Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2486 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2486 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 402-2023 proposto da:
NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente -ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 582/2022 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 18/07/2022 R.G.N. 278/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
Licenziamento
e requisito dimensionale
R.G.N. 402/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, con la qualifica di operatore di servizio e mansioni di autista, in data 30 ottobre 2018, venne licenziato in tronco per ‘aver effettuato con la carta carburante aziendale più rifornimenti alla st essa ora del medesimo giorno’ nonché per ‘aver annullato immotivatamente il biglietto NUMERO_DOCUMENTO‘;
il Tribunale adito, rilevata ‘l’inapplicabilità al caso in esame della tutela reale invocata nella domanda principale del ricorso, atteso che parte resistente aveva fornito la prova della mancanza del requisito dimensionale’, escluso l’illecito disciplinare di cui alla seconda contestazione, ha ritenuto provati i fatti posti a fondamento della prima contestazione, anche se non di gravità tale da giustificare il licenziamento, dichiarando l’illegittimità del recesso e condannando la società, in tutela obbligatoria, al pagamento di una indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
la Corte di Appello di Messina, con la sentenza impugnata, ha riformato la pronuncia di primo grado limitatamente al numero delle mensilità da corrispondere al COGNOME, quale misura alternativa alla riassunzione, elevandolo a sei mensilità;
la Corte, in sintesi, ha disatteso il primo motivo di reclamo del lavoratore volto ad ottenere una più ampia tutela, argomentando: ‘L’eccezione di raggiungimento del requisito dimensionale si fonda su un assunto – irregolare ricorso alla somministrazione in violazione dei limiti quantitativi fissati dalla contrattazione collettiva -che, non essendo stato tempestivamente articolato in primo grado, né in seno all’atto introduttivo del giudizio né alla prima difesa utile successiva alla
costituzione della società resistente, risulta ormai precluso e, come tale, sottratto alla cognizione giudiziale.’;
rispetto all’unico addebito, ritenuto provato pure in prime cure, la Corte ha escluso la configurabilità di una giusta causa di recesso per difetto di proporzionalità della massima sanzione espulsiva, rilevando che ‘la società non ha dato prova di aver impartito disposizioni aziendali specifiche sul divieto di rifornimenti con modalità ed ha comunque dimostrato di non attribuire particolare disvalore a tale prassi in quanto per le medesime contestazioni mosse ad altri due dipendenti (NOME COGNOME ed NOME COGNOME) ha comminato ben più blande sanzioni (e segnatamente tre ore di multa per il COGNOME ed il richiamo scritto per il COGNOME) come dalla stessa ammesso nella propria comparsa di costituzione in appello’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso, in via principale, il lavoratore con un motivo; ha resistito con controricorso la società, articolando ricorso incidentale affidato ad un motivo;
la controricorrente ha anche depositato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
col motivo di ricorso principale, il COGNOME denuncia: ‘Violazione degli artt. 101, 81, 414 e 434 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 130, 421 e 168 c.p.c. in relazione all’art. 360 nn. 4 e 5 cpc. Mancato esame di un fatto di causa decisivo’; si lamenta che la Corte territoriale, nel considerare preclusa la questione dei lavoratori somministrati ai fini del computo del
requisito dimensionale, non avrebbe esaminato il ‘verbale della prima udienza del Giudizio di Primo Grado contenente precisa eccezione sul computo dei somministrati ai fini dell’applicabilità della tutela reale’; in tale verbale si era eccepito che ‘… in ordine al requisito dimensionale si precisa che i somministrati devono essere conteggiati (Cass. Civ. sent. n. 26654/2013) …’; 2. con il motivo di ricorso incidentale si denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., dell’art. 66, comma 4, RAGIONE_SOCIALE, dell’art. 111 Cost. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’; si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che il fatto contestato non fosse di gravità tale da giustificare il licenziamento;
per ragioni di priorità logico-giuridica deve essere esaminato il ricorso della società che sostiene la legittimità del licenziamento intimato;
le censure sono inammissibili, in quanto sostanzialmente volte a censurare, nelle forme dell’ error in iudicando , la valutazione di non proporzionalità della sanzione espulsiva inflitta;
va ribadito il principio, che ha risalenti precedenti, secondo cui: ‘In materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che
l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia’ ( in termini, Cass. n. 107 del 2024; in precedenza v., ex pluribus , Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003);
il motivo di ricorso principale è fondato nei sensi di seguito specificati;
per insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare l’inesistenza del requisito dimensionale previsto per l’applicazione della tutela reale (Cass. SSUU n. 141 del 2006), criterio di riparto dell’onere proba torio da ritenere applicabile anche nel caso dell’art. 18 St. lav. novellato (cfr., per implicito, Cass. n. 12094 del 2016, che, avuto riguardo al rito cd. ‘Fornero’, ha escluso che la dimensione dell’impresa rappresenti un elemento costitutivo della domanda del lavoratore);
l’inapplicabilità della tutela reale costituisce, inoltre, una eccezione in senso lato del datore di lavoro, su cui è possibile anche esercitare poteri officiosi ed ammettere prove indispensabili per decidere la causa (tra le altre v. Cass. n. 11940 del 2019; in precedenza v. Cass. n. 26289 del 2013 e Cass. n. 12907 del 2017);
pertanto, quella esercitata dal lavoratore sin dal primo grado a verbale rappresentava una mera difesa rispetto all’eccezione sollevata da parte datoriale, su cui si era instaurato il contraddittorio, rispetto alla quale non sussisteva alcuna preclusione cognitiva del giudice, neanche in appello a fronte di uno specifico motivo di gravame;
inoltre, la difesa formulata a verbale attraverso il riferimento ad uno specifico precedente di questa Corte (Cass. n. 26654 del 2013) rendeva altresì chiaro che, ai fini dell’applicabilità della
tutela maggiore, non era affatto necessario che il lavoratore azionasse una domanda circa l’invalidità della somministrazione degli altri lavoratori, né, tanto meno, che ciò fosse stato accertato in altro giudizio;
esclusa una preclusione in rito, la questione della irregolarità della somministrazione in violazione dei limiti quantitativi fissati dalla contrattazione collettiva atteneva al merito e avrebbe dovuto essere esaminata;
pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, va accolto quello principale, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, esaminando la questione dell’eventuale supera mento della soglia dimensionale e liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 dicembre 2024.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME