenti da cui è scaturita la delibera sanzionatoria.
2.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha ritenuto priva di pregio questa doglianza in ragione della palese genericità dell’istanza di accesso agli atti proposta dalla parte privata. Ha poi aggiunto che la Banca d’Italia ha dato esito positivo alla richiesta mettendo a disposizione dell’interessato sia tutto quanto dal medesimo ritenuto rilevante ai fini della propria difesa, sia gli esiti degli accertamenti ispettivi degli anni 2009 e 2012. Quest’ ultima statuizione non è stata oggetto di specifica censura, né risulta che la parte sanzionata abbia proposto l’istanza di cui all’art. 210 c.p.c. al fine di ottenere dal giudice di merito l’ordine di esibizione della documentazione relativa al procedimento sanzionatorio.
Il terzo motivo censura la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e degli artt. 24, 27, 111 Cost.: la sentenza è viziata per avere confermato le sanzioni nonostante che il procedimento amministrativo da cui sono scaturite non assicuri un’ idonea
separazione tra funzioni istruttorie e decisorie, sottoposte alla medesima direzione; non consenta alcuna partecipazione dell ‘ incolpato alla fase decisoria e offra un sindacato giurisdizionale appellatorio, non pieno e che si estrinseca in un solo grado di merito.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La sentenza, nella parte in cui non ravvisa l’illegittimità del procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia , collima con il consolidato orientamento di legittimità (tra le altre, Cass. n. 10348/2024, in connessione con Cass. n. 16517/2020; in termini, Cass. n. 8581/2024), che il Collegio intende riproporre, per il quale il procedimento sanzionatorio davanti alla Banca d ‘ Italia non viola il diritto di difesa dell ‘ incolpato, atteso che, sebbene l ‘ art. 24, comma 1, legge n. 262 del 2005 disponga che ‘ i procedimenti sanzionatori sono svolti nel rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione, nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie ‘ , è tuttavia esclusa la diretta applicabilità, in tale ambito, dei precetti costituzionali degli artt. 24 e 111 Cost., invocabili solo con riferimento al processo che si svolge davanti al giudice, innanzi al quale l ‘ incolpato può impugnare il provvedimento sanzionatorio con piena garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio.
4. Il quarto motivo censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1.2 delle Disposizioni Banca d’Italia in materia di procedura sanzionatoria, dell’art. 25 Cost. e dell’art. 1 legge n. 689 del 1981 (principio di legalità, tipicità, determinatezza, tassatività dell’illecito amministrativo sanzionato): si lamenta la genericità dei fatti contestati, desumibile dalle carenze contenutistiche della lettera di contestazione, che non consente l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato.
4.1. Il motivo è manifestamente infondato.
In disparte la prospettabile inammissibilità della censura per difetto di autosufficienza, a causa dell’ omessa riproduzione, nel ricorso, della lettera di contestazione contenente i rilievi mossi all’opponente, rileva il Collegio che la sentenza impugnata afferma che gli addebiti sono riportati (appunto) nella lettera di contestazione, che indica i fatti contestati e le norme, primarie e secondarie, che si assumono violate.
Quanto alla legittimità della motivazione per relationem del provvedimento sanzionatorio ex art. 144 TUB, alla quale fa riferimento (come è stato detto) la sentenza impugnata per disattendere la censura di genericità e indeterminatezza della contestazione, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente stabilito che deve ritenersi legittima tecnica di redazione provvedimentale il rinvio operato dal direttorio alla motivazione contenuta nella proposta di irrogazione di sanzioni, il cui testo integrale è stato notificato al ricorrente congiuntamente al provvedimento sanzionatorio, e ha aggiunto che il direttorio, ove condivida i motivi illustrati dalla commissione, non è tenuto a ribadirli e a riportarli per esteso (Cass. n. 27127/2024, in connessione con Cass. nn. 4725/2016 e 4/2019).
Ad avviso del Collegio, infine, è evidente che il ricorrente ha compreso le contestazioni a suo carico e che ha potuto svolgere una difesa molto articolata, sia nel giudizio di merito, nel quale ha proposto un ricorso basato su sette motivi, sia in sede di legittimità, dove ha meticolosamente censurato (sulla base di quattordici motivi) le statuizioni della Corte di merito.
5. Il quinto motivo censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981 (principio di legalità, tipicità, determinatezza, tassatività dell’illecito amministrativo sanzionato) : si lamenta che la sentenza impugnata, da un lato, non ha colto che le
disposizioni richiamate nell’atto di contestazione sono prive di precetti chiari ; dall’altro, ha erroneamente ritenuto legittimo che la condotta doverosa, descritta in termini generici dalla previsione normativa, possa (anche) essere concretizzata e identificata (solamente) al momento della conclusione del procedimento sanzionatorio.
5.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La sentenza afferma che la descrizione delle specifiche violazioni è contenuta nella proposta sanzionatoria e, prima ancora, nella lettera di contestazione notificata all’opponente e soggiunge che le norme e i regolamenti violati risultano indicati con chiarezza.
È corretto, inoltre, il riferimento del giudice di merito alla giurisprudenza di legittimità che, precisa la sentenza, ha affrontato ex professo la questione. La Cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 5743 del 23/03/2004, Rv. 571417 – 01) ha avuto modo di affermare che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23 e 97 Cost., dell ‘ art. 144 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in relazione ai precedenti artt. 51 e 53, comma 1, per violazione dell ‘ obbligo di tipicità e determinatezza delle fattispecie soggette a sanzione amministrativa pecuniaria. Premesso, infatti, che, in tema di sanzioni amministrative, l ‘ art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non contiene – a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali, per i quali opera il principio di stretta legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. – una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio, avente base nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico cui si riferiscono, va rilevato che le norme sopra indicate non sono qualificabili come norme punitive ‘ in bianco ‘ , atteso che i poteri della Banca d ‘ Italia di emanare istruzioni e disposizioni in tema di vigilanza informativa (art.
51) e di vigilanza regolamentare (art. 53) non sono lasciati al mero arbitrio di detto organo di controllo, bensì sono esercitati in conformità a ben individuati principi e direttive (anche di livello europeo), a strumenti normativi primari e secondari e ad altri criteri oggettivi, dettagliati e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base, determinandone la parte precettiva mediante la specificazione del contenuto, già sufficientemente delineato nella legge (in termini, tra le altre, Cass. n. 27127/2024, cit., anch’essa in tema di sanzioni della Banca d’Italia).
6. Il sesto motivo censura la violazione e/o falsa applicazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 della legge n. 689 del 1981, e art. 27 Cost., nonché dell ‘ art. 2697 c.c., in relazione all ‘ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., ‘ assenza di motivazione ‘ , in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., ‘omesso esame di fatti che hanno formato oggetto di discussione tra le parti ‘ ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio di personalità dell’illecito amministrativo e del criterio di riparto dell’onere della prova tra P.A. e incolpato. E questo perché , sostiene il ricorrente, la Banca d’Italia non ha provato che, finché l’amministratore è rimasto in carica, non vi erano ‘segnali di allarme’ e non vi era nulla che richiedesse un’attivazione del c.d.a. finalizzata a modificare o integrare le procedure esistenti.
6.1. Il motivo, diviso in tre distinte censure, è nel complesso manifestamente infondato.
In primo luogo, ad avviso del Collegio -e questa considerazione va estesa ai motivi seguenti nei quali è dedotto il medesimo vizio -non sussiste l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c.): il ricorrente non individua, nel rispetto della previsione dell’art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c., alcun fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. La censura -riproposta in questo e nei motivi successivi – si sostanzia nella critica alla ricostruzione fattuale operata dalla CDA di Roma in relazione alle violazioni ascritte all’ ex consigliere d’amministrazione dalla delibera sanzionatoria, la cui valutazione esula dal sindacato della SRAGIONE_SOCIALE
In secondo luogo, non è fondata la doglianza di ‘ assenza di motivazione ‘ ( ripetuta nei motivi che seguono): la sentenza è chiara e analitica, espone adeguatamente le ragioni su cui poggia, e perciò soddisfa senz’altro il requisito del cd. ‘minimo costituzionale’, come definito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679).
Più precisamente, la CDA di Roma individua e analizza i ‘ segnali di allarme ‘ – emersi anche nelle riunioni del c.d.a. alle quali il ricorrente (dimessosi nel giugno del 2013) ha partecipato -in presenza dei quali i consiglieri di amministrazione, anche se privi di delega (ed è il caso del ricorrente), in adempimento del dovere di agire in modo informato sancito dall’ art. 2381 comma 6 c.c., erano obbligati a porre in essere misure concrete e adeguate, finalizzate a neutralizzare le criticità riscontrate e ad eliderne o (quanto meno) a contenerne gli effetti negativi.
In terzo luogo, è priva di fondamento anche la dedotta violazione del principio di personalità della sanzione.
La decisione della CDA di Roma si colloca nel solco della giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 21502/2024; in termini, Cass. nn. 29963/2024, 8581/2024, cit.), che ha compiuto un’approfondita disamina delle questioni di diritto in tema di sanzioni inflitte dalla Banca d’Italia ai componenti del c.d.a. di un ente creditizio per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni.
È stato osservato che «ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), del d.lgs. n. 385 del 1993 e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare n. 229 del 1999 (e successive modificazioni e integrazioni), sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’in tero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi», e si è chiarito che «in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848 del 2015; Cass. n. 19556 del 2020)». La Corte aggiunge che «l dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va, del resto, rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i
primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’al trui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima o all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che
abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno». La stessa giurisprudenza puntualizza che, in materia di sanzioni amministrative ex art. 144, TUB, nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari «il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, e così ricollega il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della ‘suità’ del comportamento inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza. Per quanto specificamente attiene ai consiglieri non esecutivi di società bancaria, l’art. 53, lett. b e lett. d, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, prevede che la Banca d’Italia emani disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, tra l’altro, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione. Le disposizioni attuative sono state quindi dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare 21 aprile 1999 n. 229, e le successive modificazioni ed integrazioni, le quali sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo all’intero consiglio di amministrazione di azienda bancaria (e quindi anche dei consiglieri non esecutivi), che si incentrano, per l’intero organo collegiale, proprio in quel compito di monitoraggio e valutazione della struttura operativa».
Il giudice di merito, con accertamento di fatto che sta fuori del perimetro del giudizio di cassazione, ha stabilito che la Banca d’Italia ha indicato i segnali di pericolo – quali, ad esempio, il ‘fenomeno massivo’ dei finanziamenti correlati all’acquisto di azioni proprie ( cd. finanziamenti baciati) adottati fin dal 2013 in collegamento con gli aumenti di capitale dell’istituto di credito – che avrebbero dovuto allertare i consiglieri privi di deleghe e indurli, in adempimento del dovere di agire in modo informato, ad attivarsi sollecitando e pretendendo approfondimenti sul tema. La Corte distrettuale spiega che la circostanza che il ricorrente si sia dimesso nella seconda metà del 2013 non può valere come scriminante, ma è stata valutata dall’autorità di vigilanza , la quale ha inflitto al manager una sanzione più lieve (euro 10.000 per ciascuna violazione) rispetto a quella applicata agli altri consiglieri. In relazione al profilo sanzionatorio, è utile rimarcare che l’art. 144 comma 1 TUB, nella versione vigente ratione temporis , prevedeva una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.580 a euro 129.110 per l’inosservanza, tra l’altro, dell’art. 53 del medesimo testo unico.
7. Il settimo motivo riguarda il processo di determinazione del valore delle azioni BPVi ( finding n. 2) e denuncia ‘assenza di motivazione’, l’omesso esame circa fatti decisivi e la violazione e/o falsa applicazione del reg. della Banca d’Italia 04/03/2008, della circolare n. 229/1999 e della circolare n. 263/2006, con riferimento al profilo oggettivo dell’illecito , e il vizio di motivazione , l’omesso esame circa fatti decisivi e la violazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 legge n. 689 del 1981, e art. 27 Cost.
La CDA di Roma ha affermato che il processo di valutazione delle azioni, interamente demandato a un consulente esterno (il prof. COGNOME), non era corretto, fondandosi su una motivazione apparente e senza
prendere in considerazione i numerosi elementi che dimostravano che il c.d.a. aveva bene operato e che, comunque, per quanto riguarda il ricorrente, non è configurabile l’elemento soggettivo della violazione, dato che le asserite criticità (rilevate dalla BCE) che si sarebbero tradotte nella presunta sovrastima del valore delle azioni attengono a valutazioni (delle azioni) successive al 31/12/2012.
8. L’ottavo motivo riguarda la concessione, da parte della BPVi, di finanziamenti finalizzati all’acquisto di azioni BPVi sul mercato primario e secondario ( findings nn. 3, 4, 5) e denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 legge n. 689 del 1981, dell’art. 25 Cost., del reg. 04/03/2008, della circolare n. 229/1999 e della circolare n. 263/2006, e l’assenza di motivazione circa il riscontro dei requisiti per l’addebito e circa il rigetto dei motivi di opposizione al provvedimento sanzionatorio.
Si ascrive alla CDA di Roma, sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione di legge, di non avere rilevato che l’autorità di vigilanza non ha dedotto né a maggior ragione provato che i finanziamenti baciati -in relazione ai quali le circolari della Banca d’Italia prevedono la regola contabile che vieta il computo delle azioni così liberate nel patrimonio di vigilanza -sono stati computati nel patrimonio di vigilanza.
9. Il nono motivo riguarda il riacquisto di azioni proprie ( findings nn. 6, 7, 8, 9) e denuncia la violazione e/o falsa applicazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 legge n. 689 del 1981, e art. 27 Cost., nonché la violazione dell’art. 2697 c.c. e l’assenza di motivazione circa il riscontro dei requisiti per l’addebito della violazione e circa il rigetto di opposizione al provvedimento sanzionatorio.
La sentenza impugnata, per un verso, ha stabilito che, nel periodo in cui il ricorrente era in carica, gli ordini di vendita erano in aumento
trascurando che ciò non implica che gli stessi ordini fossero gestiti in ritardo o in maniera non conforme alla legge; per altro verso, non ha rilevato che la sanzione è illegittima per assenza di colpevolezza.
10. Il decimo motivo riguarda l’adeguatezza delle procedure di controllo in relazione alla normativa MiFID ( finding n. 10) e denuncia la violazione e/o falsa applicazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 legge n. 689 del 1981, e art. 27 Cost., nonché dei ‘testi normativi BI’ e l’assenza di motivazione circa il riscontro dei requisiti per l’addebito della violazione e circa il rigetto di opposizione al provvedimento sanzionatorio.
Si stigmatizza la motivazione oscura e contraddittoria della sentenza nella parte in cui conferma il rilievo, attinente alla mancata applicazione delle linee adottate dal c.d.a. con delibera del 16/04/2013, in relazione agli aumenti di capitale del 2013, e si evidenzia che eventuali responsabilità andrebbero imputate al titolare della funzione compliance e che, comunque, difetta il profilo soggettivo della violazione in capo al ricorrente, il quale è cessato dalla carica quindici giorni dopo l’apertura del primo periodo di sottoscrizione, e non ha dunque avuto alcuna possibilità di rilevare le violazioni della procedura adottata.
11. L’undicesimo motivo riguarda i processi relativi all’attività di copertura dei rischi ( finding n. 20) e denuncia la violazione e/o falsa applicazione del reg. 04/03/2008, della circolare n. 229/1999 e della circolare n. 263/2006, e l’ assenza di motivazione circa il riscontro dei requisiti per l’addebito della violazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e altresì circa il rigetto dei motivi di opposizione al provvedimento sanzionatorio, nonché la violazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 legge n. 689 del 1981, e art. 27 Cost.
La sentenza sarebbe priva di motivazione perché inspiegabilmente ritiene che il finding n. 20 sia ‘sostanzialmente incontestato’ , senza considerare che, nel ricorso in opposizione, era stato dedotto che nessun rilievo era stato mosso dalla p.a. con riferimento alla situazione di fatto esistente quando il ricorrente era in carica (ossia, oltre due anni prima dell’ ispezione della BCE).
12. Il dodicesimo motivo riguarda le attività della funzione di compliance e di internal audit ( finding n. 23) e denuncia la violazione e/o falsa applicazione del reg. 04/03/2008, della circolare n. 229/1999 e della circolare n. 263/2006 , ‘assenza di motivazione’ circa il riscontro dei requisiti per l’addebito della violazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e altresì circa il rigetto dei motivi di opposizione al provvedimento sanzionatorio, nonché la violazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 legge n. 689 del 1981, e art. 27 Cost.
Si deduce che la sentenza sarebbe priva di motivazione sul punto poiché ‘ liquida ‘ i motivi di opposizione chiaramente e specificamente dedotti nel ricorso in opposizione ravvisandone la genericità.
13. Il tredicesimo motivo -‘Con riferimento alla contestazione n. 2): omessa pronuncia in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. assenza di motivazione circa il riscontro dei requisiti per l’addebito della violazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo ed altresì circa il rigetto dei motivi di opposizione al provvedimento sanzionatorio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. omesso esame di elementi essenziali che hanno formato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. -violazione e/o falsa applicazione del Regolamento BI 04/03/2008, Circolare 229 Circolare 263 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. -violazione del principio di personalità della sanzione amministrativa ex art. 3 l. 689/1981 e art. 27 Cost. in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3 c.p.c. ‘ -lamenta che la sentenza sarebbe priva di motivazione con riferimento alle censure sollevate dalla parte privata nel ricorso in opposizione con riferimento ai findings nn. 1, 2, 11, 13, 24, e che avrebbe omesso di pronunciare sulla sanzione irrogata dalla Banca d’Italia tenendo conto del finding n. 2 (in tema di ‘storni’) . Si addebita anche alla CDA di Roma di non avere considerato alcuni ‘elementi essenziali’ oggetto di discussione tra le parti riguardanti le riunioni del c.d.a. del 19/03/2013 e del 18/06/2013 (cioè, l ‘ultima riunione alla quale il ricorrente ha partecipato).
13.1. I motivi da sette a tredici possono essere esaminati congiuntamente perché pongono identiche questioni: con riferimento ai tre parametri normativi in cui sono suddivisi, riconducibili ai vizi di cui ai nn. 3 ( error in iudicando ), 4 (nullità della sentenza per carenza della struttura motivazionale) e 5 (omesso esame circa un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti), sono in parte inammissibili e in parte manifestamente infondati.
Più specificamente: sono inammissibili, per le ragioni indicate al punto 6.1., i rilievi critici ex art. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., e manifestamente infondati quelli sussumibili entro il parametro della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto.
La sentenza impugnata, tracciate correttamente le coordinate normative in tema di responsabilità degli amministratori privi di deleghe (vedi punto 6.1.), disegnata con stringente logicità la propria intelaiatura argomentativa, con accertamento di fatto ad essa riservato, esamina, ritenendoli complessivamente fondati, i rilievi su cui si basano le sanzioni, contenuti nei findings allegati al report della BCE da cui ha avuto origine il procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia nei confronti de lle persone fisiche dipendenti della BPVi.
Nel dettaglio, con riferimento ad alcuni degli addebiti contenuti nel provvedimento sanzionatorio, per la CDA di Roma (vedi le pagg.
13-18 della sentenza) il ricorrente è responsabile: (a) quanto al processo di determinazione del valore delle azioni, perché, quale amministratore, ha omesso di effettuare un vaglio critico dei risultati della stima peritale delle stesse, al fine di garantire il corretto modus operandi del consulente esterno incaricato di determinare il prezzo delle azioni, il che ha comportato la sovrastima del valore complessivo del patrimonio netto della BPVi, per oltre 400 milioni (euro 4,6 per azione) anche ad onta della valutazione più prudenziale fornita dalla società RAGIONE_SOCIALE; (b) quanto al fenomeno massivo dei finanziamenti baciati, per non avere accertato se analoghe operazioni fossero previste anche in relazione a ll’aumento di capitale (di 506 milioni di euro) previsto per il mese di giugno 2013 (ossia in un frangente temporale nel quale il ricorrente era ancora in carica); (c) quanto al riacquisto di azioni proprie, per non avere concorso all’adozione di una procedura che garantisse il rispetto della priorità cronologica degli ordini di vendita della clientela; (d) del mancato controllo circa la non conformità alla normativa MiFID dell’aumento di capitale deliberato nel 2013, non avendo adeguatamente valutato i rischi (soprattutto legali) a cui si esponeva la banca, a prescindere dal ruolo svolto dalla funzione di compliance , che comunque è funzione interna del cui operato il c.d.a. è pienamente responsabile.
14. Il quattordicesimo motivo denuncia la violazione dell’art. 3 Cost.: si pone l’accento sul la disparità di trattamento subita dal ricorrente rispetto ad altri amministratori, cessati dalla carica alcuni mesi prima delle dimissioni di COGNOME per i quali il procedimento sanzionatorio è stato archiviato.
Il motivo è inammissibile e manifestamente infondato.
Il rilievo non è correttamente proposto in quanto non reca la specifica indicazione della norma di legge della cui costituzionalità la parte dubita. Le Sezioni unite della Corte (Sentenza n. 25573 del
12/11/2020, Rv. 659459 -01; in termini, Cass. 15/06/2018, n. 15879; conf.: 17/02/2014, n. 3708/2014) insegnano che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata.
La Corte, sempre a sezioni unite (Sentenza n. 11167 del 06/04/2022, Rv. 664412 – 01), ha successivamente chiarito che la violazione o falsa applicazione delle norme costituzionali può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. quando tali norme siano di immediata applicazione (evenienza, quest’ultima, che non ricorre nella specie), non essendovi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale.
La censura sottesa al motivo pure nell’ipotesi, astratta, della sua sussunzione entro il vizio di violazione di legge, sarebbe priva di fondamento alla luce del principio di diritto, che va qui enunciato, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, il ricorrente è legittimato a contestare la sanzione che gli è stata inflitta, ma non anche a fare valere, neppure sotto il profilo della disparità di trattamento, l’illegittim ità dell ‘ omessa irrogazione della sanzione ad altri soggetti che hanno consumato i suoi stessi illeciti (con riferimento a fattispecie analoga a quella in esame, vedi Cass. nn. 27127/2024, cit., 16587/2016).
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
17 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000, a titolo di compenso, più euro 200, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 28 novembre 2024, nella camera di