Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 967 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 967 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28053-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. 28053/2020
COGNOME
Rep.
Ud.13/11/2024
CC
avverso la sentenza n. 132/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/02/2020 R.G.N. 870/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 27.2.2020, la Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di NOME COGNOME volta a conseguire la pensione di anzianità con decorrenza dal 29.11.2011, per come r iconosciutogli dall’INPS coevamente all’accoglimento della domanda di costituzione di rendita vitalizia da lui presentata l’11.8.2011, quale coadiutore familiare dell’impresa agricola condotta dal padre, e comunque il risarcimento dei danni patiti per effetto delle dimissioni alle quali era stato indotto dall’iniziale accoglimento della domanda di pensione, poi revocatagli per essere stata disconosciuta la sussistenza del rapporto di coadiuzione familiare e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere alla costituzione della rendita vitalizia;
che avverso tale pronuncia NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 13.11.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13, commi 4° e 5°, l. n. 1338/1962, dell’art. 2, l. n. 9/1963, degli artt. 2697 c.c., 414, 421 e 442 c.p.c. in relazione agli artt. 2704, n. 3, 2724 e 2725 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di
merito rifiutato di disporre la prova orale vertente sulla durata del rapporto di coadiuzione familiare, pur dando atto che quest’ultimo era fondato su prove scritte;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 329 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 442, 421 e 416 c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva affermato l’insussistenza di prova di danni risarcibili pur dando atto dell’avvenuta formazione del giudicato interno sull’illiceità della condotta dell’INPS e sul nesso di causal ità rispetto alle dimissioni;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione degli artt. 1226 e 432 c.p.c., anche in relazione all’art. 115 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che non fosse possibile ricorrere alla liquidazione equitativa dei danni da lui patiti; che, con riguardo al primo motivo, va premesso che i giudici territoriali, nell’esaminare il motivo di gravame con cui l’odierno ricorrente si doleva che il primo giudice non avesse debitamente valorizzato le prove documentali offerte a sostegno della sussistenza del precorso rapporto di coadiuzione familiare, hanno reputato l’infondatezza della censura sul rilievo che ‘dalla documentazione prodotta dall’INPS e posta a base dell’annullamento della rendita vitalizia, si desume che il nucleo coltivatore-diret to al quale apparteneva non era attivo nel periodo interessato dalla richiesta di costituzione della rendita vitalizia’, essendosi il di lui padre cancellato in epoca anteriore ‘dall’elenco dei coltivatori diretti siccome pensionato per invalidità’ e non sussistendo più, pertanto, alcun nucleo familiare ‘di coltivatori diretti attivi nel
periodo in questione’ (così pagg. 4 -5 della sentenza impugnata);
che, tanto premesso, il motivo di censura risulta palesemente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, non avendo affatto i giudici territoriali ritenuto che del rapporto de quo esistesse una prova scritta riguardante ‘sia un periodo antecedente a quello oggetto di accertamento sia un periodo successivo’ (come invece si legge a pag. 13 del ricorso per cassazione), ma avendo piuttosto valutato, sulla base delle prove documentali p rodotte dall’INPS, che nessun rapporto di coadiuzione familiare sarebbe mai potuto sussistere nel periodo oggetto di riscatto, essendo venuta meno la qualità di coltivatore diretto del padre dell’odierno ricorrente, che ne costituiva ineliminabile presupposto;
che il secondo motivo è, del pari, palesemente inammissibile, pretendendo di censurare, mercé il richiamo a presunte violazioni di legge sostanziale e processuale, il concorde giudizio di fatto dei giudici territoriali circa la mancanza di prova di alcun danno risarcibile, ciò che deve ritenersi irrimediabilmente precluso in questa sede di legittimità anche in relazione al divieto di cui all’art. 348 -ter , ult. co., c.p.c.;
che il terzo motivo è manifestamente infondato, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui il ricorso alla liquidazione equitativa di cui agli artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c. presuppone la prova dell’esistenza e dell’entità materiale di un danno di cui risulta obiettivamente impossibile o anche solo difficile la liquidazione e non può, viceversa, essere invocato per sopperire alla mancata prova del danno nella sua stessa esistenza (cfr., tra le numerosissime, Cass. nn. 8835 del 1991, 22115 del 2009, 31546 del 2018, 17607 del 2020, 13515 del 2022);
che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.700,00, di cui € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13.11.2024.