Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9422 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 9422 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9476/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente e controricorrente- contro
PRESIDENZA RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliati in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVA) che li rappresenta e difende -controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE -intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO MILANO n. 4056/2017 depositata il 26/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO: accoglimento del primo e quarto motivo , inammissibil ità del secondo motivo e rigetto del t erzo e quinto motivo .
FATTI DI CAUSA
Nel giudizio proposto contro la RAGIONE_SOCIALE, affidataria del servizio predisposto per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania, la RAGIONE_SOCIALE riferiva di non essere stata remunerata per il servizio reso nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2008, in esecuzione dei contratti scaduti il 31 dicembre 2007, essendo l’affidataria tenuta ad assicurarne la prosecuzione al fine di evitare interruzioni o turbamenti della regolarità del servizio ( ex art. 1, comma 7, d.l. n. 245/2005, conv. in L. n. 21/2006 e art. 1, comma 4, O.PCM n. 3479/2005); quindi chiedeva di accertare l’inadempimento contrattuale di NOME e di condannarla al pagamento, se del caso a titolo di indebito arricchimento; inoltre agiva in via surrogatoria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (PCM), sul presupposto che la PCM fosse tenuta al pagamento a favore di NOME, a titolo contrattuale o extracontrattuale.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva domanda di manleva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per quanto eventualmente dovuto a NOME.
Il Tribunale di Milano condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento a favore di NOME e rigettava la domanda surrogatoria di quest’ultima e la domanda di manleva di NOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza 26 settembre 2017, per quanto qui interessa, dichiarava cessata la materia del contendere nel rapporto principale tra NOME e NOME (essendo la lite stata transatta dalle parti) e confermava il rigetto della domanda di manleva di NOME verso la PCM.
In particolare, la Corte osservava che l’adempimento dell’obbligo di rendicontazione era requisito necessario per il pagamento delle fatture; che la commissione nominata ad hoc nel verbale n. 47 del 27.2.2012 aveva valutato l’atto ricognitivo della prestazione resa da RAGIONE_SOCIALE come inidoneo a costituire titolo per l’ammissione del credito alla massa passiva; che la procedura di rendicontazione assumeva una decisiva rilevanza, in relazione al disposto dell’art. 8, comma 2, dell’ordinanza P.C.M. n. 3479/2005, e la stessa appellante lo aveva riconosciuto, avendo introdotto un separato giudizio dinanzi al Tar Lazio per chiedere il completamento dell’iter amministrativo.
Avverso questa sentenza propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE in via principale, resistito dalla RAGIONE_SOCIALE che propone anche ricorso incidentale in punto di giurisdizione, quest’ultimo resistito dalla RAGIONE_SOCIALE. La RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
La causa è stata trasmessa dalla sede camerale all’udienza pubblica, in occasione della quale il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta chiedendo di accogliere il primo e quarto motivo e di dichiarare inammissibile il secondo e infondati il terzo e quinto motivo.
Le parti hanno presentato memorie difensive.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Esaminando prioritariamente il ricorso incidentale, la RAGIONE_SOCIALE deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla pretesa di rimborso della RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti, a favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. p), c.p.a., con un unico motivo che è inammissibile,
essendosi formato il giudicato interno sulla giurisdizione del giudice ordinario.
La sentenza del Tribunale è stata impugnata in appello dalla RAGIONE_SOCIALE sotto il profilo della giurisdizione ma relativamente al diverso rapporto processuale con la RAGIONE_SOCIALE, al fine di contrastare la domanda di pagamento proposta da quest’ultima contro la stessa RAGIONE_SOCIALE. La sentenza è stata impugnata con appello incidentale anche da RAGIONE_SOCIALE in relazione al suo diverso rapporto processuale con la RAGIONE_SOCIALE, cioè per contrastare la domanda di manleva reiterata da RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti, e limitatamente alla diversa questione della competenza territoriale del Tribunale di Milano, senza porre in dubbio la giurisdizione del giudice ordinario.
Ne consegue che sulla giurisdizione del giudice ordinario si è formato il giudicato, essendosi il giudice di primo grado pronunciato sul merito con statuizione impugnata in punto di giurisdizione da un’altra parte (RAGIONE_SOCIALE) e in relazione ad un rapporto processuale (RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE) diverso da quello riguardante la PCM, la quale non può avvalersi del motivo di appello sulla giurisdizione formulato dalla RAGIONE_SOCIALE con riferimento ad altro rapporto processuale; inoltre, l’appello incidentale di PCM avverso la stessa sentenza del Tribunale ha avuto ad oggetto una questione di competenza per territorio che implica acquiescenza alla giurisdizione del giudice adito.
Il giudicato si forma infatti tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito o su questioni (anche di rito) che presuppongono la giurisdizione, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza alla statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicché non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado, perché tale questione non dipende dall’esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal
petitum sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice.
Venendo al ricorso principale, la RAGIONE_SOCIALE deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 1 d.l. n. 245/2005, convertito in L. n. 21/2006, e 12 d.l. n. 90/2008, convertito in L. n. 123/2008, nonché dell’ordinanza P.C.M. n. 3479/2005 e delle ordinanze del Commissario Delegato n. 1/2008 e 48/2008, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che l’adempimento dell’obbligo di rendicontazione dei costi fosse un requisito necessario e non surrogabile, con l’effetto che, in mancanza di rendicontazione, fosse precluso l’accertamento giudiziale dei presupporti per il rimborso, conculcando il diritto di NOME di dimostrare il proprio credito, in violazione dell’art. 24 Cost., la cui prova si desumeva dall’accoglimento in primo grado della domanda di pagamento proposta nei suoi confronti dal fornitore RAGIONE_SOCIALE.
Al primo motivo sono connessi il secondo e quarto motivo, con i quali la RAGIONE_SOCIALE denuncia, rispettivamente, la violazione dell’art. 1720 c.c., per avere la sentenza impugnata violato il suo diritto di vedersi rimborsare, quale mandataria senza rappresentanza, dalla RAGIONE_SOCIALE, quale mandante, i costi sostenuti nell’espletamento del mandato, nonché motivazione assente o apparente, in violazione degli art. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per essersi la Corte di merito limitata a recepire le difese della RAGIONE_SOCIALE, omettendo di prendere in considerazione i documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE a sostegno della domanda.
I motivi in esame sono fondati.
La sentenza impugnata ha rigettato la domanda di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere la rifusione dei costi sostenuti nel periodo decorrente dalla data di risoluzione dei contratti in essere tra il Commissario governativo per l’emergenza rifiuti e la RAGIONE_SOCIALE (affidataria in regime di esclusiva del servizio di smaltimento
dei rifiuti nella Regione Campania) alla stipula dei contratti con il nuovo affidatario del servizio. La sentenza ha ritenuto, nel caso di specie, inapplicabile quanto previsto dal d.l. n. 245/2005, convertito dalla L. n. 21/2006 che, dopo aver disposto, all’art. 1, comma 1, la risoluzione dei contratti in essere con gli affidatari, ha imposto che gli ex affidatari assicurassero la prosecuzione del servizio a titolo gratuito, con la sola copertura dei costi assicurata dalla PCM (art. 1, comma 7) , al fine di assicurare la continuità del servizio di smaltimento rifiuti sino al passaggio di consegne ai nuovi affidatari.
La pronuncia è imperniata sul mancato espletamento della procedura di rendicontazione, prevista dall’art. 1, comma 4, O.P.C.M. n. 3479/05, delle attività svolte dall’affidataria, sul presupposto che la rendicontazione sia condizione necessaria e insostituibile per il rimborso alla RAGIONE_SOCIALE dei pagamenti effettuati a RAGIONE_SOCIALE per lo svolgimento del servizio, escludendo la possibilità di considerare equipollente alla rendicontazione o comunque rilevante l’atto ricognitivo dei crediti maturati da RAGIONE_SOCIALE, sulla cui base la RAGIONE_SOCIALE ha quantificato l’entità dei costi chiesti a rimborso alla PCM.
Così ragionando la Corte territoriale ha, in sostanza, omesso di pronunciarsi sulla richiesta di NOME di accertare la sussistenza del proprio diritto al ristoro delle spese sostenute, richiesta supportata dalla produzione delle fatture emesse dalla fornitrice NOME, dei SAL, del riepilogo dei rifiuti conferiti, dei FIR (formulari di identificazione dei rifiuti) ecc. e da un atto ricognitivo dei crediti maturati da NOME e, quindi, da una complessiva documentazione che avrebbe dovuto essere valutata, o quale possibile ragione della dimostrata effettività, pertinenza e congruità dei costi o, alternativamente, quale possibile motivo per disporre l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio in ordine ai profili della inerenza e adeguatezza degli oneri sostenuti.
In fattispecie analoga questa Corte – dopo avere premesso che «l’attività di cui al presente ricorso si è svolta nel regime successivo alla risoluzione del contratto di affidamento disposta dal d.l. n. 245 del 2005, sicché la RAGIONE_SOCIALE ha agito sotto il controllo dell’Amministrazione dello Stato quale mera esecutrice della stessa. Nel regime successivo alla risoluzione, infatti, la normativa ha disposto la continuità del servizio e dunque la perdurante legittimazione della precedente affidataria, in qualità di mera esecutrice della P.A. fino al nuovo affidamento ad altri soggetti, attività da svolgere senza alcuna remunerazione ma con la copertura dei costi assicurata dalla RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 1, co. 7 del d.l. n. 245 del 2005» – ha confermato l’ordinanza impugnata con la quale la Corte d’appello aveva «svolto un’attenta ed approfondita istruttoria, anche tramite c.t.u., al fine di accertare la congruità e la pertinenza delle spese effettuate da RAGIONE_SOCIALE rispetto alla prosecuzione del servizio di smaltimento». In particolare, la Corte ha osservato che «Nel caso in esame l’analitica indagine compiuta dal c.t.u. (…) assorbe e supera l’onere di rendicontazione imposto dalla legge alla RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il rimborso richiesto. Tale onere, come osservato dalla impugnata sentenza, peraltro, esigerebbe nulla altro che la presentazione degli stessi documenti prodotti in questa sede e consistenti nei contratti e nelle fatture emesse dall’appaltatrice (…), la cui attività è risultata funzionale allo stoccaggio provvisorio e definitivo dei rifiuti solidi (…)» (Cass. ord. n. 11605/2020).
La Corte milanese ha, in sostanza, impropriamente negato che possano trovare applicazione gli ordinari strumenti processuali di accertamento del credito in una fattispecie, quale è quella in esame, non condizionata dall’esercizio di poteri autoritativi: spetta al giudice di merito giudicare sulla fondatezza della domanda, verificando l’esistenza dei presupposti del diritto di credito azionato dal privato nei confronti della pubblica amministrazione,
esaminando a tal fine le prove documentali prodotte e accertando la inerenza e congruità degli oneri oggetto della richiesta di rimborso. Non è possibile configurare la procedura di rendicontazione come una forma di pregiudiziale amministrativa condizionante l’accertamento del credito azionato, né come espressione di una riserva (di amministrazione) al soggetto attuatore per verificare il corretto adempimento delle direttive impartite alle affidatarie del servizio e valutare la congruità delle spese sostenute con riguardo alle condizioni definite nei contratti risolti, ai sensi dell’art. 8, comma 2, O.PCM cit.
Si condivide pertanto la conclusione del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO secondo cui «la sentenza impugnata, avendo omesso di pronunciare sulla domanda intesa ad ottenere una valutazione delle prove documentali della esistenza, pertinenza e congruità delle spese oggetto della richiesta di rimborso, ha quindi nella sostanza precluso che la ricorrente potesse dimostrare la fondatezza della sua pretesa attraverso gli ordinari strumenti di tutela del diritto di credito avanti al giudice civile, il che non può ritenersi ammissibile».
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione del giudicato esterno e del principio del ne bis in idem , in relazione a una sentenza della Corte d’appello di Napoli (n. 4076/2015) che, in fattispecie analoga, avrebbe accertato il diritto di NOME di essere manlevata dalla P.A., pur in assenza della dovuta rendicontazione delle somme versate.
Il motivo è infondato, essendo l’invocato precedente riferibile a una vicenda diversa, riguardante la richiesta di manleva di NOME verso la PCM per quanto pagato in favore di altri soggetti estranei alla causa, come risulta da un esame diretto della sentenza, essendo compito del giudice di legittimità verificare l’effettiva esistenza di una pronuncia avente valore di giudicato esterno, in presenza di una eccezione sul punto (cfr. Cass. n. 25432/2022). Si
tratta quindi di un precedente di merito che non assume valore di giudicato nella controversia in esame.
Il quinto motivo, relativo al governo delle spese del giudizio di appello, è assorbito in conseguenza dell’accoglimento del ricorso.
In conclusione, il ricorso incidentale è inammissibile; il primo, secondo e quarto motivo del ricorso principale sono accolti, il terzo motivo è rigettato e il quinto è assorbito; in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano per un nuovo esame e per le spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quinto motivo del ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 07/03/2024.