Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24022 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24022 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10946-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 107/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/02/2022 R.G.N. 432/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
CONSIDERATO CHE
Oggetto
R.G.N. 10946/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 11/07/2025
CC
Con sentenza n. 107 del 15.2.2022, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame di NOME COGNOME avverso la sentenza del tribunale di Ravenna che aveva rigettato il ricorso proposto da quest’ultimo cittadino senegalese lavoratore subordinato in Italia dal 1.1.96 e diventato cittadino italiano in data 4.10.2014 (cfr. p. 2 della sentenza impugnata) – volto a chiedere il riconoscimento del diritto a percepire l’assegno per il nucleo familiare (A.N.F.) per il periodo 4.11.2013-30.9.2014, per l’importo di € 3.069,64, alle medesime condizioni alle quali detto assegno viene riconosciuto ai cittadini italiani, stante l’applicabilità della disciplina dettata dalla direttiva comunitaria self-executing 2003/109/CE, in materia di assistenza.
Il tribunale ha respinto il ricorso perché vi era carenza di allegazione circa il possesso del requisito reddituale riferito non solo a sé ma anche al nucleo familiare, trattandosi di elemento costitutivo del diritto di credito azionato, la cui presenza doveva essere verificata dal giudice al fine di pronunciarsi sulla fondatezza della domanda.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado -disattendendo le contrapposte istanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE della questione dell’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 153/88 e di sospensione del giudizio in pendenza dello scrutinio richiesto alla Corte costituzionale, da parte della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9379/2021 -confermando la carenza di ogni deduzione, allegazione e prova da parte del ricorrente/appellante del requisito reddituale, che cos tituiva l’an, oltre che il quantum del beneficio.
Avverso tale sentenza, NOME COGNOME ha proposto ricorso in cassazione sulla base di un motivo, mentre l’Inps ha resistito con controricorso.
Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
RILEVATO CHE
Con il motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 della legge n. 153/88 e dell’art. 12 delle preleggi, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché la Corte del merito aveva erroneamente interpretato la normativa italiana in merito ai requisiti richiesti dal legislatore per poter accedere all’ANF e per violazione dei principi di diritto enunciati nella dir. n. 2003/109/CE e interpretati nella sentenza della CGUE del 25.11.20, nella causa C-303/2019/CE, per avere richiesto al ricorrente, soggiornante di lungo periodo, la produzione di una autocertificazione dei redditi prodotti dal nucleo familiare, non prevista dalla norma in materia di ANF, di cui alla legge n. 153 cit., non ritenendo sufficiente la produzione della dichiarazione dei redditi (730), ritenendola una mera dichiarazione di scienza; inoltre, secondo il ricorrente, il requisito reddituale è solo una condizione per l’erogazione dell’assegno e non un requisito costitutivo del diritto a fruirne.
Il motivo di ricorso è, in via preliminare, inammissibile; infatti, pone la questione della mancata attribuzione della corretta efficacia probatoria della documentazione reddituale relativa agli anni in contestazione, come prova del reddito percepito per o ttenere gli ANF per i figli residenti all’estero, in presenza di una doppia decisione ‘conforme’ delle sentenze emesse nei gradi di merito, con preclusione della possibilità di dedurre il vizio riguardante il relativo accertamento di fatto. Inoltre, la censura, incentrata su presunte violazioni di legge, in effetti non si confronta con l’effettiva questione posta a base della decisione della Corte d’appello , attinente alla mancata dimostrazione del
reddito percepito dal ricorrente, per fruire della provvidenza richiesta. Infine, sempre in tema d’inammissibilità del motivo, il ricorrente non riporta la dichiarazione reddituale nella parte d’interesse per mettere in condizione , questa Corte, di valutare la fondatezza della censura.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘L’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare previsto dall’art. 2 del d.l. n. 69 del 1988, conv. in l. n. 153 del 1988, presuppone la duplice condizione – la cui ricorrenza deve essere provata dall’interessato – dell’effettivo svolgimento di attività lavorativa, nonché della sussistenza del requisito reddituale di cui al comma 10 dello stesso art. 2, per cui l’assegno non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente è inferiore al settanta per cento del reddito complessivo del nucleo familiare’ (Cass. n. 16710/22, 6953/23, 8973/14) .
Nella specie, la Corte d’appello ha accertato non esservi prova del reddito del nucleo familiare, in particolare, di quella parte del nucleo residente, all’epoca della domanda, nel paese di provenienza del ricorrente, mentre l’istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE, sulla questione d’interpretazione dell’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 153/88, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, è inammissibile, perché non dirimente ai fini della decisione della causa, essendo invece dirimente la questione dell ‘ assoluta carenza di deduzione, allegazione e prova del requisito reddituale, ‘che è consustanziale alla concessione del beneficio’.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese di lite, secondo quanto meglio indicato in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in € 2.000,00 per compensi, €2 00,00 per esborsi, oltre il 15% per rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis cit.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11.7.2025