Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8116 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8116 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8090/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, in forza di procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO , così elettivamente domiciliata
-ricorrente –
contro
COGNOME, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, giusta mandato in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Genova n. 1188/2021, pubblicata in data 24 novembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1° febbraio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Fatti di causa
Il Tribunale di La Spezia, accogliendo la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, con sentenza n. 195 del 2009, condannava la convenuta al versamento, in favore dell’attrice, della rendita vitalizia pari al 25 per cento degli utili della RAGIONE_SOCIALE per gli anni dal 1997 al 2001, in forza di scrittura privata del 17 marzo 1994 intercorsa tra l’attrice e NOME COGNOME, all’epoca unico titolare della RAGIONE_SOCIALE.
Nella controversia di primo grado si era discusso sia dell’obbligo di pagamento e relativo quantum dovuto in forza della rendita costituita, sia della validità del medesimo atto istitutivo del 17 marzo 1994 e dell’accollo di detto onere in capo alla RAGIONE_SOCIALE, intervenuto il 7 novembre 1994, allorché il socio COGNOME si era associato a NOME COGNOME nella conduzione della RAGIONE_SOCIALE costituendo una società in nome collettivo.
La controversia pertanto aveva visto coinvolti anche i soci singolarmente e il commercialista che aveva predisposto l’atto di costituzione della società correlata all’attività della RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale dichiarava, in particolare, che sulla prima questione si era formato un giudicato esterno con sentenza n. 655/2003 del Tribunale di La Spezia e respingeva l ‘eccezione di invalidità dell’atto istitutivo della rendita vitalizia.
Proposto appello dalla RAGIONE_SOCIALE e dai due soci con separati atti, la Corte d’appello di Genova, previa riunione, con
sentenza n. 1450/2014, dichiarava inammissibile il gravame sull’assunto che nell’atto costitutivo della RAGIONE_SOCIALE era previsto che nelle controversie la società dovesse essere rappresentata congiuntamente dai due soci e che il nuovo testo dell’art. 182 cod. proc. civ., che prevedeva la sanatoria ex tunc dei vizi attinenti al difetto di rappresentanza e di procura alle liti, non dovesse applicarsi alla presente controversia, instaurata in data anteriore alla entrata in vigore della novellata disposizione normativa.
La decisione veniva impugnata con ricorso per cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE e questa Corte, con l’ordinanza n. 3416/2018, cassava la sentenza impugnata.
Riassunto il giudizio da NOME COGNOME, che nel frattempo aveva acquistato tutte le quote della società, la Corte d’appello di Genova, in accoglimento dell’impugnazione, ha dichiarato la nullità del contratto di rendita vitalizia, per insussistenza dell’equivalenza del rischio, ed ha ritenuto che nulla fosse dovuto dalla RAGIONE_SOCIALE in favore di NOME COGNOME, escludendo al contempo che sulla questione della nullità si fosse formato il giudicato esterno per effetto della sentenza n. 655/2003 pronunciata dal Tribunale di La Spezia.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi d ell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
In prossimità dell’adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il primo motivo la ricorrente deduce ‹‹Nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.
proc. civ. nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione di giudicato relativa alle statuizioni della sentenza n. 655/2003 del Tribunale della Spezia››.
Evidenzia che con la sentenza n. 195/2009 il Tribunale di La Spezia aveva correttamente rilevato che l’esistenza dell’obbligazione di pagamento della rendita vitalizia costituiva ‹‹ questione di diritto che ha (aveva) rappresentato premessa logica indispensabile della sentenza 655/03 di questo Tribunale (passata in giudicato a seguito della rinuncia all’appello contro di essa proposto…)›› , la cui efficacia doveva pertanto ritenersi estesa al presente giudizio in virtù del principio dell’efficacia riflessa del giudicato; gli effetti di detto giudicato erano stati tempestivamente eccepiti nel corso del giudizio di appello proprio perché idonei a precludere alla RAGIONE_SOCIALE di contestare l’esistenza dell’obbligo di pagamento della rendita, ormai accertato con sentenza irrevocabile. Su tale questione, tuttavia, la Corte territoriale non si era espressamente pronunciata.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Occorre rammentare, con riferimento alla denuncia di mancata pronuncia su eccezione di merito sollevata in sede di appello, che non ricorre il vizio di omesso esame di un’eccezione che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 cod. proc. civ.), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto di cui sarebbe stato pretermesso l’esame (Cass., sez. 3, 29/07/2004, n. 14486; Cass., sez. 3, 06/11/2020, n. 24953).
1.3. Deve, pertanto, escludersi il vizio ex art. 112 cod. proc. civ. sia perché la sentenza in questa sede impugnata ha espressamente vagliato l’eccezione di giudicato esterno, disattendendola, come emerge evidente dalla lettura delle pagg. 7 e 8 della motivazione, sia perché il giudice di appello, dichiarando la nullità del contratto di rendita vitalizia, ha implicitamente adottato una decisione incompatibile con l’accoglimento dell’eccezione di giudicato esterno.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce ‹‹Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di dichiarare preclusa l’eccezione avversaria di nullità del contratto di rendita vitalizia dal giudicato formatosi in merito alle statuizioni della sentenza n. 655/2003 del Tribunale della Spezia›› e ribadi sce che, nel caso di specie, è del tutto evidente che la validità ed efficacia del contratto di rendita costituiva elemento condizio nante l’esistenza del relativo obbligo di pagamento a carico della RAGIONE_SOCIALE, definitivamente accertata dalla sentenza n. 655/03 del Tribunale di La Spezia, dal momento che nel giudizio definito da tale sentenza, ove si controverteva circa l’avvenuto accollo del vitalizio alla RAGIONE_SOCIALE, era onere di NOME COGNOME, socia ed amministratrice della medesima, che contestava l’obbligo di pagamento, dedurre eventuali profili di nullità, che, peraltro, ben avrebbero potuto essere rilevati d’ufficio dal giudice, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Deve escludersi che il giudicato derivante dalla sentenza n. 655/2003 intervenuto nel giudizio promosso da NOME COGNOME, quale socia della RAGIONE_SOCIALE, nei confronti dell’altro socio, NOME COGNOME, ed al quale è rimasta estranea NOME COGNOME, possa spiegare efficacia ‹‹ riflessa ›› nel presente giudizio.
Al riguardo, vanno richiamati i principi espressi da Cass. n. 8101/2020 -che ha affermato che «il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare “efficacia riflessa” nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale a condizione che: a) i terzi non siano titolari di un diritto autonomo, scaturente da un distinto rapporto giuridico o costituito su un rapporto diverso da quello dedotto nel primo giudizio; b) i terzi non possano risentire un “pregiudizio giuridico” dalla precedente decisione; c) l’efficacia riflessa riguardi soltanto l’affermazione di una situazione giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento -e da Cass. n. 15599/2019, secondo cui «l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi, ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale, allorquando il terzo sia titolare di una situazione giuridica dipendente o comunque subordinata, sempreché il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile, in tale evenienza, che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, ne possa ricevere pregiudizio giuridico o possa avvalersene a fondamento della sua pretesa».
2.3. Alla stregua di tali principi non ricorrono le condizioni per configurare, nel caso in esame, un’efficacia riflessa del giudicato intervenuto fra i soci della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in quanto il giudizio definito con la sentenza n. 655/2003 riguardava un rapporto giuridico intercorso esclusivamente fra i soci, essendo stata in quella sede svolta domanda finalizzata ad accertare se il COGNOME avesse tenuto un comportamento inadempiente ai propri obblighi, che legittimasse la domanda di esclusione dello stesso dalla società, e se la rendita costituita con la
scrittura privata del 17 marzo 1994 fosse stata o meno trasferita alla società RAGIONE_SOCIALE; il rapporto dedotto nel presente giudizio, che poggia, invece, sul contratto di rendita vitalizia, è soggettivamente ed oggettivamente autonomo rispetto a quello intercorso fra i soci della medesima RAGIONE_SOCIALE e la situazione affermata nel rapporto fra i soci non è tale da non ammettere la possibilità di un diverso accertamento, dato che l’odierna ricorr ente non è titolare di una situazione giuridica dipendente o comunque subordinata rispetto a quella su cui è intervenuto il giudicato (Cass., sez. 3, 11/06/2019, n. 15599; Cass., sez. 3, 13/05/2022, n. 15380).
Ne segue che il giudicato invocato non si estende anche alla validità del contratto di vitalizio, sì da far considerare da esso preclusa l’eccezione di nullità formulata in questo giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME in relazione al medesimo contratto.
Con il terzo motivo la ricorrente censura la decisione gravata per ‹‹violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345, secondo comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di dichiarare l’inammissibilità delle circostanze ex adverso dedotte per la prima volta in sede di appello a sostegno dell’eccezione di nullità del contratto di rendita vitalizia per effetto di alea››.
Sostiene che solo con la comparsa conclusionale depositata il 23 luglio 2014 nel giudizio d’appello e, dunque, tardivamente, la RAGIONE_SOCIALE aveva allegato nuove circostanze di fatto concernenti i contratti di associazione in partecipazione stipulati tra la stessa ricorrente ed il COGNOME che avrebbero consentito di prevedere i futuri risultati economici dell’esercizio della RAGIONE_SOCIALE cui sarebbe stato successivamente commisurato il vitalizio.
Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366, primo
comma, n. 6, cod. proc. civ.
La ricorrente, pur adducendo che le circostanze di fatto concernenti i contratti di associazione in partecipazione stipulati con il COGNOME sono state tardivamente allegate in appello, omette, onde consentire a questa Corte di valutare la censura prospettata, di riportare il contenuto delle comparse di costituzione depositate in primo grado dagli originari convenuti e delle deduzioni difensive svolte in grado di appello e, comunque, di fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora di precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469), cosicché la censura non si sottrae alla declaratoria d’ inammissibilità.
Con il quarto motivo, deducendo ‹‹ omesso esame del fatto storico rappresentato dai negativi risultati d’esercizio della RAGIONE_SOCIALE comprovanti l’aleatorietà del vitalizio e risultanti dalle relative prove documentali, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ›› , la ricorrente addebita alla Corte d’appello di avere trascurato di considerare il progressivo deteriorarsi della situazione economico-finanziaria della RAGIONE_SOCIALE, a decorrere dal 2013, emergente dalla documentazione prodotta, e di valutare in ogni caso che le prestazioni del vitaliziante, essendo commisurate ai risultati d’esercizio della RAGIONE_SOCIALE , erano per definizione indeterminabili ed incerte al pari dei risultati di una qualunque altra attività imprenditoriale.
Con il quinto motivo prospetta ‹‹Nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui ha omesso di provvedere in merito all’istanza di
esibizione ex art. 210 c.p.c. dei bilanci della RAGIONE_SOCIALE relativi agli anni 2013, 2014 -2015- 2016 e 2017 volta a confermare il negativo andamento aziendale della predetta società››, sottolineando che l’istanza era stata puntualmente rinnovata in tutti gli atti del giudizio.
Il quinto motivo, che, per ragioni di ordine logico deve essere preliminarmente esaminato, è inammissibile.
Va, in primo luogo, rilevato che la censura difetta di specificità, non essendo stato riportato il tenore letterale della istanza ex art. 210 cod. proc. civ. e, in ogni caso, va ricordato che l’emanazione dell’ordine di esibizione è discrezionale e che la valutazione di indispensabilità neppure deve essere esplicitata nella motivazione; ne consegue che l’esercizio del relativo potere è svincolato da ogni onere motivazionale ed il provvedimento di rigetto dell’istanza (o il mancato esercizio di tale potere) è insindacabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa (Cass., sez. 3, 08/10/2021, n. 27412; Cass., 21/02/2017, n. 4504; Cass., 16/11/2010, n. 23120).
Parimenti inammissibili sono il quarto ed il sesto motivo che, essendo strettamente connessi, possono essere congiuntamente scrutinati.
8.1. L’alea è elemento essenziale del contratto di vitalizio oneroso, quale è quello in esame, e si configura come incertezza del risultato economico del contratto, nel senso che il vantaggio per uno dei contraenti o la perdita per l’altro, in quanto rapportati alla non prevedibile durata della vita del beneficiario, non sono determinabili al momento di conclusione del contratto; è, di conseguenza, nullo,
per carenza di alea, quel contratto le cui pattuizioni valutate al momento della stipula siano tali da escludere ‹‹l’equivalenza del rischio ›› ; per verificare, quindi, se al momento della conclusione del contratto esiste per il vitaliziato e per il vitaliziante una uguale probabilità di guadagno o di perdita, è necessario valutare, con riferimento alle prestazioni delle parti, sia l’entità della rendita che la presumibile durata della stessa, in relazione alla possibilità di sopravvivenza del vitaliziato (Cass., sez. 2, 12/10/2005, n. 19763; Cass., sez. 2, 24/06/2009, n. 14796).
8.2. La c orte d’appello, facendo buon governo dei suddetti principi, ha ritenuto insussistente l’equivalenza di rischio, ossia l’uguale probabilità per il vitaliziato ed il vitaliziante di perdita o di guadagno e ha, per tale ragione, dichiarato la nullità del contratto, sul rilievo che la COGNOME aveva 48 anni all’epoca di conclusione del contratto, età che lasciava presagire una lunga corresponsione della rendita vitalizia, e che la stessa era ben a conoscenza della situazione economica e reddituale della RAGIONE_SOCIALE, presso la quale prestava da molti anni attività di collaborazione.
L’ind icata comparazione e l’ indagine svolta dai giudici di merito costituiscono apprezzamenti di fatto, incensurabili in sede di legittimità, se congruamente motivati come nel caso di specie (Cass., sez. U, 11/07/1994, n. 6532; Cass., sez. 2, 29/08/1992, n. 9998; Cass., sez. 3, 07/01/2009, n. 117), a nulla valendo che la Corte territoriale non abbia fatto espresso riferimento a tutte le prove documentali richiamate dalla RAGIONE_SOCIALE a supporto del quarto motivo di ricorso.
Invero, la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE avesse subito un calo degli introiti negli anni 2013 e 2014 è del tutto irrilevante, dal momento che la comparazione da effettuare al fine di ritenere sussistente o escludere l’equivalenza del rischio deve essere svolta
avendo riguardo al momento della stipula del contratto, nella specie, risalente al 1994.
Inoltre, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., nuova formulazione, non equivale alla revisione del ‹‹ ragionamento decisorio ›› , ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie -prendesse d’ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso ‘ sub specie ‘ di omesso esame di un punto decisivo. Del resto, il citato art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass., sez. L, 06/03/2006, n. 4766; Cass., sez. L, 03/07/2014, n.
15205).
Deve ulteriormente osservarsi che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa. (Cass., sez. 3, 26/06/2018, n. 16812). Tale onere non risulta assolto dalla RAGIONE_SOCIALE.
9. All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza e sono
La circostanza che la parte ricorrente risulti ammessa al patrocinio a spese dello Stato non esclude l’obbligo del giudice dell’impugnazione, quando adotti una decisione di integrale rigetto o di inammissibilità o improcedibilità dello stesso, di attestare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Questa Corte ha chiarito che ‹‹ l’attualità dell’ammissione o meno al patrocinio a spese dello Stato non rileva direttamente ai fini della pronuncia sui presupposti per il c.d. raddoppio del contributo unificato, atteso che tale pronuncia lascia impregiudicata la questione della debenza originaria del contributo in esame, con la conseguenza
che il suo raddoppio non sarà consentito qualora venga accertato, nelle sedi competenti, che fin dall’inizio ne era escluso anche il pagamento ›› (v. Cass., sez. U, n. 4315 del 2020; Cass., sez. L, 12/02/2024, n. 3880).
Pertanto, atteso il rigetto del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass., sez. U, n. 4315/2020, cit.), ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione