Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16140 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16140 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
Oggetto: responsabilità dello stato per tardiva attuazione delle direttive sulla remunerazione degli specializzandi in medicina disparità di trattamento esclusione.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 10623/22 proposto da:
-) NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Cristiano, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
-) Presidenza del Consiglio dei Ministri , in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difes i dall’Avvocatura dello Stato ;
– ricorrenti –
contro
– resistente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma 18 ottobre 2021 n. 6839; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti sono laureati in medicina che si iscrissero ad una scuola di specializzazione in anni compresi tra il 1990 ed il 2000. In data non precisata nel ricorso convennero dinanzi al Tribunale di Roma la
Presidenza del Consiglio dei ministri esponendo che:
-) durante la frequenza del corso di specializzazione erano stati remunerati con una borsa di studio dell’importo di lire 21.500.000, ai sensi dell’art. 6 d. lgs. 8.8.1991 n. 257;
-) tale importo non rappresentava quella ‘adeguata remunerazione’ che gli Stati membri dell’Unione Europea avrebbero dovuto garantire, ai sensi della Direttiva 93/16/CEE.
Chiesero pertanto la condanna delle amministrazioni convenute al pagamento della differenza tra la borsa di studio percepita durante la frequenza della scuola di specializzazione, ed il maggior compenso accordato invece ai loro colleghi iscritti alle scuole di specializzazione a partire dall’anno accademico 2006-2007; in subordine, chiesero di essere risarciti del danno in pari misura.
La Presidenza del Consiglio si costituì eccependo la prescrizione del credito.
Con sentenza 32907/17 il Tribunale di Roma dichiarò prescritto il diritto. La sentenza fu appellata dai soccombenti.
Con sentenza 18.10.2021 n. 6839 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame.
Il giudice di secondo grado rigettò l’eccezione di prescrizione, ma ritenne comunque infondata la domanda.
La Corte territoriale motivò la propria decisione osservando che:
-) nessuna norma dell’ordinamento comunitario ha mai stabilito quale dovesse essere la ‘retribuzione adeguata’ da corrispondere agli iscritti alle scuole di specializzazione in medicina, lasciando sul punto piena autonomia agli Stati membri;
-) l’obbligo di remunerare gli iscritti alle scuole di specializzazione fu adempiuto dallo Stato italiano col decreto legislativo 257 del 1991;
-) la circostanza che solo a partire dall’anno accademico 2006 -2007 sia stato introdotto un trattamento economico differente per natura e più elevato per quantità a favore dei medici specializzandi, ‘ non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno
frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006-2007 ‘;
-) la borsa di studio percepita dai medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione prima del 2005 non è soggetta né a rivalutazione né ad incremento triennale.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dai soccombenti con ricorso fondato su cinque motivi.
La difesa erariale non ha notificato un controricorso, ma solo depositato un ‘atto di costituzione’ al fine di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza d’appello nella parte in cui ha affermato che l’ordinamento comunitario ha lasciato agli Stati membri ampia discrezionalità nello stabilire la misura della remunerazione dovuta agli iscritti alle scuole di specializzazione.
Tale deduzione non è sorretta da altra illustrazione che la seguente: lo Stato italiano adempì in ritardo la Direttiva c.d. ‘ riconoscimento’ .
1.1. Il motivo è temerario.
Vanamente si cercherebbe nelle Direttive 75/362, 75/363 o 82/76 il minimo accenno alla misura della retribuzione. Né sarebbe potuto essere altrimenti, in considerazione delle grandi disparità tra gli Stati membri quanto alle risorse disponibili per remunerare gli iscritti alle scuole di specializzazione.
Quel che sfugge ai ricorrenti è che con le direttive ‘riconoscimento’ del 1975 la (in allora) Comunità Economica Europea non introdusse regole di diritto uniforme sulle scuole di specializzazione (impossibil cosa, alla luce della grande difformità tra le legislazioni dei singoli Stati in materia di corsi di laurea, diplomi di specializzazione, accesso alle professioni mediche).
Lo si legge a chiare lettere nel VII Considerando della Direttiva 75/362, ove si afferma che il coordinamento da essa introdotto non aveva lo scopo di ‘ armonizzare tutte le disposizioni degli Stati membri concernenti la
formazione dei medici specialisti’ , ma solo quello di consentire il reciproco riconoscimento dei diplomi di laurea e di medico specialista, e che pertanto la direttiva intendeva introdurre il reciproco riconoscimento dei diplomi, ma ‘ non un’equivalenza materiale delle formazioni cui si riferiscono tali diplomi ‘ (così si legge nel successivo VIII Considerando ).
1.2. In ogni caso il motivo è anche inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui ‘ la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dall’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al d.lgs. cit. ‘ (così, con ampia motivazione, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13445 del 29/05/2018, Rv. 648963 -01; nello stesso senso, ex permultis , Sez. 3, Ordinanza n. 35376 del 18.12.2023; Sez. 3, Ordinanza n. 1157 del 17.1.2022; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6355 del 14/03/2018, Rv. 648407 -01).
Col secondo motivo i ricorrenti sostengono che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe ‘carente e contraddittoria’.
Nell’illustrazione del motivo si espone una tesi giuridica così riassumibile: chi ha frequentato una scuola di specializzazione dopo il 2005 è stato remunerato in misura doppia rispetto a chi l’aveva frequentata in precedenza.
Inoltre chi ha frequentato una scuola di specializzazione dopo il 2005 si è visto riconoscere le tutele tipiche del lavoro dipendente, delle quali invece non beneficiarono quanti, come gli odierni ricorrenti, si specializzarono negli anni precedenti.
Tanto basterebbe, ad avviso dei ricorrenti, a configurare una responsabilità dello Stato e il conseguente obbligo di incrementare la remunerazione da essi a suo tempo ricevuta.
2.1. Il motivo è manifestamente infondato.
L a sentenza d’appello impugnata in questa sede è stata depositata dopo l’11.9.2012. Al presente giudizio, di conseguenza, si applica il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel chiarire il senso della nuova norma, hanno stabilito che per effetto della riforma ‘ è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione ‘ (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie non solo tali vizi estremi non ricorrono, ma anzi la sentenza impugnata ha una motivazione che più chiara non si potrebbe: la domanda è stata rigettata perché gli attori erano stati comunque remunerati, e le Direttive comunitarie non imponevano agli Stati membri una soglia minima per la remunerazione.
2.2. Se poi, benevolmente, si volesse qualificare ex officio la censura prospettata col secondo motivo come denuncia d’un errore di diritto ( privilegiando l’illustrazione del motivo invece che la sua intitolazione) , il motivo non sarebbe meno infondato, per due ragioni.
2.2.1. La prima ragione è che i ricorrenti discorrono in astratto di ‘ parità di trattamento’ invocando una nozione semplicistica del principio di uguaglianza, che non ha riscontro nelle giurisprudenza costituzionale.
Il principio di uguaglianza è l’ unicuique suum tribuere, non un indifferenziato livellamento di situazioni eterogenee. E la prima e più importante circostanza di differenziazione delle fattispecie giuridiche è per l’appunto il fattore ‘tempo’ (principio, quest’ultimo, che la Consulta viene ribadendo da oltre trent’anni, a partire almeno da Corte cost. 25.5.1990 n. 272, secondo cui ‘ non contrasta con il principio di uguaglianza un trattamento differenziato in relazione a momenti diversi nel tempo ‘ ) .
Pertanto la circostanza che il legislatore, in epoche diverse, abbia ritenuto di prevedere remunerazioni di importo diverso per i frequentanti delle scuole di specializzazione non è una disparità di trattamento in iure , ma il frutto di una scelta normativa, che come atto politico è rimessa alla discrezionalità del legislatore.
2.2.2. La seconda e più grave ragione di infondatezza del motivo in esame è che non si vede in che modo il ‘principio di uguaglianza’ venga in rilievo nel caso di specie.
Gli odierni ricorrenti infatti con l’atto di citazione hanno chiesto:
di ottenere una paga supplementare rispetto a quella già percepita durante la scuola di specializzazione;
in alternativa, di essere risarciti del danno da inattuazione d’una direttiva comunitaria.
La prima domanda è manifestamente infondata perché basata su una norma entrata in vigore a distanza di anni dal completamento del ciclo di studi, quando dunque la situazione giuridica era esaurita. Ma una violazione del principio di ‘parità di trattamento’ è concepibile rispetto a soggetti che si trovino in posizioni paragonabili, mai rispetto a diritti quesiti. A seguire il singolare ragionamento della difesa dei ricorrenti, dovrebbe pervenirsi a sospettare di illegittimità costituzionale l’art. 1284 c.c., per il solo fatto che il saggio legale degli interessi nel 1992 era del 10%, ed oggi del 2%. Tale
reductio ad absurdum svela l’insostenibilità degli argomenti spesi dalla parte ricorrente.
La seconda domanda è ancora più fragile della prima, dal momento che una responsabilità dello Stato per l’adozione d’un atto normativo è concepibile solo se esista una norma sovranazionale distonica rispetto alla legge nazionale. Ma in subiecta materia , per quanto già detto, nessuna norma di diritto comunitario imponeva allo Stato italiano di remunerare gli iscritti alle scuole di specializzazione in una data misura.
Sicché, essendo l’atto legislativo libero nel fine, nemmeno è concepibile rispetto ad esso una ‘condotta colposa’ ed un conseguente illecito civile per avere adottato una legge invece che un’altra.
Col terzo motivo i ricorrenti denunciano il ‘vizio di difetto di motivazione’. Sostengono che ‘ il mero riferimento a ragioni economiche è insufficiente a giustificare il sacrificio di un diritto fondamentale come quello in oggetto ‘.
Nell’illustrazione del motivo si sostiene che l’avere gli odierni ricorrenti percepito durante la frequenza della scuola di specializzazione una remunerazione pari alla metà di quella corrisposta ai loro colleghi a partire dal 2005 ‘ debba senz’altro essere considerata come illegittima violazione di un diritto fondamentale della persona ‘.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato per le medesime ragioni esposte ai §§ 2.1 e seguenti. Ad abundantiam, rileva la Corte che in ogni caso la pretesa avanzata dai ricorrenti con questo motivo sarebbe stata manifestamente infondata nel merito, alla luce di quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza pronunciata da Cass. Sez. U., 19/07/2024, n. 20006.
Il quarto motivo è manifestamente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi .
4.1. I ricorrenti lamentano che la C orte d’appello avrebbe ‘ erroneamente inquadrato ‘ il loro rapporto lavorativo. Ma la Corte d’appello ha rigettato la domanda sul presupposto che non vi fu inadempimento, da parte dello Stato italiano, della Direttiva 82/76, sicché nessun rilievo può avere la qualificazione del rapporto intercorrente tra lo specializzando e la scuola di specializzazione.
Col quinto motivo i ricorrenti censurano l’omessa pronuncia su un motivo d’appello, segnatamente quello inteso a censurare la condanna alla rifusione delle spese di lite pronunciata a loro carico dal Tribunale.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Denunciare in sede di legittimità l’omessa pronuncia su un motivo d’appello è un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, ‘ si fonda’ su ll’atto di gravame del cui mancato esame il ricorrente si duole.
Quando il ricorso si fonda su atti processuali , il ricorrente ha l’onere di ‘ indicarli in modo specifico ‘ nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.).
‘Indicarli in modo specifico’ vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo indirettamene in modo esaustivo e con indicazione della parte corrispondente alla riproduzione;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Di questi tre oneri, i ricorrenti non ne hanno assolto alcuno.
Il ricorso, infatti, non riassume né trascrive il contenuto del motivo d’appello concernente le spese; né indica l’esatta localizzazione del suddetto atto d’appello.
Non è luogo a provvedere sulle spese, in considerazione della indefensio dell’amministrazione resistente.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della