Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30216 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30216 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16479/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura speciale in atti
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso dell’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) per procura speciale in atti
–
contro
ricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Milano in R.G. n. 382/2023 depositato l’ 8/6/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO, curatore dimissionario del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, depositava il rendiconto della propria gestione, nei confronti del quale il nuovo curatore presentava osservazioni e contestazioni.
Una volta fissata l’udienza innanzi al collegio, il Tribunale di Varese, in una composizione comprendente anche il giudice delegato, riteneva
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 l. fall. per contrarietà agli artt. 3, 2 4 e 111 Cost., 6 e 13 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella parte in cui consente al giudice delegato di far parte del collegio dinanzi al quale è decisa l’approvazione del rendiconto a seguito della formulazione di osservazioni e contestazioni, ravvisava l’esist enza di una serie di condotte di mala gestio e, di conseguenza, non approvava il rendiconto.
La Corte d’appello di Milano, con decreto pubblicato in data 8 giugno 2023, rigettava il reclamo presentato ai sensi dell’art. 26 l. fall. dal AVV_NOTAIO.
Condivideva il giudizio di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 l. fall. già espresso dal tribunale, giacché in presenza di contestazioni al rendiconto il giudice delegato aveva rimesso la questione al collegio senza procedere ad alcuna valutazione sulla sua fondatezza, sicché la difesa svolta dal curatore era stata valutata per la prima volta davanti al collegio, sottolineando, inoltre, che la sede cont enziosa dell’approvazione del rendiconto non era luogo deputato alla valutazione nemmeno indiretta di condotte negligenti del medesimo giudice.
Osservava che il decreto del giudice delegato che aveva disposto lo smaltimento e la bonifica non era stato reclamato dal curatore, il quale, pertanto, era tenuto a darvi esecuzione.
Rilevava che pacificamente nel cd. piano RAGIONE_SOCIALE, presente tra gli atti della società e depositato dalla stessa società in bonis presso il Comune di Azzate in data 5 gennaio 2018, erano presenti riferimenti alla gestione di tettoie in amianto e si dava atto della necessità di avvalersi di ditte specializzate iscritte all’RAGIONE_SOCIALE e in possesso delle autorizzazioni di legge.
Riteneva che il fatto che il curatore non avesse preso visione di questi documenti e che nemmeno il direttore dei lavori scelto dal curatore, proprio per effettuare i lavori di demolizione, li avesse visionati fosse
indice di grave negligenza del direttore dei lavori nonché del curatore nella scelta non solo di tale professionista, atteso che è notorio che lo smaltimento di materiale eterogeneo deve avvenire con modalità selettiva, ma anche dell’impresa appaltatrice d ei lavori, il cui oggetto sociale non contemplava lo smaltimento dei rifiuti e che era priva della struttura organizzativa e delle capacità patrimoniali e finanziarie per svolgere l’attività oggetto del contratto.
Aggiungeva che il curatore aveva concesso a terzi l’accesso all’area da bonificare senza chiedere alcuna preventiva autorizzazione agli organi della procedura.
Rilevava l’esistenza del carattere potenzialmente dannoso della condotta contestata, in quanto alcuni danni concreti erano già stati accertati ex post dalla curatela surrogata e dimostrati.
Giudicava che il decreto del tribunale non fosse censurabile nella parte in cui aveva ritenuto errata la ricostruzione degli attivi, in quanto, in mancanza di una relazione illustrativa, il rendiconto con riferimento alle poste attive non consentiva di comprendere quali crediti sarebbero stati verosimilmente soddisfatti in sede di riparto finale.
3. NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. –
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. La procedura controricorrente ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto reso dalla Corte distrettuale all’esito del reclamo ex art. 26 l. fall., in quanto l’oggetto del giudizio è costituito dal rendiconto di gestione del curatore dimissionario, non involge la sua responsabilità, né attiene a diritti soggettivi, ma riguarda un atto ordinatorio interno alla procedura concorsuale.
Una simile difesa non è condivisibile.
4.1 E’ opportuno, innanzitutto, ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto, ai sensi dell’art. 116 l. fall., la verifica contabile e l’effettivo controllo di gestione, cioè la valutazione della correttezza dell’operato del curatore, della sua corrispondenza ai precetti legali e ai canoni di diligenza professionale richiesta per l’esercizio della carica e degli esiti che ne sono conseguiti, la cui contestazione esige la deduzione e la dimostrazione dell’esistenza di pregiudizio almeno potenziale recato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori, difettando altrimenti un interesse idoneo a giustificare l’impugnazione del conto stesso, mentre non occorre che già in tale giudizio sia fornita la prova del danno effettivamente concretizzatosi a seguito della dedotta mala gestio ; le contestazioni rivolte a tale conto debbono a loro volta essere dotate di concretezza e specificità, non potendo consistere in un’enunciazione astratta delle attività cui il curatore si sarebbe dovuto attenere, ma piuttosto indicare puntualmente le vicende e i comportamenti in relazione ai quali il soggetto legittimato imputa al curatore di essere venuto meno ai propri doveri, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate, così da consentire la corretta individuazione della materia del contendere e l’efficace esplicazione del diritto di difesa del curatore cui gli addebiti siano rivolti (cfr. Cass. 7320/2016, Cass. 21653/2010).
4.2 Ciò ribadito, va poi ricordato che l’art. 39 l. fall. subordina la liquidazione del compenso del curatore all’approvazione del rendiconto. La lesione dei diritti soggettivi correlata al provvedimento di approvazione del conto appare così evidente: per il curatore, che non può chiedere la liquidazione (e l’erogazione) del compenso se il rendiconto di gestione non è approvato; per il fallito, che -ad approvazione non avvenuta -consegue che la parte di attivo destinata al curatore resti nella massa e sia distribuibile solo per i creditori; per i creditori, perché possono contare sul piano finale di riparto dell’attivo
solo dopo che il rendiconto di gestione sia stato approvato (o sia definito il relativo giudizio), il che implica che anche la stabilità della distribuzione dipende dal giudicato su tale rendiconto (altra cosa essendo la -solo eventuale -azione di responsabilità che, in tesi, potrebbe anche proseguire post chiusura ex art. 118 l. fall., una volta stabilizzato il giudizio sul conto, dal momento che tale azione costituisce un giudizio autonomo dal primo).
Non può, perciò, essere posta in dubbio la decisorietà della statuizione impugnata, dato che essa è idonea a ‘incidere’ con la particolare efficacia del giudicato su diritti soggettivi delle parti (cfr. Cass., Sez. U., 27073/2016, § 2).
Il primo motivo di ricorso ripropone la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 116 l. fall., per violazione degli artt. 3, 24, e 111 Cost. e contrarietà con il combinato disposto degli artt. 6 e 13 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamen tali dell’Unione europea, già ritenuta infondata dalla Corte d’appello; ciò in ragione del fatto che la norma non vieta al giudice delegato di far parte del collegio che decide sull’opposizione al rendiconto del curatore e così disattende -in tesi di parte ricorrente – la garanzia di terzietà e imparzialità del giudice, senza tener conto che questi partecipa al giudizio di rendiconto malgrado sia un organo coinvolto a vario titolo nell’amministrazione fallimentare.
La questione di legittimità costituzionale posta con il motivo in esame è manifestamente infondata.
Invero, l’art. 25, comma 2, l. fall. fa riferimento all’impossibilità per il G.D. di far parte di collegi investiti di reclami proposti contro i suoi atti di natura decisoria; la norma è coerente con quanto previsto dall’art. 51, n. 4, cod. proc. civ., che prevede un obbligo di astensione per il magistrato che abbia partecipato alla decisione del merito della controversia in un precedente grado di giudizio.
Ora, il principio di terzietà del giudice stabilito dall’art. 111, comma 2, Cost. non si estende fino al punto da imporre che il componente del
collegio del gravame sia un ‘soggetto estraneo ai fatti controversi’ (come pretende parte ricorrente, a pag. 7), ricomprendendo anche ipotesi in cui questi abbia semplicemente conosciuto gli stessi.
In realtà, la previsione dell’incompatibilità endoprocessuale del giudice – posta a tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost. – deve ritenersi costituzionalmente necessaria nel concorso di quattro condizioni, ovvero che: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda ; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) tale decisione abbia natura non “formale”, ma “di contenuto”, ovvero comporti valutazioni sul merito; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento (cfr. Corte Cost. sentenza 64/2022).
Pertanto, il principio di terzietà e imparzialità del giudice, sancito dall’art. 111, comma 2, Cost. e dall’art. 6, par. 1, CEDU, esclude che possa giudicare di una controversia un giudice che abbia un interesse proprio nella causa ovvero che abbia già precedentemente svolto funzioni decisorie nella stessa causa: preclusione, quest’ultima, finalizzata a evitare che la decisione sul merito possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda (v Corte Cost. ord. 28/2023).
La semplice conoscenza dei fatti non contrasta con il principio di terzietà, perché non implica alcuna decisione sulla res iudicanda da sottoporre poi al collegio, né, tanto meno, un interesse proprio nella causa.
Per configurare una violazione del principio di terzietà e imparzialità del giudice è necessaria, quindi, una precedente valutazione, mentre
non basta una mera conoscenza, e questa indispensabile condizione non ricorre rispetto al giudice delegato che prenda parte al collegio che decide sul giudizio di rendiconto, dato che egli nulla ha deciso in precedenza rispetto alla res iudicanda .
7. Il secondo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 116 l. fall. nonché dell’art. 115 cod. proc. civ.: il provvedimento impugnato -assume parte ricorrente – merita di essere cassato perché viola la legge allorquando, nel valutare la diligenza del curatore, si pone in una prospettiva ex post e non ex ante .
La Corte d’appello, in particolare, avrebbe omesso di valutare la ragionevolezza delle scelte compiute dal curatore, secondo il parametro della diligenza del mandatario rapportata alle specificità del caso concreto, così come avrebbe trascurato di valorizz are l’adozione di cautele, il compimento di verifiche e l’assunzione di informazioni preventive da parte del medesimo.
8. Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.
8.1 Si è già ricordato, poco sopra, che il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto la verifica contabile e l’effettivo controllo di gestione, vale a dire la valutazione della correttezza dell’operato del curatore, della sua corrispondenza ai precetti legali e ai canoni della diligenza professionale richiesta per l’esercizio della carica e degli esiti che ne sono conseguiti, la cui contestazione esige la deduzione e la dimostrazione dell’esistenza di pregiudizio almeno potenziale recato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori.
Dunque, il giudizio di rendiconto implica, innanzitutto, una valutazione vuoi dell’esattezza e dell’ordinata tenuta della contabilità gestionale, vuoi della diligenza nella gestione.
La Corte di merito ha escluso, a chiare lettere, che la condotta del curatore fosse stata improntata ai canoni di diligenza a cui egli era tenuto.
Una simile valutazione attiene al merito della controversia e non può essere rivista in questa sede, dato che il ricorso per cassazione conferisce alla Corte di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito (cfr., ex plurimis , Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
8.2 Questa Corte, come ricorda lo stesso mezzo in esame, ha già avuto occasione di chiarire che la sufficienza del ‘danno potenziale’ implica che debba prescindersi dalla verifica dell’impatto realmente pregiudizievole che le condotte hanno avuto, dovendosi semmai verificare, secondo una prospettiva ex ante , se le omissioni contestate avrebbero potuto, in astratto, determinare dei danni (Cass. 5129/2022).
Affermazione, questa, che significa soltanto che per l’accertamento del danno potenziale, sufficiente a non approvare il conto, si debba prescindere dal verificare necessariamente l’esistenza di danni effettivi, ma non che sia impedito al giudice del rendiconto, ai medesimi fini, di valorizzare i danni concreti che risultino essersi già prodotti.
In altri termini, nel giudizio di rendiconto è necessaria la dimostrazione dell’esistenza di un pregiudizio almeno potenziale procurato al patrimonio del fallito o agli interessi dei creditori, difettando in caso contrario un interesse idoneo a giustificare l’impugnazione del conto, mentre non occorre la prova del danno effettivo realizzatosi, la quale tuttavia, ove già raggiunta, corrobora e non certo pregiudica la negazione dell’approvazione.
Il terzo motivo assume, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., in ragione del carattere meramente apparente della motivazione, nella parte in cui ha preso in considerazione il contenuto della polizza assicurativa stipulata
dall’appaltatore a garanzia delle proprie obbligazioni e della relazione illustrativa con riferimento ai crediti.
10. Il motivo è inammissibile.
La motivazione della decisione assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda però percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
La doglianza in esame, nell’assumere il carattere apparente della motivazione in punto di inidoneità della polizza stipulata dall’appaltatore e della relazione illustrativa del curatore, non adduce che le spiegazioni offerte dalla Corte di merito non fossero idonee a rappresentare l’iter logico -intellettivo seguito dal collegio del reclamo per arrivare alla decisione, ma intende confutare la fondatezza della argomentazioni offerte e la plausibilità degli argomenti sviluppati dai giudici di merito alla luce del contenuto della documentazione depositata.
Una simile doglianza non evidenzia, quindi, alcuna criticità dell’apparato argomentativo presente all’interno della decisione impugnata nei limiti attualmente ammissibili, ma è espressione di un mero dissenso rispetto a un apprezzamento di fatto non condiviso dall’odierno ricorrente, apprezzamento che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.
11. Il quarto motivo di ricorso prospetta, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., a causa dell’omessa pronuncia sul motivo di reclamo relativo alle spese liquidate dal Tribunale di Varese.
Il motivo non è fondato. Invero, nel caso in cui, pur in mancanza di espresso esame del motivo di impugnazione relativo alle spese di primo grado, il gravame sia stato interamente rigettato nel merito con condanna dell’impugnante al pagamento integrale delle spese di lite anche del secondo grado, non ricorre l’ipotesi dell’omesso esame di un motivo di appello, né quella del difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cd. minuspetizione), atteso che la condanna alle spese del secondo grado implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicché il motivo di gravame relativo a tale condanna deve intendersi implicitamente respinto e assorbito dalla generale pronuncia di integrale rigetto dell’impugnazione e piena conferma della sentenza di primo grado (Cass. 2830/2021).
In conclusione, per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 10.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 15 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME