Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4132 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4132 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6653/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec:
EMAIL;
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende:
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di TRANI n. 2673/2019 depositata il 11/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato in fatto che:
il Giudice di Pace di Bisceglie, con la sentenza n. 180/2017, accogliendo la domanda di NOME COGNOME, condannava l’RAGIONE_SOCIALE a corrisponderle la somma di euro 4.000,00, oltre al pagamento delle spese di lite e di CTU, a titolo di risarcimento del danno consistente nel furto della pelliccia appesa all’attaccapanni della hall dell’albergo;
il Tribunale di Trani, con la sentenza n. 2673/2019, resa pubblica in data 11/12/2019, ha rigettato l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE ed ha confermato la decisione di prime cure;
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta pronuncia, formulando cinque motivi;
resiste con controricorso NOME COGNOME;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.;
parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto che :
1) con il primo motivo l’hotel ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1783 cod.civ., in relazione agli artt. 1785, 1° comma, 1227, 1° comma, cod.civ. 115 e 116 cod.proc.civ., nonché dei principi generali in tema di onere della prova, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
l’errore del Tribunale sarebbe quello di non aver ritenuto sussistente la causa di esonero della responsabilità dell’albergatore, ai sensi dell’art. 1785, 1° comma cod.civ., o quantomeno il concorso di cui all’art. 1227, 1° comma, cod.civ., non avendo considerato che la pelliccia non era stata consegnata al servizio di custodia e che la proprietaria non aveva osservato le più elementari regole di prudenza e di ordinaria diligenza, secondo il noto principio dell’i mputet sibi (vi era un servizio di custodia dei beni di valore predisposto dall’albergo che la cliente non aveva utilizzato, la pelliccia era stata lasciata incustodita per un’ora,
appesa ad un attaccapanni molto distante dal banco della reception , collocato in un corridoio che portava alla toilette, in un giorno -il 3 gennaio 2013 -connotato da un via via particolarmente intenso di clienti);
il motivo è infondato;
il Tribunale ha correttamente attribuito rilievo al fatto che l’albergatore risponde non solo delle cose che gli sono affidate per essere custodite (art. 1784 cod.civ.), ma anche del deterioramento, della distruzione o della sottrazione delle cose ‘portate in albergo’ (art. 1783 cod.civ.);
per cose portate in albergo s’intendono le cose che rispondono all’uso normale e comune, immesse nei locali che l’albergatore lascia a disposizione dei clienti (la camera per l’uso esclusivo del cliente, i locali di uso comune, le pertinenze, come giardini, piscine, rimesse, tratti di spiaggia riservati ai clienti dell’albergo, ecc.), per il tempo nel quale il cliente usufruisce dell’alloggio, in forza del contratto (art. 1783, n. 1, cod.civ.); per le cose portate in albergo, e di cui il cliente mantiene il possesso, la responsabilità dell’albergatore è indipendente da qualsiasi consegna, essendo essa collegata al solo fatto dell’introduzione degli effetti personali del cliente nei locali dell’impresa, per il tempo in cui si dispone dell’alloggio;
proprio il rilievo che l’albergatore non può rifiutare di ricevere in custodia gli oggetti di valore (tranne i casi espressamente previsti dall’art. 1784 cod.civ.) dimostra che non vi è l’obbligo per il cliente di affidarli in custodia, mancando una specifica previsione normativa in tal senso; il cliente che non si avvale della possibilità di consegnare detti oggetti in custodia corre solo il rischio di non poter ottenere, in caso di sottrazione, l’integrale risarcimento del danno (art. 1783 cod.civ.), a meno che non provi la colpa dell’albergatore ai sensi dell’art. 1785bis cod.civ. (Cass. 05/12/2008, n. 28812); la responsabilità limitata costituisce,
dunque, il punto di equilibrio tra l’esigenza del cliente di non portare con sé le cose introdotte in albergo e l’esigenza di non gravare eccessivamente sull’albergatore con una responsabilità illimitata;
poiché nel caso in esame, con accertamento di fatto congruamente motivato e come tale non censurabile in sede di legittimità, i giudici del merito hanno riconosciuto la colpa dell’albergatore per il fatto di avere predisposto una rastrelliera in prossimità della sala da pranzo, collocata in una posizione che ne rendeva impossibile la sorveglianza al personale dell’albergo, non ricorre nella specie l’esonero di responsabilità dell’albergatore, previsto invece dall’art. 1785 cod.civ. nei casi in cui il deterioramento, la distruzione o la sottrazione siano dovuti al cliente, alle persone che l’accompagnano, che sono al suo servizio o che gli rendono visita, ovvero dipendano da forza maggiore o dalla natura della cosa (cfr. Cass. 22/02/1994, n. 1684);
con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. e degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
secondo l’hotel ricorrente, NOME COGNOME non aveva provato il valore della pelliccia né al momento dell’acquisto né al momento del furto, essendosi limitata a presentare la dichiarazione di un soggetto che dichiarava di averle venduto una pelliccia tre anni prima, per il prezzo di euro 5.500,00, e tre foto, non datate, che la ritraevano mentre indossava una pelliccia; ciononostante era stata ammessa CTU e l’ausiliario del giudice, pur avendo a disposizione solo le fotografie del bene sottratto e la dichiarazione del prezzo di acquisto, aveva ipotizzato il valore della pelliccia al momento del furto, muovendo dall’assunto che la dichiarazione di un sedicente venditore fungesse da certificato di garanzia e di autenticità;
l’accusa mossa al giudice a quo è, in sostanza, quella di aver colmato le lacune probatorie con una CTU evidentemente esplorativa;
con il terzo motivo, in via subordinata rispetto al motivo precedente, è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ.;
il Tribunale avrebbe ammesso la CTU, dando per sussistenti fatti indimostrati e, in particolare, che il dichiarante fosse il venditore della pelliccia, che la sua dichiarazione potesse valere quale certificazione di autenticità delle pelli, della loro lavorazione e quindi del valore di vendita, che le fotografie riproducessero proprio la pelliccia sottratta e le sue caratteristiche;
con il quarto motivo, in via subordinata, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 , cod.proc.civ. per non avere il Tribunale dichiarato nulla la CTU, nonostante la stessa avesse fatto affidamento sulla dichiarazione del sedicente venditore per determinare il valore della pelliccia;
con il quinto motivo, in via gradata rispetto al momento precedente, è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 cod.proc.civ. e 1226 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
il giudice a quo si sarebbe appiattito sulla CTU, senza esaminare la documentazione in atti, senza tener conto delle contrarie deduzioni delle parti (ad esempio circa il fatto che il valore della pelliccia, non essendo stata essa sottoposta ad interventi di pulizia per tre anni, avrebbe dovuto essere inferiore rispetto a quello indicato dal CTU);
i motivi dal secondo al quinto possono essere esaminati congiuntamente, perché riguardano da prospettive diverse la CTU, che non avrebbe dovuto essere ammessa, che avrebbe dovuto essere dichiarata nulla, che non avrebbe potuto costituire la base di riferimento per la quantificazione del danno;
può osservarsi che non serve sottolineare i noti limiti della CTU, quale strumento di mera valutazione e di ausilio tecnico; non è in discussione difatti che, in relazione alla finalità propria della CTU di ausilio del giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non possa essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume; rileva, invero, la circostanza che tale principio è dalla giurisprudenza affermato per dire che la CTU è legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni, o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati; simile considerazione non pertiene invece al caso in cui il giudice di merito confermi – come nella specie – l’esito della CTU puntualmente eseguita per attingere semplicemente i profili estimativi indotti dalla controversia (Cass. 05/03/2019, n.6383);
è appena il caso di aggiungere che, alla stregua di quanto accertato dal Tribunale, il CTU ha posto quale premessa della propria indagine non ipotesi, ma dati di fatto, e cioè una dichiarazione comprovante l’acquisto di una pelliccia avente certe caratteristiche, confermate dalle fotografie versate in atti, e che la formulazione di una stima, anche carattere virtuale, costituiva il proprium del giudizio tecnico demandatogli;
di qui l’inconferenza delle ulteriori censure mosse alla CTU che non riguardano il fatto che l’ausiliario del giudice non abbia tenuto conto delle deduzioni critiche formulate nei confronti del suo elaborato, ma il tenore, quindi, il contenuto delle risposte del CTU che il Tribunale ha evidentemente giudicato logiche, sicché il quid proprium delle critiche mosse alla sentenza impugnata non è quello denunciato nell’epigrafe del motivo, ma l’esito della valutazione della CTU da parte del Tribunale; sotto tale profilo i rilievi formulati sono inammissibili, anche in considerazione del fatto che il giudice
del merito, quando aderisce alle conclusioni del CTU che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione; non è necessario che si soffermi sulle contrarie allegazioni difensive che restano implicitamente disattese, perché incompatibili con la statuizione raggiunta (Cass. 22/02/2006, n. 3881 e successiva giurisprudenza conforme);
per le ragioni dianzi esposte, il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’hotel ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile