Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8006 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8006 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
Oggetto
Responsabilità professionale – Avvocato
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7602/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL);
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
avverso la sentenza della Corte d’appello di depositata in data 21 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ dal Consigliere NOME COGNOME.
-controricorrente -Palermo n. 100/2022 11 marzo 2024
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 100/2022, depositata in data 21 gennaio 2022 , la Corte d’appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda risarcitoria da responsabilità professionale proposta da NOME COGNOME contro l’AVV_NOTAIO, per l’effetto condannando quest’ultima al pagamento in favore dell’attore/appellante della somma di Euro 39.665,33 (comprensiva di rivalutazione e interessi secondo i criteri indicati da Cass. Sez. U. n. 1712 del 1995), oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. Ha invece rigettato la domanda di manleva iterata dall’appellata, ex art. 346 c.p.c., nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza l’AVV_NOTAIO propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui resistono entrambi gli intimati (NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE) depositando distinti controricorsi.
Essendo sopravvenuto il decesso del difensore del controricorrente NOME COGNOME, nell’interesse dello stesso ha depositato in data 20 novembre 2023 comparsa di costituzione quale nuovo difensore l’AVV_NOTAIO.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia « violazione di legge ex articolo 360, comma 1, numeri 3 e 5 c.p.c.: vizio radicale di motivazione; omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione; errata individuazione e/o qualificazione come contratto preliminare di cessione di azienda della scrittura privata del 18 marzo 2006 ».
L’illustrazione del motivo è affidata, essenzialmente, ai seguenti argomenti:
─ la Corte territoriale ha errato nel ricondurre la scrittura del 18 marzo 2006, fatta valere da RAGIONE_SOCIALE in monitorio, ad un contratto preliminare, contenendo essa, invece, ogni presupposto proprio del contratto definitivo di cessione d’azienda;
─ la Corte non avrebbe dovuto ritenere, alla stregua di criteri probabilistici, che ove, per ipotesi, l’opposizione a decreto ingiuntivo all’epoca confezionata dalla ricorrente (nell’interesse del COGNOME) fosse stata dichiarata improcedibile, le possibilità di accoglimento dell’azione sarebbero state assai scarse;
─ distorta e fant a siosa è l’affermazione, contenuta in sentenza, « in tema di ‘ collegamento negoziale tale da ravvisare nel contratto definitivo del 05 maggio 2006 e l’attuazione del programma negoziale sottoscritto il 18 marzo 2006 ‘ e/o ‘ attuazione del programma negoziale ‘ in relazione a quella che sarebbe poi stata secondo i Giudici d’appello -la volontà del COGNOME e le ragioni dello stesso nel rifiutare di corrispondere alla controparte il residuo importo di € 48.000,00 »;
─ « i Giudici di Appello hanno violato il principio secondo cui parte attrice avrebbe dovuto fornire la ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto per l’appunto secondo il precetto
del “più probabile che non” ».
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia « violazione di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità ed al criterio di valutazione del danno risarcibile (articolo 360 c.p.c., comma 1, numeri 3 e 5) ».
Questi gli argomenti proposti:
─ « appare assolutamente insussistente il nesso di causalità fra la condotta dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO e l’esito che avrebbe avuto il giudizio ove lo stesso non fosse stato dichiarato improcedibile per la mancata tempestiva iscrizione a ruolo della causa »;
─ « la sentenza impugnata non dà eloquentemente conto o, comunque, esprime in proposito una tesi abnorme, con riguardo alle circostanze che avrebbero portato il COGNOME ad un esito favorevole del giudizio ove lo stesso non fosse stato dichiarato inammissibile »;
─ « non dà neppure conto dell’esistenza di un concreto danno consistito in una effettiva diminuzione patrimoniale che sia derivata, quale conseguenza immediata e diretta, dall’inadempimento del professionista/debitore, danno che può configurarsi ed essere giuridicamente rilevante solo in quanto sussista una apprezzabile probabilità del successo finale »;
─ « ha anche violato il principio relativo all’esatta identificazione del danno concreto ed attuale che avrebbe patito il COGNOME, a cosa esso fosse effettivamente riconducibile, se o meno a perdita di chance»;
─ « nessuna affermazione è stata data dalla Corte di Appello neppure in relazione alla circostanza secondo cui l’impegno eventualmente assunto dai contraenti ad una futura riproduzione dell’accordo in forma diversa da quella già utilizzata avrebbe ostato alla qualificazione del negozio nei termini di vero e proprio preliminare ».
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia « violazione di legge per la mancata osservanza delle norme che disciplinano il riparto dell’onere probatorio ai sensi dell’articolo 2697 del codice civile: nesso di causalità -criterio di valutazione del danno risarcibile; natura sostanziale della regola dell’onere della prova errores in iudicando (articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c.) ».
Afferma che « non avendo il COGNOME offerto prova alcuna del nesso di causalità, indi del danno effettivamente subito, i Giudici di secondo grado avrebbero dovuto dichiarare l’inesistenza del diritto al preteso risarcimento del danno che non può basarsi solamente sulla dimostrazione della condotta colpevole dell’AVV_NOTAIO ».
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia « nullità della sentenza impugnata; nesso di causalità -criterio di valutazione del danno risarcibile; erronea ripartizione degli oneri dimostrativi; natura processuale della regola dell’onere della prova -errores in procedendo (articolo 360, comma 1, numero 4, c.p.c.) ».
Deduce che:
─ « la sentenza impugnata è nulla per difetto di motivazione, dato che non svolge compiutamente i medesimi passaggi logicoargomentativi sviluppati dal Tribunale, ed indica solo larvatamente e per nulla integralmente gli elementi di prova valorizzati dal primo Giudice, non provvedendo, poi, ad una loro compiuta analisi »;
─ la Corte di merito « ha omesso di dar conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, essendo, così, viziata per apparenza la motivazione de qua, in quanto meramente assertiva »;
─ « la sentenza impugnata è inficiata da nullità stante il mancato rispetto della ripartizione dell’onere della prova del preteso danno, nella specie incombente sul COGNOME ».
Con il quinto motivo la ricorrente, infine, denuncia « violazione
di legge ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui è stato escluso l’obbligo di manleva della RAGIONE_SOCIALE (articolo 360 c.p.c., comma 1, numeri 3 e 5) ».
Queste le affermazioni che ne costituiscono il supporto argomentativo:
─ « la Corte di Appello, in relazione al giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla pretesa reticenza del contraente AVV_NOTAIO COGNOME, non ha offerto una motivazione logica, coerente e completa »;
─ « in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore »;
─ «l a Corte territoriale ha omesso di valutare tutti i presupposti de quibus »;
─ « i Giudici di secondo grado non hanno minimamente considerato l’eventualità, per nulla remota, che l’AVV_NOTAIO, in sede di stipula del contratto di RAGIONE_SOCIALE, sia incorsa in semplice colpa, non ricordando il fatto specifico della mancata tempestiva iscrizione a ruolo della causa nell’interesse del COGNOME o, comunque, non ritenendo detta circostanza idonea ad integrare responsabilità professionale a suo carico »;
─ « non hanno neppure rilevato in sentenza che la (pretesa) reticenza della ricorrente sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore il quale, peraltro, a seguito di tale accadimento, indi instaurato il giudizio da parte del COGNOME nei confronti della COGNOME, non ha mai risolto il contratto di RAGIONE_SOCIALE a suo tempo stipulato con la professionista »;
─ la Corte d’appello ha inoltre omesso di considerare che
l’AVV_NOTAIO ha ricevuto per la prima volta la diffida da parte del COGNOME in epoca successiva alla stipula del contratto con RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso -oltre ad essere affidato a motivi che già in sé si appalesano avulsi da alcun confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata o comunque implicanti mere valutazioni di merito secondo paradigmi censori non consentiti -si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità perché gravemente carente del requisito di contenutoforma prescritto dall’art. 366, comma primo, num. 3, cod. proc. civ..
6.1. La premessa espositiva relativa allo « Svolgimento del processo di primo grado » (pagg. 2-7 del ricorso), allo « Svolgimento del processo in grado d’appello » (pagg. 7-13) ed alla « sentenza impugnata » (pagg. 13-15), si risolve nella mera testuale trascrizione:
delle conclusioni dell’atto introduttivo (pag. 2);
delle conclusioni rassegnate dalla convenuta nella comparsa di costituzione (pagg. 3-4);
delle conclusioni della RAGIONE_SOCIALE chiamata in garanzia (pagg. 4 -6);
del dispositivo della sentenza di primo grado (pag. 7);
delle conclusioni dell’appellante (pagg. 7 -9);
delle conclusioni dell’appellata (pagg. 9 -10);
delle conclusioni di RAGIONE_SOCIALE (pagg. 10-13);
delle statuizioni di cui al dispositivo della sentenza d’appello (pag. 14).
Assolutamente nulla, invece, è detto circa:
─ le ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della domanda risarcitoria proposta, nei confronti dell’odiern a ricorrente;
─ le difese e/o eccezioni ad essa contrapposte nel giudizio di primo grado;
─ le ragioni poste a fondamento della decisione di primo grado;
─ i motivi che erano stati proposti a fondamento dell’appello;
─ le difese in appello svolte dalle controparti;
─ le motivazioni della sentenza d’appello .
A nche l’illustrazione dei singoli motivi nulla dice della vicenda sostanziale e del modo del dipanarsi della vicenda processuale nei due gradi del giudizio di merito, per comprendere i quali dunque non resterebbe alla Corte che la lettura degli atti del processo; la conoscenza della vicenda processuale nel suo complesso e delle motivazioni della sentenza impugnata viene sempre data per presupposta.
6.2. Il ricorso si appalesa, dunque, inammissibile per inosservanza della detta norma processuale, dato che la sua struttura, nella parte preposta all’assolvimento del requisito ivi previsto, impedisce qualsivoglia sommaria percezione del fatto sostanziale e processuale, ma pretende che la Corte debba leggere la congerie di atti riprodotti per ricostruirla.
La prescrizione normativa risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U 20/02/2003, n. 2602).
La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata -in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 -con legge 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955).
Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che il requisito
di contenuto-forma in questione è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte e segnatamente all’esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti» (Cass. Sez. U. 10/09/2019, n. 22575; Id. 16/05/2013, n. 11826).
Mette conto, altresì, ancora una volta rammentare che la Corte europea, con la sua sentenza 15 settembre 2016, in causa Trevisanato c/ RAGIONE_SOCIALE (i cui principi sono stati ribaditi nella recente sentenza, depositata il 31 marzo 2021, nel caso COGNOME c. Russia), ha riaffermato -perfino riconoscendo l’astratta ammissibilità del pure abrogato sistema del c.d. «filtro a quesiti» per l’accesso in cassazione -il basilare principio della piena legittimità di un sistema anche rigoroso di requisiti formali per l’accesso al giudizio di legittimità e per la redazione dei ricorsi introduttivi: il quale non solo non viola l’art. 6 CEDU, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benché non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; solo dovendo la compresente esigenza di tutela del diritto del singolo trovare un contemperamento, così che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati (così, in motivazione, Cass. n. 26936 del 2016).
A tale contesto ermeneutico di riferimento non apporta significative novità la pronuncia della Corte Edu 28/10/2021, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE: questa richiama anzi espressamente, confermandone i principi, tra le altre, la propria sentenza 15/09/2016, Trevisanato c. RAGIONE_SOCIALE.
Essa ha bensì riscontrato la violazione dell’art. 6 § 1 della
Convenzione con riferimento ad uno dei tre casi al suo esame (nel quale venivano in rilievo i diversi requisiti di ammissibilità di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 366 cod. proc. civ.), ma ciò ha fatto considerando, all’esito di un esame in punto di fatto degli atti ivi considerati, non certo che quei requisiti rispondessero di per sé e in astratto a inammissibile formalismo fine a sé stesso ma che nel caso allora in esame, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione, fossero stati in realtà rispettati.
Quel che dunque è stata in quella sede censurata è la concreta applicazione delle formalità previste dall’ordinamento nazionale, che occorre osservare all’atto della proposizione del ricorso, in quanto nel caso esaminato ritenuta (l’applicazione, non le formalità) in contrasto con il diritto di accesso ad un tribunale perché di fatto ispirata ad eccessivo formalismo e tale, dunque, da impedire il pur possibile esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato.
In tale prospettiva, la Corte EDU con la medesima pronuncia ha invece escluso la violazione della detta norma convenzionale in un altro caso contestualmente esaminato in cui veniva in considerazione proprio il requisito dell’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. (ritenuto in quel caso non rispettato dalla RAGIONE_SOCIALE. per l’utilizzo della tecnica redazionale del c.d. assemblaggio), osservando in particolare che:
-l’interpretazione data all’esposizione sommaria dei fatti è compatibile con l’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso che esige che la Corte di cassazione, ad una lettura globale del ricorso, sia in grado di comprendere l’oggetto della controversia nonché il contenuto delle censure che dovrebbero giustificare l’annullamento della decisione impugnata e sia in grado di pronunciarsi;
-la giurisprudenza della Corte di cassazione prevede procedure chiare e definite (si vedano i paragrafi 17 e 30) per la redazione dell’esposizione dei fatti rilevanti;
-la procedura davanti alla Corte di cassazione prevede l’assistenza obbligatoria di un AVV_NOTAIO che deve essere iscritto in un albo speciale, sulla base di determinate qualifiche, per garantire la qualità del ricorso e il rispetto di tutte le condizioni formali e sostanziali richieste; l’AVV_NOTAIO del ricorrente era quindi in grado di sapere quali fossero i suoi obblighi al riguardo, sulla base del testo dell’art. 366 e con l’aiuto dell’interpretazione della Corte di cassazione, definita «sufficientemente chiara e coerente».
6.3. Occorre, quindi, ribadire la piena legittimità del requisito in parola e che per soddisfarlo è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma anzi chiaro e sintetico, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata (v. Cass. Sez. U. n. 2602 del 2003; ed ancora da ultimo, ex multis, Cass. 08/08/2023, n. 24149; 03/11/2021, n. 31318; 19/10/2021, n. 28929).
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, nella qualità, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello
stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida, per ciascuno, in Euro 4.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza