Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23400 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23400 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2024
ORDINANZA
Oggetto
OPPOSIZIONE ESECUZIONE
Violazione di giudicato da titolo esecutivo giudiziale – Ricorso per cassazione Requisiti di ammissibilità ex art. 366 c.p.c.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/04/2024
sul ricorso 15194-2022 proposto da:
Adunanza camerale
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliata presso l ‘ indirizzo di posta elettronica dei propri difensori, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell ‘ amministratore unico e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO COGNOME, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 395/2022 della Corte d ‘ appello di Salerno, depositata il 28/03/2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ adunanza camerale del 24/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 395/22, del 28 marzo 2022, della Corte d ‘ appello di Salerno, che -accogliendo il gravame esperito dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 368/19 del Tribunale di Nocera Inferiore -ha accolto l ‘ opposizione al precetto con il quale la società RAGIONE_SOCIALE aveva intimato, alla società RAGIONE_SOCIALE, il pagamento di € 249.825,00, sulla base di un decreto ingiuntivo (n. 800/15) emesso dal medesimo Tribunale COGNOME, rilasciato in formula esecutiva il 23 settembre 2015, in quanto non opposto.
Riferisce, in punto di fatto, l ‘ odierna ricorrente che l ‘ opposizione esecutiva veniva respinta dal primo giudice, con decisione riformata in appello, sul presupposto che nel giudizio ex art. 615 cod. proc. civ. possono essere eccepiti dall ‘ opponente fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del rapporto giuridico, consacrato in un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo e costituente titolo esecutivo, a condizione che gli stessi siano successivi alla sua emanazione.
Tale sarebbe stato il caso che occupa, secondo la Corte territoriale, giacché il decreto ingiuntivo individuava quale ‘ causa petendi ‘ della pretesa creditoria azionata da COGNOME in INDIRIZZO monitoria una sentenza -sempre resa dal Tribunale di Nocera Inferiore (n. 706/14) -che era stata riformata in appello, con pronuncia sopravvenuta rispetto alla formazione del predetto titolo giudiziale mandato ed esecuzione.
Avverso la sentenza della Corte salernitana ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 647 e 615 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1372 e 2909 cod. civ.
Premette l ‘ odierna ricorrente che il ragionamento svolto dalla sentenza impugnata si fonda sul seguente presupposto di fatto: ovvero, che avendo essa RAGIONE_SOCIALE concesso in locazione un opificio industriale a RAGIONE_SOCIALE, la conduttrice -resasi inadempiente all ‘ obbligazione di pagamento del canone di locazione (per tale ragione essendo debitrice del ridetto importo di € 249.825,00, come risultante dal decreto ingiuntivo , non opposto, portato ad esecuzione) -avrebbe avuto titolo per opporle la sopravvenienza, rispetto al provvedimento monitorio, di una sentenza dalla stessa Corte salernitana (la n. 110/2016). Tale pronuncia, infatti, resa nell ‘ ambito di un giudizio pendente tra RAGIONE_SOCIALE ed altro soggetto (la società RAGIONE_SOCIALE), alla quale la prima aveva concesso in comodato, tra l ‘ altro, il medesimo opificio industriale già datole in locazione da RAGIONE_SOCIALE, aveva rigettato la pretesa di RAGIONE_SOCIALE di vedersi riconosciuto il diritto al pagamento della somma di € 499.650,00, nella quale era ricompreso l ‘importo di € 249.825,00 dalla stessa RAGIONE_SOCIALE dovuto in favore dell ‘ odierna ricorrente. In sostanza, riteneva la pronuncia oggetto del presente ricorso per cassazione ‘che la causa petendi del decreto ingiuntivo proposto dalla RAGIONE_SOCIALE‘ fosse ‘da rinvenire non già nel mancato adempimento nella corresponsione del canone di locazione’, ma, piuttosto, nella pretesa ‘di ottenere dalla obbligata RAGIONE_SOCIALE il pagamento di quanto la stessa avrebbe dovuto ricevere in costanza della sentenza favorevole da questa ottenuta’ nei
confronti della propria comodataria; sentenza, poi, riformata, con decisione sopravvenuta rispetto al provvedimento monitorio.
Ciò premesso, la ricorrente censura la decisione impugnata evidenziando come la propria pretesa, in sede monitoria, ‘anche sotto il profilo della causa petendi ‘, fosse stata ‘determinata in ragione dell ‘inadempimento della RAGIONE_SOCIALE‘, giacché qualunque fosse stata la configurazione dei rapporti tra questa e RAGIONE_SOCIALE, ‘la prima sarebbe rimasta comunque obbligata nella corresponsione dei canoni di fitto’, restando ‘il rapporto di locazione completamente distinto e diverso rispetto all ‘ ulter iore rapporto di comodato’ ; rapporto di locazione, del resto ( e con esso ‘il rapporto di credito che ne deriva’ ), non ‘posto in discussione neppure dalla sentenza resa dalla Corte di Appello di Salerno n. 110/2016’.
D ‘altra parte, neppure potrebbe rilevare ‘ai fini che qui interessano, un eventuale (ma inesistente) collegamento negoziale tra i due predetti rapporti contrattuali’, stante ‘non solo la loro diversità anche contenutistica’, visto che il comodato riguardava anche altri beni oltre la ‘ res locata ‘, ma pure perché ‘il collegamento negoziale non dà luogo ad un unico contratto, bensì ad una pluralità coordinata di contratti che rimangono entità negoziali autonome’. Il tutto, infine, non senza ‘considerare che la società ricorrente è rimasta estranea sia al successivo rapporto contrattuale che alle dipendenti vicende giudiziarie’.
Censura, inoltre, la ricorrente l ‘ affermazione della sentenza impugnata, secondo cui ‘il motivo dedotto nell’ atto di opposizione a precetto non avrebbe potuto essere dedotto in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, posta la successiva definitività della sentenza inter alios resa dalla Corte d ‘appello’. Rileva, infatti, COGNOME che alla data della notificazione del provvedimento monitorio ‘la società RAGIONE_SOCIALE aveva già ricevuto la notifica dell ‘ appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE‘, sicché ‘i fatti estintivi modificativi o impeditivi (nella loro conformazione storica e giuridica) già sussistevano all ‘ atto della notifica del decreto monitorio’, donde, allora, la possibilità di opporsi ad esso, potendo anche richiedere, nel giudizio così instaurato, la sospensione dello stesso, in attesa della definizione della causa ‘pregiudicante’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2909 cod. civ.
Si assume che la sentenza impugnata avrebbe ‘violato il principio secondo cui il titolo esecutivo giudiziale integrante un giudicato entra nel processo oppositivo quale «valore» e non solo quale «fatto», con la conseguenza che ogniqualvolta che, per l ‘ accertamento del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, emerge una questione per la cui decisione deve farsi capo al titolo esecutivo, quest ‘ ultimo somministra il valore giuridico sulla base del quale il giudice deve risolvere la contro versia’.
Orbene, poiché ‘l’ accertamento della validità e della natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce presupposto logicogiuridico del diritto derivatone’, ne consegue che ‘il giudicato’ istituto configurabile non solo rispetto alla sentenza non più impugnabile, ma anche con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto -‘si estende al predetto accertamento e pertanto spiega i suoi effetti in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti inerenti al medesimo rapporto’.
Ciò premesso, quindi, ‘se è vero come si legge nella sentenza impugnata -che nell ‘ opposizione all ‘ esecuzione possono essere opposti fatti impeditivi o estintivi successivi al giudicato,
per cui l ‘ oggetto del giudizio oppositivo non potrà mai coincidere con l ‘ oggetto del giudicato, resta altrettanto vero che «il diritto sostanziale mediante cui valutare se il fatto opposto sia idoneo a produrre l ‘ effetto giuridico dell ‘ estinzione dell ‘ obbligazione sancito dal giudicato resta il giudicato medesimo» ‘ (è citata Cass. Sez. Un., sent. 21 febbraio 2022, n. 5633).
Di conseguenza, ‘la peculiare natura del valore giuridico corrispondente al giudicato fonda, così, nell ‘ ipotesi in cui si censuri il provvedimento di merito per la violazione dell ‘ art. 2909 cod. civ., il potere/dovere del Giudice di legittimità di interpretare il titolo esecutivo corrispondente al giudicato, se quest ‘ ultimo fornisce la regola giuridica al fine dell ‘ accertamento del diritto fatto valere e posto a fondamento dell ‘esecuzione forzata’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Si deduce che l ‘ esistenza del contratto di locazione di cui si è detto e ‘l’ indissolubile legame con questo della pretesa creditoria di «RAGIONE_SOCIALE» nei confronti di «RAGIONE_SOCIALE» (titolo giudiziario definitivo), è qualificabile come «fatto decisivo», continuamente riproposto dalla ricorrente nel corso del giudizio di mer ito’, sicché a fronte di tale iniziativa la Corte territoriale ‘avrebbe dovuto motivare sulla inesistenza o sulla insufficienza del titolo contrattuale in oggetto (contratto di fitto), come esistente tra le parti (e non contestato), e da questo, poi, adeguatamente motivare l ‘ insussistenza del diritto attuale a pretendere i canoni di fitto (come accertati nel d.i. divenuto definitivo), e non già pervenire -in assenza di ogni esame di quanto compiutamente dedotto dalla attuale ricorrente -all ‘ improprio richiamo di altro e diverso giudizio, ritenuto incidente finanche sul titolo accertato e definitivo’.
Ha resistito all ‘ avversaria impugnazione, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile, a norma dell ‘ art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
8.1. Invero, proprio l ‘ arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, al quale la ricorrente si richiama, evidenzia che ‘la denuncia in sede di legittimità della violazione dell ‘ art. 2909 cod. civ. in giudizio oppositivo per erronea interpretazione del titolo esecutivo corrispondente a giudicato deve essere formulata con la specifica indicazione del precetto sostanziale che si assume violato’, precisando che le ‘peculiarità del di ritto del caso concreto’, risultante dal giudicato, ‘si riflettono anche nell’ onere di cui all ‘ art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., il quale comporta, come è noto, la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui la censura si fonda’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 21 febbraio 2022, n. 5633, Rv. 664034-02). Orbene, se di regola -ovvero, allorché il giudicato invocato consista in una sentenza -il rispetto della previsione
normativa suddetta esige che il ricorrente debba ‘specificatamente indicare nel provvedimento giurisdizionale passato in giudicato quale sia la parte corrispondente al diritto sostanziale di cui denuncia l ‘ errata interpretazione, provvedendo alla relativa trascrizione nel corpo del ricorso o alla dettagliata e univoca indicazione per il reperimento del precetto all ‘ interno del provvedimento’, un analogo onere di specificità, salva la necessità di adattamento derivante dalla diversa ‘morfologia’ del provvedimento giurisdizionale, s ‘ impone anche per il decreto ingiuntivo, rispetto al quale, quindi, ‘il reperimento del precetto all ‘interno del provvedimento’ resta interamente affidato a quegli ‘elementi extratestuali rispetto al giudicato e tuttavia indispensabili per la sua interpretazione’, ai quali il citato arresto delle Sezioni Unite dà, comunque, rilievo. E ciò con la duplice precisazione che ‘la parte ricorrente può avvalersi solo di quegli atti processuali e documenti che siano stati ritualmente acquisiti nei gradi di merito’ e , inoltre, che essa è tenuta a soddisfare l ‘onere ‘di indicazione in modo specifico e rigoroso dell’ elemento extratestuale rilevante per l ‘ interpretazione del titolo esecutivo costituente il giudicato, provvedendo alla trascrizione nel corpo del ricorso della relativa parte dell ‘ atto processuale o del documento o fornendone l ‘ indicazione per il reperimento all ‘ interno dell ‘ atto o documento in modo dettagliato ed inequivoco’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 5633 del 2022, cit .).
Alla luce di tali principi, dunque, deve affermarsi che l ‘elemento ‘extratestuale’ necessario per ‘il reperimento del precetto all ‘interno del provvedimento’ al quale l ‘ odierna ricorrente avrebbe dovuto riferirsi ‘in modo specifico e rigoroso’, e cioè ‘provvedendo alla trascrizione nel corpo del ricorso’, oppure ‘fornendone l’indicazione (…) in modo dettagliato ed inequivoco’, non poteva che essere il ricorso monitorio, sul cui
contenuto, viceversa, è stato serbato un singolare silenzio. Silenzio, per vero, tanto più penalizzante, ai fini dell ‘ ammissibilità del presente ricorso, ove si consideri che la ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata è consistita nel disattendere il rilievo dell ‘odierna ricorrente (secondo cui ‘la causa petendi del ricorso per decreto ingiuntivo dell ‘ 8 aprile 2015 era il contratto di locazione dell ‘ 1 novembre 2006 e non la sentenza n. 706/2014 del Tribunale di Nocera Inferiore’), affermando risultare, a ddirittura ‘ per tabulas ‘, come ‘la domanda monitoria’ fosse ‘incentrata non già sul predetto negozio giuridico, cessato il 28 febbraio 2007, ma sul riconoscimento giudiziale del credito vantato dalla «RAGIONE_SOCIALE» nei confronti della «RAGIONE_SOCIALE», in relazione al successivo periodo temporale compreso tra il marzo 2007 e il gennaio 2014, per la somma di euro 499.650,00, metà della quale, pari ad euro 249.825,00, tuttavia, spettava alla «RAGIONE_SOCIALE», corrispondendo all ‘ entità dei canoni relativi ai capannoni industriali di sua proprietà’.
Né, d ‘ altra parte, può valere a sanare il prospettato profilo di inammissibilità della presente impugnazione la riproduzione del contenuto del ricorso monitorio fatta nella memoria depositata in vista della presente adunanza camerale, giacché ‘l’ eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all ‘ art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ., la cui funzione -al pari della memoria prevista dall ‘ art. 378 cod. proc. civ., sussistendo identità di « ratio » -è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli’ (tra le altre, Cass. Sez. 2, ord. 28 novembre 2018, n. 30760, Rv. 651598-01).
Ogni altra questione -anche quanto al merito della pretesa ed alla rilevanza di un giudizio inter alios -resta preclusa.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l ‘ obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all ‘ amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando la società RAGIONE_SOCIALE a rifondere, alla società RAGIONE_SOCIALE, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 7.000,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all ‘ esito dell ‘ adunanza camerale della