Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2239 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2239 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29436/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME, COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE , elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrenti-
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA, MINISTERO DELL’ ECONOMIA FINANZE, rappresentati e difesi per legge dall’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
MEDICI SPECIALIZZANDI.
R.G. 29436/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 10/12/2024
C.C. 14/4/2022
(NUMERO_DOCUMENTO , elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 3351/2022 depositata il 18/05/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
I dottori NOME COGNOME NOME COGNOME e gli altri indicati in epigrafe convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della salute, il Ministero dell’istruzione e il Ministero dell’economia e finanze chiedendo che fosse riconosciuto il loro diritto a percepire un’adeguata remunerazione in relazione al periodo di specializzazione da loro positivamente concluso.
A sostegno della domanda esposero, tra l’altro, di essersi laureati in medicina e di aver conseguito ciascuno una diversa specializzazione, percependo gli emolumenti di cui all’art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257. Aggiunsero che il legislatore nazionale aveva stabilito, con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 -di recepimento, tra l’altro, della direttiva 93/16/CE -un incremento del compenso in favore dei medici specializzandi, incremento che aveva avuto effettiva attuazione, però, solo con l’art. 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con decorrenza dall’anno accademico 2006 -2007. Conclusero, pertanto, nel senso che tale aggiornamento doveva essere a loro riconosciuto, con rivalutazione delle relative somme, essendosi svolti i periodi di specializzazione in epoca antecedente l’anno accademico 2006 -2007.
Chiesero, poi, che, in applicazione dell’art. 6 cit., fosse riconosciuto il loro diritto all’indicizzazione triennale della borsa di studio e all’adeguamento annuale della medesima.
Si costituirono in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri convenuti, eccependo il difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto, e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda rilevando che l’importo dell’adeguata remunerazione è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, con conseguente esclusione dell’ipotizzata violazione delle norme comunitarie.
La decisione è stata impugnata dai medici soccombenti e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 maggio 2022, ha rigettato il gravame, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
La Corte territoriale ha rigettato la domanda principale dei medici rilevando che, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia UE e della Corte di cassazione, il recepimento delle direttive dell’Unione europea in materia di medici specializzandi doveva ritenersi validamente compiuto già con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 257 del 1991; ragione per cui l’aumento dei compensi stabilito col d.lgs. n. 368 del 1999 e attuato effettivamente solo a decorrere dall’anno accademico 2006 -2007 non faceva insorgere in capo a coloro i quali avevano frequentato i corsi in anni precedenti il diritto all’applicazione retroattiva della nuova e più favorevole disciplina. La direttiva 93/16/CEE, d’altra parte, nulla aveva innovato rispetto al passato, posto che le direttive 75/326 e 75/363 CEE non contenevano alcuna definizione comunitaria del livello della remunerazione da considerare adeguato.
A tale conclusione la Corte romana è pervenuta anche in base al rilievo che la prestazione di lavoro dei medici specializzandi non poteva essere equiparata a quella di un lavoratore subordinato.
Da tali argomentazioni la Corte di merito ha tratto la conclusione per cui non era necessario rimettere questioni di interpretazione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, come sollecitato nell’atto di impugnazione.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propongono ricorso i dottori NOME COGNOME, NOME COGNOME e gli altri indicati in epigrafe, con unico atto affidato a due motivi.
Resistono la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri con un unico controricorso.
Fissata per la decisione la camera di consiglio del 23 aprile 2024, questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 28 giugno 2024, n. 17920, ha disposto il rinvio della decisione a nuovo ruolo in attesa che le Sezioni Unite si pronunciassero sulla questione rimessa dall’ordinanza interlocutoria 14 marzo 2024, n. 6928, rilevante ai fini del secondo motivo di ricorso.
La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, dell’art. 10 Cost., delle direttive nn. 82/76, 75/363, 75/362 e 93/16, degli artt. 37, 38, 39, 40, 41, 45 e 46 del d.lgs. n. 368 del 1999, dell’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991, dell’art. 11 della legge n. 370 del 1999, dell’art. 8 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, dell’art. 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, dell’art. 10 Cost. e degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle preleggi.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle norme già richiamate nel primo motivo nonché dell’art. 7 del decreto -legge 19 settembre 1992, n. 384,
convertito, con modifiche, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, dell’art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dell’art. 1, comma 33, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, dell’art. 32, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, dell’art. 22 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, dell’art. 36 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
I due motivi sostengono che soltanto con l’integrale attuazione del d.lgs. n. 368 del 1999 sarebbe stato pienamente recepito il contenuto delle direttive dell’Unione europea circa l’equa remunerazione dei medici specializzandi; e aggiungono che, in base all’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991, ai titolari delle relative borse di studio spetterebbero sia l’indicizzazione annuale in base al tasso programmato di inflazione che la rideterminazione triennale in funzione del miglioramento tabellare minimo di cui alla contrattazione collettiva del personale medico dipendente del servizio sanitario nazionale.
Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis n. 1) cod. proc. civ., posto che sul punto la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata.
3.1. Con la sentenza 28 giugno 2018, n. 17051 (seguita da numerosissime altre conformi, tra cui le ordinanze 27 febbraio 2019, n. 5698, 15 ottobre 2019, n. 26074, 28 febbraio 2020, n. 5455, 12 novembre 2020, n. 25463, 21 gennaio 2021, n. 1114, 17 novembre 2021, n. 34882, 16 settembre 2022, n. 27287, e 30 aprile 2024, n. 11630), questa Corte ha affrontato un caso identico a quello in esame, pervenendo a conclusioni alle quali la pronuncia odierna intende dare piena e convinta continuità. Tali conclusioni, peraltro, sono in linea con un orientamento già assunto dalla Sezione Lavoro di questa Corte (v., tra le altre, le sentenze 16 gennaio 2014, n. 794, 4 giugno 2014, n. 15362, e, più di recente, la sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449).
3.2. Giova ricordare alcuni fondamentali passaggi normativi.
Con l’art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il legislatore italiano, dando attuazione, sia pure tardivamente, al disposto della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio, stabilì in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione una borsa di studio determinata per l’anno 1991 nella somma di lire 21.500.000. Tale somma era destinata ad un incremento annuale, a decorrere dal 1° gennaio 1992, sulla base del tasso programmato di inflazione, incremento fissato ogni triennio con decreto interministeriale Il meccanismo di adeguamento venne peraltro bloccato successivamente, con effetto retroattivo, dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 432 del 1997), e da altre leggi successive (v. sul punto, ampiamente, la citata sentenza n. 4449 del 2018).
In seguito, dando attuazione alla direttiva n. 93/16/CE, il legislatore nazionale intervenne sulla materia con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, che raccolse in un testo unico le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363 CEE, con le relative successive modificazioni. Tale decreto -in seguito ampiamente modificato dall’art. 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 -riorganizzò l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato ‘contratto di formazione -lavoro’ e poi ‘contratto di formazione -specialistica’, art. 37 del d.lgs. cit.), da stipulare e rinnovare annualmente tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed in una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali (art. 39 d.lgs. cit.). Questo contratto, peraltro, come la Sezione Lavoro di questa Corte ha ribadito in plurime occasioni, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di
parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (v. in tal senso l’ordinanza 27 luglio 2017, n. 18670, sulla scia di un consolidato orientamento, richiamata dall’ordinanza 14 marzo 2018, n. 6355). In realtà, però, il nuovo meccanismo retributivo di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 divenne operativo solo a decorrere dall’anno accademico 20062007 (art. 46, comma 2, d.lgs. cit., nel testo risultante dalle modifiche introdotte prima dall’art. 8 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, e poi dal già citato art. 1, comma 300, della legge n. 266 del 2005); mentre le disposizioni del d.lgs. n. 257 del 1991 rimasero applicabili fino all’anno accademico 2005 -2006. Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica fu poi in concreto fissato con i d.P.C.m. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007.
3.3. Compiuta questa breve premessa normativa, il cuore della questione sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi consiste nello stabilire 1) se la direttiva n. 93/16/CE abbia avuto o meno una portata innovativa rispetto a quanto stabilito dalle precedenti direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE; 2) se il concetto di retribuzione adeguata sia mutato nel passaggio dalle precedenti alla più recente direttiva; 3) se e quando lo Stato italiano abbia adempiuto all’obbligo di garantire ai medici specializzandi una retribuzione adeguata.
Le pronunce di questa Corte in precedenza richiamate hanno già risposto a tali domande nei termini che la decisione odierna intende ulteriormente confermare. Ed invero la direttiva n. 93/16/CE, come risulta dalla sua stessa formulazione (si veda, in proposito, il primo Considerando ), non ha una portata innovativa, prefiggendosi soltanto l’obiettivo, «per motivi di razionalità e per
maggiore chiarezza», di procedere alla codificazione delle tre suindicate direttive «riunendole in un testo unico»; il che risulta ancor più evidente per il fatto che la direttiva in questione lascia «impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle difettive» di cui all’Allegato III, parte B (così l’ultimo dei Considerando ). È opportuno ricordare, del resto, che il termine «adeguata rimunerazione» compare per la prima volta nell’Allegato alla direttiva n. 82/76/CEE e si ritrova, senza alcuna modificazione, nell’Allegato I alla direttiva n. 93/16/CE, per cui è dalla scadenza del termine di adempimento della direttiva del 1982 che l’esigenza di tale adeguatezza divenne regola di obbligatorio recepimento nel diritto interno.
Tuttavia -e questo è il punto fondamentale che gli odierni ricorrenti non hanno colto -lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata rimunerazione già con l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991; la normativa dell’Unione europea, infatti, non contiene, né potrebbe essere diversamente, alcuna definizione di quale sia la rimunerazione adeguata, la cui soglia deve essere fissata dagli Stati membri nell’esercizio della propria discrezionalità, la quale trova un inevitabile limite anche nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica. Come ha efficacemente spiegato la sentenza n. 4449 del 2018 della Sezione Lavoro, il legislatore, «nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del d.lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del d.lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa (Cass. 15362/2014), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato (cfr. punti nn. 23 e 24 di questa sentenza). Né vale argomentare che lo stesso legislatore italiano, intervenendo in materia, ha modificato la legislazione del 1991 con l’introduzione di
una nuova normativa nel 1999 incentrata sullo schema della formazione-lavoro; anche ammettendo che il nuovo sistema sia più congeniale a disciplinare la specifica condizione dei medici specializzandi, non può desumersi dalla sola successione di leggi diverse che la precedente disciplina non fosse idonea in ordine al recepimento delle direttive ed a dare effettiva tutela al diritto ivi affermato dell’adeguata retribuzione». In altri termini, in conformità all’ordinanza n. 6355 del 2018, va affermato che il «nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il decreto legislativo n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla legge n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi».
Ragione per cui l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del decreto legislativo n. 257 del 1991, come del resto la Corte di giustizia dell’Unione europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999 in causa C-131/97, COGNOME, e 3 ottobre 2000 in causa C-371/97, Gozza); e il d.lgs. n. 368 del 1999 è intervenuto in un ambito di piena discrezionalità per il legislatore nazionale.
3.4. Alla luce di quanto detto fin qui, pare evidente che non c’è alcuno spazio per invocare ipotetiche violazioni del diritto dell’Unione europea e che la causa promossa dai ricorrenti è finalizzata, in realtà, ad ottenere l’applicazione retroattiva del d.lgs. n. 368 del 1999. Ne consegue che ogni questione non può che
riguardare «esclusivamente l’ordinamento interno» (ordinanza n. 6355 del 2018). Ma, a prescindere dal fatto che nessuna doglianza risulta essere stata avanzata sotto tale profilo in sede di merito, osserva il Collegio che il differimento dell’entrata in vigore della normativa di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 -che è una normativa più favorevole -rientrava nella discrezionalità del legislatore, sicché il farla scattare dal 2007 non solo non ha potuto determinare alcuna situazione di tardivo recepimento del diritto comunitario, ma nemmeno ha violato l’art. 3 Cost. sul versante della ragionevolezza, in quanto una normativa di favore e migliorativa rispetto ad una vigente può essere fatta entrare in vigore dal legislatore nazionale nel momento in cui, secondo la discrezionalità che gli appartiene, egli lo reputi opportuno.
Non si pone, perciò, alcuna questione di rinvio pregiudiziale e nemmeno alcuna questione di costituzionalità di diritto interno.
3.5. Da tale consolidato orientamento la Corte non vede ragioni per discostarsi.
Il secondo motivo di ricorso è pure inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis n. 1) cod. proc. civ., posto che anche su questo punto la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata.
La Corte d’appello ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, del d. lgs. n. 257 del 1991, in quanto l’art. 32, comma 12, della legge n. 449 del 1997, con disposizione confermata dall’art. 36, comma 1, della legge n. 289 del 2002, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6 (ordinanza 27 luglio 2017, n. 18670, sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449, ribadita
da altre successive, fra cui l’ordinanza 20 maggio 2019, n. 13572, e le ordinanze 16 settembre 2022, n. 27287, e 23 novembre 2022, n. 34403).
È stato anche detto che il blocco di tale incremento non può dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato (così le Sezioni Unite, sentenza 16 dicembre 2008, n. 29345, la sentenza 15 giugno 2016, n. 12346, l’ordinanza 27 luglio 2017, n. 18670 e la sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449, nonché le ordinanze 19 ottobre 2020, n. 22633, 1° aprile 2021, n. 9104, e 22 marzo 2022, n. 9215).
Tale giurisprudenza ha ricevuto anche l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 19 luglio 2024, n. 20006, e da questo consolidato orientamento la Corte non vede ragioni per discostarsi.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, attesa la pluralità dei ricorrenti, secondo i criteri di cui all’ordinanza 17 aprile 2024, n. 10367, ribaditi dalla sentenza delle Sezioni Unite 14 ottobre 2024, n. 26603.
Non può essere accolta, invece, l’ulteriore richiesta avanzata nel controricorso di condanna dei ricorrenti per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., posto che la rimessione alle Sezioni Unite della questione oggetto del secondo motivo di ricorso non consente di pronunciare tale condanna.
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 15.300, più spese prenotate a debito,
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di tutti i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza