Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4280 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4280 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
Oggetto: danno da mancata attuazione delle Direttive 75/363 e 75/362 -specializzazione conseguita negli anni 1996-2000 -legittimazione passiva dello Stato – esclusione.
ha pronunciato la seguente
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 31067/21 proposto da:
-) Presidenza del Consiglio dei Ministri , in persona del Presidente del consiglio pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ;
– ricorrente –
contro
-) NOME COGNOME domiciliata ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma 12 ottobre 2021 n. 6693; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
viste le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
Nel 1996 NOME COGNOME si iscrisse ad una scuola di specializzazione post lauream in ‘psicologia clinica’. Il corso di specializzazione si concluse nel 2000.
Quindici anni dopo il conseguimento della specializzazione, NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, deducendo:
-) che durante la frequenza della scuola di specializzazione non aveva percepito alcuna remunerazione;
-) che le Direttive comunitarie 75/362, 75/363 e 82/76 avevano imposto agli Stati membri di garantire una adeguata remunerazione a quanto frequentassero scuole di specializzazioni dopo la laurea in medicina;
-) che lo Stato italiano aveva recepito tardivamente queste direttive in modo completo solo a partire dal 2007; e comunque ella non aveva percepito ‘ neanche la borsa di studio di cui all’art. 6 del d. lgs. 257/91’ .
Chiese pertanto la condanna dello Stato italiano al risarcimento del danno consistito nella mancata remunerazione durante la frequenza della scuola di specializzazione; in subordine formulò domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento.
La Presidenza del Consiglio si costituì eccependo la prescrizione del diritto e l’assenza della specializzaz i one in ‘psicologia clinica’ tra quelle per le quali le Direttive 75/362 e 75/363 imponevano agli stati membri di remunerare i frequentanti.
Con sentenza 9988/18 il Tribunale di Roma accolse quest’ultima eccezione e rigettò la domanda.
La sentenza fu appellata dalla parte soccombente.
Con sentenza 12.10.2021 n. 6693 la Corte d’appello di Roma accolse in parte il gravame.
La Corte ritenne che:
-) la specializzazione in psicologia clinica, nel momento in cui NOME COGNOME si iscrisse alla scuola di specializzazione, non figurava tra le specializzazioni elencate dalle direttive comunitarie e sopra indicate, e pertanto rispetto ad essa non esisteva un obbligo dello Stato italiano di
introdurre norme che accordassero ai frequentanti il diritto ad un’adeguata remunerazione;
-) tuttavia con decreto ministeriale 11 febbraio 1999 la specializzazione in psicologia clinica venne inclusa tra quelle per le quali i frequentanti avevano diritto alla remunerazione;
-) di conseguenza NOME COGNOME aveva diritto ad essere risarcita del danno da mancato pagamento della remunerazione soltanto per il periodo compreso tra l’11 febbraio 1999 e il conseguimento del diploma di specializzazione (14 dicembre 2000).
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dalla presidenza del Consiglio dei Ministri con ricorso fondato su un motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’amministrazione ricorrente deduce che:
-) non essendo la specializzazione in psicologia clinica compresa negli elenchi di cui alle direttive 75/362 e 75/363, NOME COGNOME non aveva ratione temporis né diritto a percepire una remunerazione, né diritto ad essere risarcita dallo Stato, mancando l’inadempimento di quest’ultimo a qualsiasi obbligo comunitario;
-) la circostanza che con d.m. 11 febbraio 1999 il diritto alla remunerazione sia stato esteso anche ai frequentanti le scuole di specializzazione in psicologia clinica fu frutto di una scelta discrezionale del legislatore italiano, non poteva avere effetto retroattivo, e non poteva far sorgere una responsabilità dello Stato per inadempimento di direttive comunitarie.
1.1. Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni di inammissibilità ex nn. 3 e 6 dell’art. 366 c.p.c. formulate dalla parte resistente, atteso che, rispettivamente, l’esposizione del fatto è sufficiente allo scrutinio del motivo,
N.R.G.: 31067/21
Camera di consiglio del 3 dicembre 2024
e l’illustrazione contiene le indicazioni relative agli atti sufficienti allo stesso fine.
1.2. Quando NOME COGNOME si iscrisse alla scuola di specializzazione (1996) lo Stato italiano non era più inadempiente all’obbligo di introdurre nel proprio ordinamento norme che prescrivessero la corresponsione di una adeguata remunerazione agli iscritti alle scuole di specializzazione. Quell’obbligo, infatti, era stato adempiuto con l’art. 6, comma 1, d. lgs. 257/91.
Da ciò discendono due conseguenze.
1.3. La prima è che se NOME COGNOME non fu retribuita durante la frequenza della scuola di specializzazione, ciò andava ascritto a responsabilità dell’Università, e non costituiva un fatto illecito “comunitario” da parte dello Stato.
1.4. La seconda è che se può imputarsi allo Stato italiano di avere dato tardiva attuazione alla Direttiva 1975/363 (come modificata dalla Direttiva 1982/76), nella parte che imponeva agli Stati membri l’obbligo di remunerare i dottori specializzandi, certamente non gli si può rimproverare a titolo di «illecito comunitario» di non avere ampliato il novero delle specializzazioni equipollenti rispetto a quelle elencate dall’ordinamento comunitario , dal momento che tale ampliamento per gli Stati membri costituiva una facoltà, e non un obbligo loro imposto dalla normativa comunitaria (v. in termini Sez. 3, Ordinanza n. 25414 del 26.8.2022; Cass. 26/07/2019, n. 20303, e soprattutto l’ampia motivazione di Cass. Sez. U., 14/10/2024 ).
Per la ragione appena indicata non possono condividersi le conclusioni della Procura Generale.
La ritenuta fondatezza del ricorso non impone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito rigettando la domanda proposta da NOME COGNOME
non sussistendo a carico dello Stato la condotta contra ius posta dall’attrice a fondamento della propria domanda.
La decisione nel merito impone a questa Corte di regolare, oltre le spese del presente giudizio di legittimità, anche quelle del giudizio di appello (la regolazione delle spese del primo grado, infatti, resta ferma per effetto del rigetto del gravame).
3.1. Tali spese, essendo stata rigettata la domanda, vanno calcolate in base al petitum , non in base al decisum , e dunque in base al valore di euro 90.800 (cfr. controricorso, p. 2, ultimo rigo).
Ritiene tuttavia la Corte che la novità della questione giustifichi la compensazione delle suddette spese per metà.
La restante metà va posta a carico della parte soccombente, ex art. 385 c.p.c., ed è liquidata nel dispositivo.
P.q.m.
(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto da NOME COGNOME
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore della Presidenza del consiglio dei ministri della metà delle spese del grado di appello, che si liquidano già al netto della dimidiazione, nella somma di euro 2.350, oltre spese prenotate a debito;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore della Presidenza del consiglio dei ministri della metà delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano già al netto della dimidiazione nella somma di euro 1.400, oltre spese prenotate a debito;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza , con riferimento al giudizio d’appello, dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’appello a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della