Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20496 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20496 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18633/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e NOME, in persona del socio superstite e rappresentante dell’impresa NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente e ricorrente incidentale-
contro
COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE
-intimati-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 821/2020 depositata il 20 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 08/07/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità ed, in subordine, per il rigetto del ricorso .
Uditi gli avvocati NOME COGNOME per COGNOME + 2, NOME COGNOME per COGNOME e NOME COGNOME per COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, la RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. La società attrice, premesso di essere proprietaria di un appartamento per civile abitazione al piano
primo e di un magazzino ad uso commerciale sottostante al piano terreno posti in INDIRIZZO, fraz. Sagginale, INDIRIZZO/7/9, lamentava che la società convenuta, previa demolizione di un precedente edificio privo di vedute (ex cinema di Sagginale), avesse realizzato un nuovo e diverso fabbricato provvisto di vedute, composto da cinque appartamenti destinati a civile abitazione, acquistati dagli altri convenuti, con la facciata d’ingresso a distanza inferiore a quella regolamentare (ossia metri 10 da pareti finestrate e metri 5 dal confine) ed anche inferiore a quella minima di 3 m prevista dal codice civile rispetto all’immobile di proprietà attrice.
La RAGIONE_SOCIALE sosteneva trattarsi di “nuova costruzione”, come comprovato dalla diversa sagoma, altezza, disposizione volumetrica, superficie interna di calpestio nonché dalla differente destinazione d’uso rispetto alla preesistente costruzione . Aggiungeva che le fosse biologiche del fabbricato erano state collocate a distanza inferiore rispetto a quella legale e che i lavori svolti ex adverso avevano abusivamente ridotto l’ampiezza di una finestra avente la funzione di dare luce ed aria alla cantina del ristorante. Domandava, conseguentemente, la condanna dei convenuti, in solido, ad arretrare il muro perimetrale del nuovo fabbricato fino alla distanza di 10 m, o in subordine fino alla distanza di 5 m, o in ulteriore subordine fino alla distanza di 3 m, nonché la condanna all’eliminazione delle vedute e delle aperture realizzate nei loro rispettivi appartamenti, oltre alla rimozione delle fosse biologiche in quanto a distanza non legale ed al risarcimento dei danni.
La RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio contestando di aver realizzato un nuovo edificio, avendo di contro semplicemente operato una ristrutturazione edilizia con mutamento di destinazione d’uso. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda atto rea e svolgeva domanda riconvenzionale volta all’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione ventennale del diritto a mantenere l e fosse biologiche a distanza inferiore rispetto a quella legale.
Si costituivano in giudizio anche gli altri convenuti, facendo proprie le difese della RAGIONE_SOCIALE e chiedendo di essere manlevati da quest’ultima nel caso fosse stata accolta la domanda della società attrice. Richiedevano, inoltre, in via riconvenzionale che fosse accertata e dichiarata l’intervenuta usucapione del
diritto (di servitù) maturato in ordine al posizionamento dell’immobile con i relativi impianti, ed alla apertura di luci e vedute rispetto al fabbricato ed al fondo finitimi.
I n esito all’istruttoria, i l giudice adito, con sentenza non definitiva, respingeva la domanda attorea inerente il mancato rispetto delle distanze legali del fabbricato realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE, accertando il diritto dei convenuti a mantenere il manufatt o secondo l’attuale conformazione; condannava tuttavia la RAGIONE_SOCIALE alla riduzione in pristino della finestra lucifera a servizio della proprietà attrice. Con successiva sentenza definitiva, il Tribunale respingeva le ulteriori domande attrici e dichiarava il diritto dei convenuti a mantenere le fosse biologiche a servizio delle abitazioni dei medesimi.
La conseguente impugnazione della s.n.cRAGIONE_SOCIALE veniva definita in data 21 gennaio 2020 dalla Corte di Appello di Firenze con il rigetto del gravame principale e l’accoglimento di quello incidentale inerente le spese del primo grado.
I giudici distrettuali, per quel che qui ancora rileva, ritenevano ammissibile il primo motivo di appello della BA.RI.AL, riguardante la questione del mancato rispetto delle leggi antisismiche a motivazione della richiesta di arretramento del fabbricato ‘in quanto la disciplina delle distanze è posta a tutela del diritto di proprietà, che è un diritto autodeterminato, con la conseguenza che il giudice ben potrebbe accertare l’esistenza di tale diritto anche in base ad una causa petendi diversa rispetto a quella prospettata da parte attrice in giudizio senza per questo violare l’art. 112 cpc’ , ma lo reputavano infondato ‘perché presuppone che la normativa antisismica debba avere un rilievo diverso, quanto alla disciplina delle distanze tra edifici, rispetto alla normativa ordinaria stabilita dal codice civile o dai regolamenti edilizi degli enti locali (cfr. art. 873 cc) o dalla normativa in materia urbanistica/edilizia (in particolare il DM 1444/68)’ .
Inoltre, la problematica inerente alla violazione della normativa antisismica doveva considerarsi irrilevante poiché, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, l’eventuale illegalità originaria della preesistente costruzione doveva comunque reput arsi sanata dall’usucapione del diritto del proprietario
dell’ex cinema (NOME COGNOME) a mantenerlo a distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge.
La Corte d’appello riteneva infondati anche il secondo, terzo e quarto motivo del gravame, alla luce degli esiti della nuova CTU esperita nel corso del giudizio di secondo grado; il consulente tecnico, infatti, aveva accertato l’insussistenza di variazioni incidenti sulla configurazione planivolumetrica del fabbricato e ritenuto che l’intervento realizzato dalla COGNOME non rientra sse tra quelli di ‘nuova costruzione’, trattandosi, invece, di demolizione e ricostruzione a parità di volumetrie. Pertanto, dovevano considerarsi irrilevanti le eccezioni e deduzioni svolte sul punto dalla BA.RI.AL relative alla diversa volumetria, all’aumento della superficie calpestabile interna nonché al mutamento di destinazione d’uso.
La Corte fiorentina reputava immeritevole di accoglimento pure il quinto motivo d’appello , relativo alle nuove vedute ed agli affacci prima inesistenti, per carenza di prova sul punto ed a fronte dell’acquisto per usucapione ventennale del diritto a mantenere intatte le vedute, anche se poste a distanza inferiore a 3 m. Quanto al sesto, riguardante la rimozione delle fosse biologiche, il rigetto derivava dall’esito delle prove testimoniali e dal fatto che la relativa deduzione era stata introdotta tardivamente, così come l’eccezione di prescrizione del diritto per mancato uso ventennale e di estinzione della servitù per confusione. Sul posizionamento delle stesse si sarebbe inoltre costituita una servitù per destinazione del padre di famiglia, appartenendo in origine sia il cinema sia l’edificio preesistente a NOME COGNOME .
In accoglimento dell’impugnazione incidentale, i giudici di secondo grado provvedevano a rideterminare il regime delle spese nei confronti dei proprietari della nuova costruzione, ponendole interamente a carico della parte appellante.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME che svolge altresì ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, nonché NOME COGNOME e NOME, NOME e NOME COGNOME mentre sono rimasti intimati la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza pubblica, tutte le parti controricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente principale assume la violazione delle norme che impongono le caratteristiche della fedele ricostruzione, in particolar modo dell’art. 79 L.R Toscana n. 1 del 3.01.2005. Ritiene la BA.RI.AL che, in seguito alla rinnovazione della CTU in appello, sarebbe emerso non solo un evidente cambio di destinazione d’uso, ma anche che l’attuale fabbricato presentasse numerose differenze rispetto al vecchio cinema. Nonostante questo, il consulente nominato aveva ritenuto che l’opera dovesse considerarsi non una ‘nuova costruzione’, bensì una fedele ricostruzione dell’opera preesistente. Su tale erroneo assunto si era conformata la corte fiorentina. In senso contrario, invero, deporrebbero altre indicazioni, in primis il mutamento di destinazione d’uso della nuova costruzione, che da produttiva sarebbe passato a residenziale. Inoltre, la ‘sagoma’ del vecchio cinema e la ‘sagoma’ del nuovo edificio non avrebbero potuto considerarsi sovrapponibili, sicché l’intervento non poteva qualificarsi come una mera ristrutturazione ma come ‘sostituzione edilizia’. Non coglierebbe, pertanto, nel segno l’osservazione della Corte d’appello laddove ha ritenuto irrilevanti le eventuali modifiche interne o la destinazione d’uso, poiché, seppur tali aspetti non inciderebbero direttamente sulle distanze, inciderebbero sulla qualificazione di ‘nuova costruzione’, da cui scaturirebbe l’obbligo delle distanze rese attualmente inderogabili dal D.M. 2.04.68 n. 1444 e dalle norme antisismiche. Infine, la trasformazione operata sarebbe totale anche a fronte dell’aumento della superficie dell’edificio derivante dai nuovi aggetti creati all’esterno (terrazzi e scale esterne).
Attraverso la seconda censura, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la BA.RI.AL denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dal contrasto della originaria condizione del fabbricato
oggi ristrutturato rispetto alla normativa antisismica in vigore nel 1956 al momento della costruzione di detto edificio. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza gravata, la normativa antisismica (art. 9 co. 3 R.D. 2105/37), fisserebbe la distanza minima che doveva esservi tra i due edifici (mt 6), stante la presenza di un ‘corridoio’ (od intervallo) tra gli stessi , soggetto a pubblico passaggio proprio a causa delle porte del cinema. Avrebbe, pertanto, errato la Corte d’appello nell’affermare di non poter conoscere le altezze dei due edifici e quindi di non poter stabilire quale distanza minima il cinema avrebbe dovuto rispettare dall’edificio della BA.RI.AL , secondo le inderogabili previsioni antisismiche del periodo in cui fu costruito.
Con il terzo mezzo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo i giudici di secondo grado ritenuto comunque irrilevante la problematica inerente la normativa antisismica, poiché era maturato, per usucapione ventennale, il diritto del proprietario dell’ex cinema (NOME COGNOME) a mantenerlo a distanza inferiore rispetto a quella prevista ex lege . Ritiene la BA.RI.AL che le disposizioni antisismiche, essendo dettate a tutela di interessi generali, non sarebbero derogabili dai privati, derivandone l’impossibilità di acquisire per usucapione il diritto a mantenere l’edificio costruito a distanza inferiore rispetto a quanto prescritto dalla suddetta normativa.
La Corte territoriale, inoltre, avrebbe violato gli artt. 112 e 346 c.p.c., essendosi pronunciata sull’eccezione di usucapione senza che nessuno degli appellati l’ avesse riproposta in secondo grado.
Infine, i giudici di secondo grado avrebbero violato il disposto di cui all’art. 1158 c.c. per non essere decorso il possesso di venti anni utile per l’usucapione in favore degli attuali proprietari degli appartamenti.
Con ricorso incidentale condizionato, NOME COGNOME censura la sentenza di secondo grado per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 163, 183 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., avendo la corte territoriale ritenuto, erroneamente, ammissibile la questione della pretesa
violazione delle norme antisismiche, invero tardivamente introdotta dalla società ricorrente.
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione proposta da tutte le parti controricorrenti, volta a far dichiarare l’ inammissibilità del ricorso principale per mancata esposizione dello svolgimento dei fatti, in violazione dell’art. 366 n. 3 c.p.c.
L’eccezione è fondata.
Va premesso che l’attuale norma dell’art. 366 comma 1° n. 3 c.p.c. recita ‘ ‘ la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso ‘. Deve peraltro precisarsi che il testo suddetto è il frutto della sostituzione operata dall’art. 3 comma 27 lett. d) D.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, che si applica ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023. Il presente ricorso è stato notificato il 7 luglio 2020, nella vigenza della precedente disposizione (‘l’esposizione sommaria dei fatti di causa’), a cui occorre dunque attenersi nello scrutinio dell’odierna vicenda.
Ed, in effetti, un esame anche approssimativo e superficiale del ricorso denuncia l’assoluta mancanza dell’esposizione dei fatti di causa, intesa come ricostruzione sommaria dell’originaria domanda e dell’evoluzione del giudizio nei gradi di merito. Una volta indicata la ricorrente ed il suo procuratore si passa a enunciare la sentenz a impugnata, le controparti e l’oggetto del giudizio (‘arretramento del fabbricato abitativo per violazione delle distanze legali del fabbricato ex BA.RI.AL. In alternativa chiusura delle vedute per distanza non consentita. Salvo, in ogni caso, il risarcimento dei danni’) . Si procede indi alla sintesi dei motivi e, subito dopo, alla loro esposizione analitica, senza alcun cenno neppure a quale parte avesse intrapreso la causa e come si fosse articolata l’istruttoria in primo grado.
In altri termini, il ricorso, in appena due righe a pag. 2, si limita a segnalare che si discute di distanze ed illustra subito i motivi in cui si dilunga unicamente in questioni di diritto, omettendo qualunque illustrazione dei fatti e delle posizioni difensive; insomma si dà letteralmente per scontata la conoscenza di tutta la
vicenda, che non si ricava neppure dal corpo dei motivi, nonostante il ricorso per cassazione debba essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda ” sub iudice ” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, (Sez. U., n. 37552 del 30 novembre 2021).
D’altronde , secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto, senza attingere aliunde gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (Sez. U., n. 2602 del 20 febbraio 2003; Sez. 3, n. 1352 del 12 gennaio 2024; Sez. 2, n. 6931 del 15 marzo 2025; Sez. 2, n. 10479 del 22 aprile 2025).
Nella specie, la ricostruzione in fatto è stata resa possibile solo dal confronto fra la sentenza impugnata ed i controricorsi avversari. Si deve all’uopo escludere, peraltro, che i motivi, essendo deputati ad esporre gli argomenti difensivi possano ritenersi funzionalmente idonei ad una precisa enucleazione dei fatti di causa (Sez. 1, n. 24432 del 3 novembre 2020).
In definitiva, deve ribadirsi il principio per il quale, al fine di soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366, primo comma, n. 3), c.p.c. il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati ” causa petendi ” e ” petitum “, nonché degli argomenti dei
giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente (Sez. 6-3, n. 13312 del 28 maggio 2018).
Tanto determina l’inammissibilità del ricorso , con il conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali nei confronti di tutte le parti controricorrenti, come liquidate in dispositivo.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore di NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge ed in favore di NOME, NOME e NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della s.n.c. RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’
8 luglio 2025, nella camera di consiglio delle Seconda