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Remunerazione medici specializzandi: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha negato la remunerazione a un medico specializzando il cui corso non era esplicitamente previsto dalle direttive europee vigenti all’epoca. La Corte ha stabilito che l’inclusione del corso nelle liste UE è un fatto costitutivo del diritto, che il giudice deve sempre verificare. Un successivo riconoscimento nazionale di conformità del corso non è sufficiente a fondare la richiesta di risarcimento del danno per la mancata attuazione delle direttive.

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Pubblicato il 1 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Remunerazione Medici Specializzandi: La Cassazione Nega il Risarcimento per Corsi non Previsti dalle Direttive UE

La questione della remunerazione medici specializzandi per i corsi frequentati prima della completa attuazione delle direttive comunitarie in Italia è un tema dibattuto da decenni. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha consolidato un orientamento restrittivo, negando il diritto al risarcimento per i medici i cui corsi di specializzazione, sebbene successivamente riconosciuti conformi a livello nazionale, non rientravano negli elenchi originari delle direttive europee.

I Fatti del Caso: Il Medico e la Richiesta di Risarcimento

Un medico, che aveva conseguito la specializzazione in oncologia medica nel 1993, aveva citato in giudizio lo Stato italiano per ottenere il riconoscimento della remunerazione dovuta per l’attività svolta durante il corso di specializzazione. La richiesta si fondava sulla mancata attuazione da parte dell’Italia della direttiva CEE 82/76.

In primo grado, il Tribunale aveva parzialmente accolto la domanda, riconoscendo il diritto del medico al risarcimento del danno. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, respingendo la richiesta. La motivazione della Corte territoriale si basava su un duplice rilievo: la specializzazione in oncologia non era inclusa negli elenchi delle direttive europee e il medico non aveva fornito prova che il corso frequentato avesse, di fatto, caratteristiche analoghe a quelle delle scuole di specializzazione comuni ad altri Stati membri.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il medico ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due principali motivi:
1. Vizio di ultra petita: secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe deciso su un’eccezione – quella della non inclusione della specializzazione negli elenchi UE – mai sollevata tempestivamente dallo Stato nel giudizio di primo grado.
2. Violazione di legge: il ricorrente lamentava la mancata considerazione dell’equipollenza di fatto della sua specializzazione, anche alla luce di un decreto ministeriale del 1991 che aveva inserito l’oncologia tra le specializzazioni conformi alle norme comunitarie.

La Remunerazione Medici Specializzandi e l’Onere della Prova

La Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo. La Corte ha chiarito un punto cruciale di procedura civile: l’inclusione del corso di specializzazione negli elenchi allegati alle direttive europee (o la sua equipollenza di fatto) non costituisce un fatto impeditivo che la parte convenuta deve eccepire, ma rappresenta un fatto costitutivo del diritto del medico.

In altre parole, è il medico che agisce in giudizio a dover allegare e, se necessario, provare che la sua specializzazione rientra tra quelle tutelate dalle direttive. Di conseguenza, il giudice ha il dovere di verificare la sussistenza di questo requisito fondamentale in ogni fase del processo, anche d’ufficio, senza che sia necessaria una specifica contestazione della controparte.

Le Motivazioni: Il Principio delle Sezioni Unite

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su un recente e fondamentale principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 26603/2024). Le Sezioni Unite hanno stabilito che i medici che, prima del 1991, hanno iniziato a frequentare una scuola di specializzazione non contemplata dalle direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE (e successive integrazioni) non hanno diritto al risarcimento del danno per tardiva attuazione.

Questo principio si applica anche se la specializzazione è stata successivamente inclusa tra quelle qualificate come ‘conformi alle norme delle Comunità economiche’ da un atto normativo nazionale, come il d.m. 31 ottobre 1991. La successiva conformità, quindi, non ha efficacia retroattiva ai fini del diritto al risarcimento.

Le Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

L’ordinanza in esame rigetta il ricorso del medico, confermando la decisione della Corte d’Appello. La pronuncia si allinea al principio consolidato dalle Sezioni Unite, chiudendo di fatto le porte alle richieste di risarcimento per tutti quei medici che hanno frequentato corsi di specializzazione non originariamente inclusi nelle direttive comunitarie e per i quali non sia stata fornita in giudizio una prova rigorosa della loro ‘equipollenza di fatto’. Questa decisione rafforza un’interpretazione restrittiva dei presupposti per la remunerazione medici specializzandi, ponendo un onere probatorio significativo a carico dei professionisti che intendono far valere i propri diritti in sede giudiziaria.

Un medico ha diritto alla remunerazione per una specializzazione non inclusa nelle direttive europee dell’epoca?
No, secondo la Corte di Cassazione, il medico non ha diritto al risarcimento se la specializzazione non era espressamente contemplata dalle direttive 75/362/CEE e successive, e se non è stata dimostrata la sua equipollenza di fatto a quelle previste.

Il fatto che lo Stato abbia successivamente riconosciuto una specializzazione come ‘conforme’ alle norme UE cambia qualcosa?
No, la Corte ha stabilito che la successiva inclusione della specializzazione tra quelle ‘conformi alle norme delle Comunità economiche’ da parte della legislazione nazionale (come il d.m. 31 ottobre 1991) non è rilevante per far sorgere il diritto al risarcimento per il periodo precedente.

La mancata inclusione della specializzazione nelle liste UE è un’eccezione che la difesa deve sollevare in primo grado?
No, la Corte chiarisce che l’inclusione nelle liste (o la sua equipollenza) è un ‘fatto costitutivo’ del diritto del medico. Pertanto, il giudice deve verificarne la sussistenza in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio, e non si tratta di un’eccezione che, se non sollevata, non può più essere esaminata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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