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Rendita per malattia professionale: accolta al 21%

Un operatore ecologico ha citato in giudizio un ente previdenziale per ottenere il riconoscimento di una rendita per malattia professionale superiore a quella inizialmente liquidata (18%). L’ente non contestava l’origine professionale delle patologie ma solo la percentuale di invalidità. Il Tribunale, avvalendosi di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), ha accertato un’invalidità permanente del 21%. Di conseguenza, ha condannato l’ente al pagamento della rendita per malattia professionale, poiché la percentuale supera la soglia legale del 16% per tale prestazione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rendita per Malattia Professionale: Diritto Riconosciuto con Invalidità al 21%

Ottenere il giusto riconoscimento per le patologie contratte a causa del proprio lavoro è un diritto fondamentale. Una recente sentenza del Tribunale di Roma chiarisce i criteri per l’assegnazione di una rendita per malattia professionale, sottolineando l’importanza di una corretta valutazione medico-legale quando l’invalidità supera determinate soglie. Questo caso riguarda un operatore ecologico che, a seguito di anni di mansioni usuranti, ha ottenuto il riconoscimento di un’invalidità del 21%, sufficiente a garantirgli una rendita vitalizia.

I Fatti del Caso: Dall’Iniziale Indennizzo alla Richiesta di Rendita

Il protagonista della vicenda è un lavoratore impiegato per anni come operatore ecologico, un mestiere che lo esponeva a numerosi rischi professionali: posture incongrue, movimentazione manuale di carichi (MMC), vibrazioni e microclima sfavorevole. Tali attività gli hanno causato diverse patologie, tra cui artrosi lombosacrale, sindrome della cuffia dei rotatori e gli esiti di una complessa frattura al calcagno.

Inizialmente, l’ente previdenziale competente aveva riconosciuto un danno biologico pari al 18%, liquidando un indennizzo in capitale. Ritenendo questa valutazione insufficiente, il lavoratore ha avviato un’azione legale, chiedendo la condanna dell’ente al pagamento di una rendita per inabilità permanente, quantificata nella misura del 35% o in quella diversa accertata in corso di causa.

L’ente si è difeso non contestando il nesso tra le malattie e il lavoro svolto, ma opponendosi esclusivamente alla quantificazione del danno richiesta dal ricorrente.

La Valutazione della Rendita per Malattia Professionale e il CTU

Il fulcro della decisione del Tribunale risiede nella disciplina introdotta dal D.Lgs. 38/2000, che ha riformato il sistema di indennizzo per infortuni e malattie professionali. La legge distingue nettamente tra danni di lieve entità e danni più significativi:

* Invalidità inferiore al 6%: Nessun indennizzo.
* Invalidità tra il 6% e il 15%: Viene liquidato un indennizzo in capitale, che risarcisce il solo danno biologico.
* Invalidità pari o superiore al 16%: Viene erogata una rendita per malattia professionale, composta da una quota per il danno biologico e una quota aggiuntiva per le conseguenze patrimoniali.

Per dirimere la controversia sulla reale entità del danno, il Giudice ha nominato un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), un medico specialista in medicina del lavoro. Il CTU ha effettuato una valutazione complessiva, considerando tutte le patologie del lavoratore in un’ottica unitaria.

L’Analisi del Consulente Tecnico

La perizia ha accertato un grado di invalidità complessiva del 21%, risultato della combinazione delle singole menomazioni secondo le tabelle ministeriali. In particolare, sono state valutate:

1. Tendinopatia del sovraspinoso bilaterale: Valutata complessivamente al 4% (2% per lato).
2. Protrusioni discali L4-L5 e L5-S1: Valutate al 7%.
3. Esiti di frattura al calcagno e astragalo: Valutati all’8%.

Il CTU ha applicato i criteri di unificazione del danno, giungendo a una stima finale del 21% di invalidità permanente.

Le Motivazioni della Decisione

Il Giudice ha pienamente accolto le conclusioni della Consulenza Tecnica d’Ufficio. La sentenza sottolinea che la perizia del CTU è apparsa “del tutto esauriente e convincente”, basata su “retti criteri di indagine” e “argomentazioni scientifiche coerenti”. Le obiezioni sollevate dall’ente previdenziale sono state respinte in quanto il CTU aveva già fornito risposte puntuali e motivate.

Poiché la percentuale di inabilità permanente (21%) è risultata superiore alla soglia del 16%, il Tribunale ha stabilito che il lavoratore ha diritto a percepire la rendita per malattia professionale. La domanda del ricorrente è stata quindi accolta, riconoscendo il suo diritto a una prestazione economica periodica commisurata al danno accertato.

Le Conclusioni: Diritto alla Rendita e Conseguenze Pratiche

La sentenza si conclude con la condanna dell’ente previdenziale a corrispondere al lavoratore la rendita per malattia professionale calcolata sulla base di un’invalidità del 21%. L’ente è stato inoltre condannato al pagamento degli interessi legali sui ratei maturati e maturandi, oltre alla rifusione delle spese legali e dei costi della consulenza tecnica.

Questa decisione riafferma un principio cruciale: la corretta quantificazione del danno è determinante per stabilire la natura della prestazione previdenziale. Un accertamento medico-legale approfondito e imparziale, come quello svolto dal CTU, è essenziale per garantire che i lavoratori ricevano la tutela adeguata (indennizzo in capitale o rendita vitalizia) in base alla reale gravità delle patologie contratte sul luogo di lavoro.

Quando si ha diritto alla rendita per malattia professionale invece che a un indennizzo in capitale?
Si ha diritto alla rendita quando la menomazione all’integrità psico-fisica, causata dalla malattia professionale, viene accertata in misura pari o superiore al 16%. Per invalidità comprese tra il 6% e il 15%, spetta invece un indennizzo in forma di capitale una tantum.

Cosa succede se l’ente previdenziale contesta solo l’entità del danno e non la sua origine professionale?
In tal caso, il punto centrale del giudizio diventa la corretta quantificazione della percentuale di invalidità. Il giudice si avvale di un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) per una valutazione medico-legale imparziale, le cui conclusioni, se ben motivate, sono decisive per la sentenza.

Come viene calcolata l’invalidità totale quando un lavoratore soffre di più patologie professionali?
L’invalidità non è una semplice somma aritmetica delle singole percentuali. Il consulente tecnico effettua una valutazione complessiva, considerando le coesistenze e le concorrenze tra le diverse patologie, e applica formule specifiche previste dalle tabelle medico-legali per giungere a un’unica percentuale di danno biologico unificato, come avvenuto nel caso di specie dove si è arrivati al 21%.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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