Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27925 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27925 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8185-2022 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , domiciliat i ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME;
-intimato –
Avverso la sentenza n. 1553/2021 d ella Corte d’appello di Palermo, depositata in data 29/09/2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 29/05/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
INDEBITO ARRICCHIMENTO
Procedimento di rendicontazione -Inammissibilità dei motivi di ricorso
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/5/2025
Adunanza camerale
FATTI DI CAUSA
NOME ed NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1553/21, del 29 settembre 2021, della Corte d’appello di Palermo, che -accogliendone solo parzialmente il gravame avverso la sentenza n. 502/15, del 19 ottobre 2015, del Tribunale di Sciacca -ha, per quanto qui di interesse, così provveduto. Previamente qualificata quella proposta dal dante causa degli odierni ricorrenti, nei confronti di NOME COGNOME, come domanda di restituzione dei frutti dei beni di cui era stato nominato custode, ha condannato lo stesso a pagare, quale residuo attivo, la somma di € 26.804,46, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che il loro dante causa NOME COGNOME -una volta conclusosi, con statuizione definitiva in suo favore, in relazione all’eredità di tale NOME COGNOME, una controversia successoria instaurata nei confronti di NOME COGNOME (che del compendio ereditario era stato nominato ‘ medio tempore ‘ custode, all’esito di un provvedimento di sequestro giudiziario) -conveniva in giudizio il suddetto COGNOME . In particolare, l’attore lamentava che il convenuto, nel decennio di durata della sua custodia, non aveva mai presentato il rendiconto, nonostante avesse riscosso la consistente somma di € 150.109.33, a dire di NOME COGNOME indebitamente trattenuta.
Egli, pertanto, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento di quanto sopra, oltre che delle ulteriori somme riscosse -sempre in ragione della custodia dei beni ereditari -per produzione di grano e di olio, nonché per contributi agrari
erogati dall’RAGIONE_SOCIALE, il tutto maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria.
Costituitosi in giudizio il convenuto, che a dire degli odierni ricorrenti avrebbe ammesso -ad onta delle difese spiegate -la ‘ mala gestio ‘, istruita la causa anche attraverso lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di prime cure condannava NOME COGNOME al pagamento della minor somma, rispetto a quella richiesta, di € 12.090,50.
Esperivano gravame -essendo nelle more deceduto l’originario attore gli eredi NOME ed NOME COGNOME, per chiedere, preliminarmente, che il giudice d’appello si dichiarasse ‘incompetente e/o carente di giurisdizione ad approvare il rendiconto del c ustode’ (all’uopo essendosi dovuto provvedere nell’ambito della controversia successoria in cui fu disposto il sequestro). Domandavano, inoltre, gli appellanti che fosse dichiarata la nullità ed inammissibilità della CTU, insistendo, infine, per la condanna di NOME COGNOME al pagamento della complessiva somma di € 150.109,33 , a loro dire indebitamente ed illegittimamente trattenuta.
Il giudice d’appello accoglieva solo in minima parte il gravame, riconoscendo agli appellanti solo l’ulteriore somma di € 11.387,38, per un importo complessivo di € 26.804,46, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.
Avverso la sentenza della Corte panormita hanno proposto ricorso per cassazione NOME ed NOME COGNOME, sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 2), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 65, 676 e 593 cod. proc. civ. e 178 disp. att. cod. proc. civ.
Si censura la sentenza impugnata per aver rigettato l’eccezione d’incompetenza, decisione motivata sul rilievo per cui, ‘terminata la custodia, per il venir meno, con la definizione del giudizio, delle ragioni che l’avevano giustificata o per sopravvenuta revoca dell’incarico al custode, si genera in capo a quest’ultimo l’obbligo specifico di restituire i beni, unitamente ai frutti che essi hanno prodotto, al soggetto che ne risulti titolare in base all’esito del giudizio, obbligo azionabile e tutelabile si a in sede di approvazione del rendiconto che mediante separata azione, petitoria o risarcitoria’.
Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che ‘iniziato l’autonomo giudizio petitorio o risarcitorio’ (come ritenuto dalla Corte territoriale), ‘occorre capire se in tale sede il custode, in via riconvenzionale, possa chiedere il riconoscimento di «compensi e sp ese per la coltivazione dei terreni»’, ciò di cui i ricorrenti dubitano, ‘ritenuto che la relativa regolamentazione giuridica per il riconoscimento o meno, ai sensi dell’art. 593 cod. proc. civ., è demandata al giudice del sequestro, in sede di approvazione del rendiconto’, essendo tale approvazione un’attività ‘sostanzialmente amministrativa’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione ed erronea applicazione dell’art. 2037 cod. civ., nonché degli artt. 65, 521, 522, 560, 593, 676 e 263 cod. proc. civ. e 178 disp. att. cod. proc. civ.
Si censura la sentenza impugnata là dove, nel non accogliere in misura integrale la richiesta di pagamento proposta dal già attore, afferma che la ‘percezione di somme derivante dalla vendita dei frutti del fondo e dei relativi contributi pubblici’, costituisce ‘attività istituzionalmente demandata al custode, nell’ambito del suo più ampio potere -dovere di amministrare i beni’, sicché ‘non può ritenersi indebita’.
Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che ‘la qualificata attività «istituzionalmente demandata al custode», che è e rimane indiscussa, non esime il predetto dal dovere di adempiere ed assolvere diligentemente ai suoi doveri’, tra i quali vi è quello di pres entare il rendiconto. Sicché, ‘nell’inerzia del custode giudiziario nella presentazione ed approvazione del rendiconto’, deve escludersi ‘che lo stesso possa continuare a detenere e beneficiare dei frutti percepiti nell’esercizio della custodia, trattenend oli in proprio’.
D’altra parte, rilevano i ricorrenti, la ‘indebita ritenzione’ che NOME COGNOME avrebbe perpetrato -sarebbe stata ‘espressamente ammessa con la domanda di riconoscimento, «in linea riconvenzionale»’, ovvero quella volta a ‘considerare i compensi e spese spettanti al convenuto per la coltivazione dei terreni’; compensi, viceversa, non dovuti, ai sensi dell’art. 522 cod. proc. civ.
In relazione, in particolare, alle spese invocate per la coltivazione dei terreni, non avendo NOME COGNOME assolto ‘all’onere probatorio di documentare le spese, ex art. 2967 cod. civ., nessun riconoscimento poteva operarsi, prima da parte del c.t.u., al quale era stato conferito l’incarico di effettuare l’accertamento sulla scorta della documentazione in atti prodotta dalle parti’. Il tutto, peraltro, non senza considerare che l’ausiliario avrebbe esorbitato dalle proprie facoltà, ‘straripando in compi ti ed indagini non conferiti con l’ordinanza di incarico’, tanto da aver ‘determinato compensi per il lavoro svolto dal custode per € 79.114,50, oltre € 4.844,63 per surrettizie e fantomatiche spese per lavoro di direzione e, così in totale per costo lavor o € 83.959,13’, oltre a ‘spese varie per € 35.000,00, includendovi anche i lavori di trebbiatura che per prassi viene remunerata in natura; per manutenzione, riparazione ed assicurazione automezzi € 10.000,00; interessi per capitale di
esercizio € 3.723,98; e così in totale determinando un costo totale di produzione in € 135.476,97’.
In merito a tale computo, ‘i ricorrenti contestano le modalità con le quali è stata determinata la componente passiva della gestione dei fondi, con particolare riferimento alla quantificazione dei costi della manodopera necessaria per la coltivazione’, cos ì come ‘hanno contestato il lavoro personale del custode’ che, in ogni caso, ‘costituisce attribuzione di un compenso non dovuto, ex art. 522 cod. proc. civ., non determinato dal Giudice del sequestro’.
Avrebbe, pertanto, errato la Corte territoriale nel giustificare l’attribuzione in favore d i NOME COGNOME ricollegandola ‘alla attività finalizzata a gestire e preservare il bene’, asserendo, ulteriormente, che essa ‘non può giammai tradursi nell’obbligo di curare in prima persona, con le proprie energie lavorative, la coltivazione del fondo’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 183 cod. proc. civ.
Si contesta l’operato dell’ausiliario, giacché esso avrebbe espletato il suo incarico ‘nel modo che ha ritenuto più opportuno, effettuando indagini ed acquisizione di documenti nuovi, come si evince dall’indice della stessa c.t.u., con violazione del dirit to al contraddittorio delle parti’, e, inoltre, senza aver ‘tenuto conto del quesito e dell’incarico conferito, anche in relazione alle domande formulate dal resistente, incorrendo in attività di ultrapetizione’.
È rimasto solo intimato NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
8.1. Il primo motivo è inammissibile.
8.1.1. Nel procedere al suo scrutinio, deve preliminarmente osservarsi che quella esercitata dal dante causa degli attuali ricorrenti non è stata nient’altro che un’azione ex art. 263 e ss.
Di conseguenza, una volta chiusi i procedimenti speciali evocati dal primo motivo di ricorso, a ragione la rendicontazione soggiace alle norme suddette, come ha affermato la Corte territoriale , in particolare evidenziando che, ‘ terminata la custodia, per il venir meno, con la definizione del giudizio, delle ragioni che l ‘ avevano giustificata o per sopravvenuta revoca dell ‘ incarico al custode, si genera in capo a quest’ultimo l’obbligo specifico di restituire i beni, unitamente ai frutti che essi hanno prodotto, al soggetto che ne risulti titolare in base all’esto del giudizio, obbligo azionabile e tutelabile sia in sede di approvazione del rendiconto che mediante separata e apposita azione, petitoria o risarcitoria’.
Si tratta di affermazioni che trovano rispondenza nella giurisprudenza di questa Corte.
Infatti, in base a un principio generale dell ‘ ordinamento, ‘ chi esercita una gestione o svolge un ‘ attività nell ‘ interesse di altri ‘ -e tale è il caso del custode di cose sequestrate -‘ ha il dovere di soggiacere al controllo di questi e, quindi, di rendere il conto, portando a conoscenza, secondo il principio della buona fede, gli atti posti in essere, particolarmente quelli dai quali scaturiscono partite di dare e avere; pertanto, le specifiche ipotesi di obbligo di rendiconto individuate dal legislatore non hanno carattere tassativo e il rendiconto può essere richiesto in tutti i casi in cui da un rapporto di natura sostanziale discende il dovere, legale o negoziale, di una delle parti di far conoscere il risultato della propria attività, in quanto influente nella sfera patrimoniale altrui ‘ (così Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 2017, n. 22063, Rv. 657799-01), essendosi pure precisato che il procedimento ex art. 263 e ss. cod. proc. civ. ‘ si instaura a seguito di domanda di rendiconto proposta in via principale od incidentale ‘ ( Cass. Sez. 1, sent. 23 luglio 2010, n. 17283, Rv. 614140-01; Cass. Sez. 1, sent. 10 novembre 1999, n. 12463, Rv. 531001-01).
8.2. Inammissibile è pure il secondo motivo.
8.2.1. Conduce a tale esito, innanzitutto, la constatazione che i ricorrenti censurano il punto 11 a pag. 4 della motivazione della sentenza impugnata, isolandolo e non considerando quello che la Corte territoriale afferma subito dopo, sicché trattasi di motivo che è inidoneo a censurare l’effettiva motivazione, giusta il principio enunciato da questa Corte secondo cui ‘il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle
motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un «non motivo», è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.’ ( Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01; Cass. Sez. 3 ord. 12 gennaio 2024, n. 1341, Rv. 669796-01; nello stesso senso pure Cass. S.U., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto).
Ciò premesso in termini generali, inammissibile è, comunque, la censura con cui i ricorrenti contestano ‘le modalità con le quali è stata determinata la componente passiva della gestione dei fondi, con particolare riferimento alla quantificazione dei costi della manodopera necessaria per la coltivazione’, perché so llecita un apprezzamento di fatto non consento a questa Corte.
Del pari è inammissibile la doglianza con cui i ricorrenti assumono che NOME COGNOME -essendosi reso inadempiente all’obbligo di presentare il rendiconto non avrebbe avuto diritto a compensi, atteso che la statuizione dei giudici di merito si è sostanziata nel determinare l’importo del credito restitutorio al quale aveva diritto NOME COGNOME, al netto delle spese sostenute per la gestione attiva dei beni sequestrati.
Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che quelli indicati come ‘compensi’, altro non erano che le ‘poste passive’, residuate all’esito dell’attività di gestione dei beni sequestrati , istituzionalmente demandata al custode, da detrarsi da quanto andava restituito ad NOME COGNOME (o meglio, ai suoi eredi).
8.3. Infine, il terzo motivo è anch’esso inammissibile.
8.3.1. Nello scrutinarlo, deve muoversi dalla premessa che in materia di consulenza tecnica d’ufficio, ‘il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio’ (Cass. Sez. Un., s ent. 1° febbraio 2022, n. 3086, Rv. 663786-03).
Di conseguenza, la (pretesa) ‘novità’ dei documenti non è circostanza ostativa all’utilizzazione dei documenti, dovendosi verificare, piuttosto, la loro attinenza al tema d’indagine devoluto all’ausiliario, nonché il rispetto del principio del contradditto rio.
Senonché, il presente motivo di ricorso è proposto in violazione dei n. 4) e 6) del primo comma dell’art. 366 cod. proc. civ. Esso, infatti, è ‘aspecifico’, perché neppure indica quale fosse, appunto, il quesito devoluto al consulente, né i documenti che -esorbitando, appunto, dal quesito -il medesimo avrebbe acquisito, dei quali neppure procede all’individuazione (con ciò, in particolare, violando l’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.).
La necessità, per contro, che il ricorrente in cassazione provveda non solo alla ‘puntuale indicazione’ del contenuto del documento o atto su cui si fonda il ricorso, ma che sia pure ‘specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di mer ito’, è stata ribadita anche dalle Sezioni Unite di questa (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 66440901), e ciò, pur nell’interpretazione ‘non formalistica’ dei requisiti di ammissibilità e procedibilità del ricorso per cassazione che -in
base al testé citato arresto delle Sezioni Unite -s’impone alla luce della sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021.
Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, dato che è rimasto solo intimato NOME COGNOME.
A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 28 maggio 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME