Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33494 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
1. NOME; 2. COGNOME NOME; 3. COGNOME NOME; 4. COGNOME NOME; 5. NOME; 6. COGNOME NOME; 7. NOME; 8. NOME; 9. NOME; 10. NOME; 11. NOME COGNOME; 12. COGNOME; 13. COGNOME; 14. COGNOME NOME; 15. COGNOME; 16. NOME COGNOME; 17. COGNOME NOME; 18. COGNOME; elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo Studio dell’Avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende, in virtù di procure in calce al ricorso;
-ricorrenti- contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri , in Persona del Presidente pro tempore ; Ministero della Salute , Ministero dell’Economia
e delle Finanze , Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore ;
–
intimati- avverso la sentenza n. 4557/2020 del Tribunale di Roma, depositata il 2 marzo 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10
dicembre 2024 dal Presidente NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti indicati in epigrafe convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio di Ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, deducendo che:
-erano tutti medici titolari di diplomi di specializzazione, immatricolati negli anni 1991-2005, ed avevano percepito gli emolumenti di cui all’art.6 del d.lgs. n. 257 del 1991, attuativo delle direttive nn. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, riguardanti la formazione dei medici specialisti e i corsi per il conseguimento dei relativi diplomi;
questa norma, nello stabilire per gli specializzandi un trattamento di Lire 21.500.000 annuali, aveva prescritto anche che esso doveva incrementarsi al tasso annuale di inflazione e rideterminarsi ogni triennio con decreto ministeriale, ma tali prescrizioni erano restate inapplicate per effetto del ‘blocco’ previsto da disposizioni normative sopravvenute;
successivamente, il d.lgs. n. 368 del 1999 -di recepimento, tra l’altro, della direttiva 93/16/CE aveva previsto (artt. 37 e ss.) che all’atto di iscrizione alle scuole di specializzazione fosse stipulato un contratto annuale di formazione lavoro, rinnovabile di anno in anno
e di durata pari a quella del corso di specializzazione, con attribuzione di un trattamento economico annuo più alto di quello contemplato dalla legislazione precedente, da determinarsi ogni anno con decreto ministeriale; questa previsione, però, aveva avuto effettiva attuazione solo con l’art. 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con decorrenza dall’anno accademico 2006-2007.
Sulla base di queste deduzioni, gli attori domandarono la condanna delle amministrazioni convenute, in solido tra loro, al risarcimento del danno per la tardiva trasposizione nei loro confronti delle direttive e sentenze comunitarie, danno da liquidarsi nella somma di Euro 20.000,00 per ogni anno di specializzazione svolto o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, da determinarsi in corso di causa, anche in via equitativa, anche in relazione alla «mancata applicazione dei benefici economici e contributivi ex D.Lgs.368/99, artt. 34 e seguenti e successive modificazioni, nonché previsti dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 marzo, 6 luglio, 2 novembre 2007 e successivi, attuativi della indicata normativa».
Gli attori domandarono, altresì, la condanna delle amministrazioni convenute al pagamento, anche a titolo di risarcimento del danno, della somma corrispondente alla differenza tra quanto effettivamente percepito in dipendenza della frequenza al corso di specializzazione svolto e quanto avrebbero dovuto percepire ove gli importi fossero stati incrementati secondo il tasso annuale di inflazione, ai sensi del d.lgs. n. 257 del 1991, nonché della somma corrispondente alla differenza tra quanto effettivamente percepito in dipendenza della frequenza al corso di specializzazione svolto e l’importo che avrebbero percepito ove fosse stata applicata la rideterminazione triennale prevista in funzione del miglioramento tabellare minimo di cui alla contrattazione collettiva relativa al personale medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale,
ovvero nella maggiore o minore somma da determinarsi in corso di causa e ritenuta di giustizia anche in via equitativa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi maturati e maturandi.
Il Tribunale di Roma rigettò le domande e la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’impugnazione interposta dagli attori soccombenti, ai sensi degli artt. 348 bis e ter cod. proc. civ..
I medici indicati in epigrafe propongono, avverso la sentenza del tribunale capitolino, ricorso per cassazione, sorretto da due motivi. Non svolgono difese le amministrazioni intimate.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ. per il giorno 18 aprile 2024, in vista della quale i ricorrenti depositavano memoria. All’esito della camera di consiglio è stato disposto, con ordinanza interlocutoria 18469 del 2024, il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione loro rimessa dalla Prima Presidente a seguito dell’ordinanza interlocutoria della Sezione Lavoro n. 6928 del 2024.
La trattazione è stata nuovamente fissata nell’odierna adunanza camerale.
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Non sono state depositate memorie.
Nell’imminenza dell’adunanza , a causa di improvviso impedimento, al Relatore designato è stato sostituito il Presidente del Collegio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo viene denunciata ‘ violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE e 05/36/CE, dell’art. 10 Cost., degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle Preleggi c.c., dell’art. 6 del D.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, dell’art. 11 della L. n. 370/99, degli artt. 37, 38, 39, 40, 41, 45 e 46 del D.lgs. del 17
agosto 1999, n. 368, dell’art. 8 d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 e dell’art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266 ‘.
I ricorrenti censurano la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 368/1999 -fonte di attuazione della direttiva 93/16/CEE -sia il risultato di una scelta discrezionale riservata esclusivamente al legislatore nazionale, escludendo, di conseguenza, la possibilità di un sindacato giurisdizionale in ordine all’adeguatezza della retribuzione corrisposta sino agli anni 2005-2006.
Deducono che il principio di ‘adeguata remunerazione’, posto dalle direttive comunitarie, trovava fondamento nell’esigenza di garantire ai medici specializzandi la possibilità di dedicare alla formazione tutta la propria attività professionale, sicché il legislatore interno, pur nell’ambito della propria discrezionalità, aveva l’obbligo di preservare nel tempo il carattere adeguato della remunerazione in modo che essa potesse assolvere alla funzione assegnatale dalle fonti europee.
Osservano che, poiché l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991 aveva previsto meccanismi per la difesa del potere di acquisto delle borse di studio quali parti essenziali della disciplina di recepimento della direttiva 82/76/CEE, la limitazione di tali strumenti -ad opera di numerosi interventi legislativi a partire dal 1992 e sino al 2006 -avrebbe comportato, di fatto, un successivo inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di recepimento delle direttive comunitarie sotto il profilo della ‘adeguata remunerazione’.
Sostengono, in sostanza, che soltanto con l’integrale attuazione del d.lgs. n. 368 del 1999 sarebbe stato pienamente recepito il contenuto delle direttive dell’Unione Europea circa l’equa remunerazione dei medici specializzandi, cosicché il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del danno, avrebbe dovuto essere individuato nel trattamento economico da esso stabilito, con
il quale si era preso atto della sopravvenuta inadeguatezza di quello previsto dal d.lgs. n. 257 del 1991.
1.2. Con il secondo motivo viene denunciata ‘ violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE e 05/36/CE, dell’art. 10 Cost., degli artt. 1,10,11 e 12 Preleggi c.c., dell’art. 6 del D.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, dell’art. 11 della L. n. 370/99, degli artt. 37, 38, 39, 40, 41, 45 e 46 del D.lgs. del 17 agosto 1999, n. 368, dell’art. 8 D. Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 e dell’art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266, dell’art. 7, co. 5, prorogato fino al 31 dicembre 2005 per effetto degli artt. 3, comma 36, l. n. 537 del 1993, 1, comma 33, L. n. 549 del 1995, 22, L. n. 488 del 1999 e 36, L. n. 289 del 2002, dell’art. 1, comma 33, L. n. 549 del 1995 e dell’art. 112 c.p.c. ‘.
Sul presupposto che, in base all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 257 del 1991, ai titolari delle relative borse di studio sarebbero spettati sia l’indicizzazione annuale in base al tasso programmato di inflazione che la rideterminazione triennale in funzione del miglioramento tabellare minimo di cui alla contrattazione collettiva del personale medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, i ricorrenti censurano la decisione impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di condanna delle amministrazioni convenute alla corresponsione degli importi relativi, per i periodi dal 1992 al 2006.
I ricorrenti formulano anche un’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, perché, in particolare, chiarisca se, in base alla direttiva 82/76/CEE, sussisteva non solo l’obbligo dello Stato di determinare discrezionalmente l’importo dell’adeguata remunerazione dei medici specializzandi ma anche
quello di mantenere nel tempo tale adeguatezza, preservandone il potere di acquisto.
I ricorrenti sottolineano, inoltre, la posizione assunta dalla Commissione Europea nel procedimento C-590-20, esitato nella sentenza 3 marzo 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a seguito della quale il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, è stato riconosciuto anche in favore di soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983, sebbene a partire dal primo gennaio 1983 (cfr. Cass., Sez. Un., 23/06/2022, n. 20278).
I ricorrenti evidenziano, al riguardo, che, sebbene tale procedimento fosse circoscritto ai medici iscritti a corsi di specializzazione anteriormente al 1982, tuttavia la Commissione europea avrebbe espresso la posizione più generale secondo cui il risarcimento del danno dovrebbe comprendere anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, sicché sarebbero in contrasto con le norme eurounitarie le disposizioni nazionali che escludono il pagamento di importi per tali titoli.
Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360bis n. 1 c.p.c., posto che sul punto la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata.
4.1. Preliminarmente giova ricordare alcuni fondamentali passaggi dell’articolata evoluzione normativa sulla materia.
Con l’art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il legislatore italiano, dando attuazione, sia pure tardivamente, al disposto della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio, stabilì in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione una borsa di studio determinata per l’anno 1991 nella somma di lire 21.500.000.
Tale somma era destinata ad un incremento annuale, a decorrere dal 1° gennaio 1992, sulla base del tasso programmato di
inflazione, incremento fissato ogni triennio con decreto interministeriale.
Il meccanismo di adeguamento venne peraltro bloccato successivamente, con effetto retroattivo, dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 432 del 1997), e da altre leggi successive (v. sul punto, ampiamente, Cass. 23/02/2018, n. 4449).
In seguito, dando attuazione alla direttiva n. 93/16/CE, il legislatore nazionale intervenne sulla materia con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368. Questo decreto legislativo – poi ampiamente modificato dall’art. 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 riorganizzò l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato ‘contratto di formazione -lavoro’ e poi ‘contratto di formazione specialistica’: art. 37 d.lgs. cit. ), da stipulare e rinnovare annualmente tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed in una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali (art. 39 d.lgs. cit. ).
Detto contratto, peraltro, come la Sezione Lavoro di questa Corte ha ribadito in plurime occasioni, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 della Costituzione e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (in tal senso, sulla scia di un consolidato orientamento, Cass. 27 luglio 2017, n. 18670).
Peraltro, il nuovo meccanismo retributivo di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 divenne operativo solo a decorrere dall’anno accademico
2006-2007 (art. 46, comma 2, d.lgs. cit. , nel testo risultante dalle modifiche introdotte prima dall’art. 8 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, e poi dal già citato art. 1, comma 300, della legge n. 266 del 2005); mentre le disposizioni del d.lgs. n. 257 del 1991 rimasero applicabili fino all’anno accademico 2005 -2006.
Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica fu poi in concreto fissato con i d.P.C.M. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007.
4.2. Tutto ciò premesso, la delibazione dei motivi di ricorso, postula la soluzione di tre questioni strettamente connesse tra loro: a) se la direttiva n. 93/16/CE abbia avuto o meno una portata innovativa rispetto a quanto stabilito dalle precedenti direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE; b) se il concetto di retribuzione adeguata sia mutato nel passaggio dalle precedenti alla più recente direttiva; c) se e quando lo Stato italiano abbia adempiuto all’obbligo di garantire ai medici specializzandi una retribuzione adeguata.
Queste questioni sono state già numerose volte affrontate da questa Corte ( ex multis , Cass. 14/03/2018, n. 6355; Cass. 28/06/2018, n. 17051; Cass. 27/02/2019, n. 5698; Cass. 15/10/2019, n. 26074; Cass. 28/02/2020, n. 5455; Cass. 06/03/2020, n. 8503; Cass. 12/11/2020, n. 25463; Cass. 02/01/2021, n. 1114; Cass. 17/11/2021, n. 34882; da ultimo, tra le altre, Cass. 16/09/2022, n. 27287 e Cass. 05/12/2022, n.35623), la quale, in relazione a fattispecie perfettamente sovrapponibili a quella in esame, è pervenuta a conclusioni che possono dirsi oramai consolidate ed alle quali il collegio intende dare piena e convinta continuità.
4.3. Al riguardo si è incisivamente evidenziato (cfr., da ultimo, Cass. 16/09/2022, n. 27287 e Cass. 05/12/2022, n.35623, citt. ) -e va qui ribadito -che la direttiva n. 93/16/CE, come risulta dalla
sua stessa formulazione (cfr. il primo Considerando ) non ha una portata innovativa, prefiggendosi soltanto l’obiettivo, « per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza », di procedere alla codificazione delle tre suindicate direttive « riunendole in un testo unico »; il che risulta ancor più evidente per il fatto che la direttiva in questione lascia « impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle difettive » di cui all’allegato III, parte B (così l’ultimo dei Considerando ).
È opportuno ricordare, del resto, che il termine « adeguata remunerazione » compare per la prima volta nell’Allegato alla direttiva n. 82/76/CEE e si ritrova, senza alcuna modificazione, nell’Allegato I alla direttiva n. 93/16/CE; pertanto, è dalla scadenza del termine di adempimento della direttiva del 1982 che l’esigenza di tale adeguatezza divenne regola di obbligatorio recepimento nel diritto interno.
Tuttavia, lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata remunerazione già con l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991; la normativa dell’Unione europea, infatti, non contiene, né potrebbe essere diversamente, alcuna definizione di quale sia la remunerazione adeguata, la cui soglia deve essere fissata dagli Stati membri nell’esercizio della propria discrezionalità, la quale trova un invalicabile limite anche nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Come ha efficacemente spiegato la citata sentenza 23/02/2018, n. 4449 della Sezione Lavoro di questa Corte, il legislatore, « nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del d.lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del d.lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa (Cass. 15362/2014), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato (cfr. punti nn. 23 e 24 di
questa sentenza). Né vale argomentare che lo stesso legislatore italiano, intervenendo in materia, ha modificato la legislazione del 1991 con l’introduzione di una nuova normativa nel 1999 incentrata sullo schema della formazione-lavoro; anche ammettendo che il nuovo sistema sia più congeniale a disciplinare la specifica condizione dei medici specializzandi, non può desumersi dalla sola successione di leggi diverse che la precedente disciplina non fosse idonea in ordine al recepimento delle direttive ed a dare effettiva tutela al diritto ivi affermato dell’adeguata retribuzione ».
In altri termini, il « nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il decreto legislativo n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla legge n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono … ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi » (Cass. 14/03/2018, n. 6355).
Deve dunque ritenersi che l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del d.lgs. n. 257 del 1991, come del resto la Corte di giustizia dell’Unione europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999, in causa C-131/97, COGNOME, e 3 ottobre 2000, in causa C-371/97, Gozza); il d.lgs. n. 368 del 1999 è invece intervenuto in un ambito di piena discrezionalità per il legislatore nazionale.
4.4. Alla luce di quanto si è detto, risulta evidente che non vi è alcuno spazio per invocare ipotetiche violazioni del diritto dell’Unione europea e che ogni questione non può che riguardare
« esclusivamente l’ordinamento interno » (così Cass. n. 6355 del 2018).
Né possono ravvisarsi margini per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. atteso che, come già evidenziato, «nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa» (Cass. 19/10/2022, n. 30793; 18/10/2022, n. 30700; 18/10/2022, n. 30508), sicché è compito del legislatore nazionale determinare «nell’esercizio della propria discrezionalità quale sia la remunerazione adeguata (Cass. 24/10/2022, n. 31311; 18/10/2022, n. 30710; 18/10/2022, n. 30506).
La domanda proposta dai ricorrenti è, dunque, finalizzata, ad ottenere l’applicazione retroattiva del d.lgs. n. 368 del 1999 o comunque a neutralizzare le regole che ne avevano disposto l’efficacia differita. In proposito, osserva peraltro il Collegio che il differimento dell’entrata in vigore della normativa di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 -che è una normativa più favorevole -rientrava nella discrezionalità del legislatore, sicché la circostanza che essa sia entrata in vigore a partire dal 2007 non solo non ha potuto determinare alcuna situazione di tardivo recepimento del diritto comunitario, ma nemmeno ha violato l’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto una normativa di favore e migliorativa rispetto ad una vigente può essere fatta entrare in vigore dal legislatore nazionale nel momento in cui, secondo la discrezionalità che gli appartiene, egli lo reputi opportuno. Non si pone, perciò, alcuna questione di rinvio pregiudiziale e nemmeno alcuna questione di costituzionalità di diritto interno.
4.5. Sintetizzando tutto quanto si è andato dicendo, possono ribadirsi i seguenti principi:
le direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE, le quali hanno prescritto che i medici specializzandi dovessero
ricevere un’adeguata remunerazione, sono state attuate dallo Stato italiano con il d.lgs. n. 257 del 1991, con il riconoscimento di una borsa di studio annua;
la successiva direttiva n. 93/16/CEE ha rappresentato un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti e, quindi, privo di carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscere agli iscritti alle scuole di specializzazione;
quest’ultima direttiva è stata recepita in Italia dal d.lgs. n. 368 del 1999 che, dal momento della propria applicazione, avvenuta a partire dall’anno accademico 2006-2007, ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo un contratto di formazione da stipulare e rinnovare annualmente tra le Università (e le Regioni) e i detti specializzandi, con un meccanismo articolato in una quota fissa ed in una variabile;
in relazione agli anni accademici anteriori al 2006-2007, è rimasta operativa la sola disciplina del d.lgs. n. 257 del 1991, poiché la menzionata direttiva n. 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riferimento alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991.
Dal riferito consolidato orientamento la Corte non ritiene di doversi discostare non essendo stati portati con il motivo in esame -di cui si conferma pertanto l’inammissibilità elementi che inducano a modificarlo.
Ne discende l’inammissibilità, ex art. 360 -bis n. 1 cod. proc. civ., del primo motivo di ricorso.
Il secondo motivo è infondato e deve essere rigettato, dovendosi confermare, in continuità con un orientamento progressivamente consolidatosi, ribadito da una recente pronuncia del massimo consesso di questa Corte (sulla quale, v., infra ), il giudizio sull’insussistenza sia del diritto all’indicizzazione annuale sia di
quello alla rideterminazione triennale del trattamento previsto dall’art.6 del d.lgs. n. 257 del 1991.
È stato infatti più volte affermato che l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto ad indicizzazione né all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, del d. lgs. n. 257 del 1991, in quanto l’art. 32, comma 12, della legge n. 449 del 1997, con disposizione confermata dall’art. 36, comma 1, della legge n. 289 del 2002, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6 (Cass. 27/07/2017, n. 18670; Cass. 23/02/2018, n. 4449; Cass.20/05/2019, n. 13572; Cass.21/01/2021, n.1114; Cass.26/07/2022, n. 23349 e Cass.16/09/2022, n. 27287).
5.1. I meccanismi di adeguamento originariamente previsti (dunque, non solo l’indicizzazione automatica annuale, ma anche la rivalutazione triennale da disporsi con decreto ministeriale) sono stati, inoltre, congelati anche nel periodo precedente al 31 dicembre 1997.
Le numerose disposizioni legislative succedutesi nel tempo (d.l. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5, convertito nella l. n. 438 del 1992; l. n. 537 del 1993, art. 3, comma 36; l. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33; l. n. 662 del 1996, art. 1, comma 66; l. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12; l. n. 488 del 1999, art. 22; l. n. 289 del 2002, art. 36; tale ultima norma è stata poi prorogata, per il triennio 2006-2008, dalla l. n. 266 del 2005, art. 1, comma 212; l’art. 41, comma 7, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, ha poi disposto che «le disposizioni della l. n. 289 del 2002, art. 36, così come interpretate dalla l. n. 350 del 2003, art. 3, comma 73, sono prorogate per gli anni 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013») danno contezza dell’intento del legislatore di congelare al livello del 1992
l’importo delle singole borse di studio e correlativamente di disporre analoghi blocchi sugli aggregati economici destinati al loro finanziamento, al fine di evitare nell’attuale contesto storico, caratterizzato da una ormai cronica carenza di risorse finanziarie, la riduzione progressiva del numero dei soggetti ammessi alla frequenza dei corsi, con correlato danno sociale (Cass., Sez. 6-3, n. 13572 del 20/05/2019; Cass. Sez. 3, n. 8378 del 29/04/2020; Sez. 3, n. 17995 del 28/08/2020; Sez. 6 – 3, n. 18106 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3, n. 29124 del 18/12/2020; Sez. L, n. 9104 del 01/04/2021; Sez. 6 – 3, n. 27263 del 07/10/2021; Sez. 6 – L, n. 1287 del 17/01/2022; Sez. 6 – 1, n. 1821 del 20/01/2022; Sez. 3, nn. 9219-9220 del 22/03/2022; Sez. 3, n. 15139 del 12/05/2022; Sez. 3, n. 29311 del 07/10/2022; Sez. 6 – 3, nn. 30506-30507 del 18/10/2022; Sez. 3, n. 3234 del 02/02/2023; Sez. 3, n. 12702 del 10/05/2023; Sez. 3, n. 3867 e n. 4082 del 08/08/2023; Sez. 3, n. 16078 del 07/06/2023; Sez. 3, n. 16365 del 08/06/2023; Sez. 3, n. 20043 del 13/07/2023; Sez. 3, n. 20692 del 17/07/2023; Sez. 1, nn. 28430, 28441, 28456, 28466 e 28496 del 12/10/2023; Sez. 1, nn. 28539, 28552, 28555 e 28565 del 13/10/2023; Sez. 3, n. 36591 del 30/12/2023; Sez. 3, nn. 3411, 3431 del 06/02/2024; Sez. 3, nn. 3546, 3555 del 07/02/2024; Sez. 3, n. 10023 del 12/04/2024; Sez. 3, n. 10628 del 19/04/2024).
5.2. È stato anche evidenziato come, rispetto alla questione dell’adeguamento agganciato all’evolversi della contrattazione collettiva, l’art. 32, comma 12, legge n. 449 del 1997 abbia stabilito che «a partire dal 1998 resta consolidata in lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente, non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui all’articolo 6, comma 1, del predetto decreto legislativo n. 257 del 1991», con dato letterale inevitabilmente
destinato a riguardare entrambi gli aggiornamenti di cui alla disposizione interessata e dunque non solo la riparametrazione ai nuovi valori della contrattazione collettiva, ma anche l’indicizzazione. Infatti, il dato letterale dell’art. 32 evidenzia che il legislatore ha inteso riferirsi all’intero corpus normativo contenuto nell’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 257 del 1991, e, dunque, sia all’incremento annuale del tasso programmato d’inflazione, sia alla rideterminazione triennale (Cass.n.36591/2023, cit. ).
5.3. D’altra parte, la tesi della reviviscenza degli aggiornamenti previsti dall’art. 6 d.lgs. n. 257 del 1991 non può essere avallata, oltre che alla luce delle successive disposizioni già sopra ricordate, anche per una ragione intrinseca alla disposizione che quella norma aveva abrogato. Occorre, infatti, considerare che l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991 è stato abrogato dalla legge finanziaria 23 dicembre 2005, n. 266, la quale ne ha fatto salva la vigenza fino all’anno accademico 2005 – 2006 (art. 46, comma 2, ultimo inciso, d. lgs. 17 agosto 1999, n. 368, come sostituito dal comma 300 dell’art. 1 legge n. 266 del 2005). Questa disposta vigenza a termine non poteva comportare l’adeguamento triennale per l’anno accademico 20052006, come effetto della permanenza dell’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991, giacché il presupposto del triennio non si poteva verificare, atteso che lo stesso art. 6 veniva meno prima del triennio giustificativo dell’adeguamento (Cass. 07/10/2022, n. 29311; Cass. 08/06/2023, n. 16365; Cass. m.36891/2023, cit. ).
5.4. Il blocco di tale incremento -si è sottolineato -non può dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato (Cass., Sez Un., 16/12/2008, n. 29345; Cass. 15/06/2016, n. 12346; Cass. 23/02/2018, n. 4449, Cass. 19/10/2020, n. 22633, Cass. 01/04/2021, n. 9104; Cass. 22/03/2022, n. 9215); né le norme richiamate, come sopra interpretate -è stato pure puntualizzato -, risultano incompatibili
con il dettato costituzionale e con il diritto dell’Unione Europea, dovendosi escludere qualsiasi dubbio di incostituzionalità e dovendosi ritenere inutile una remissione degli atti alla Corte di giustizia (cfr. Cass. nn. 31922, 17051 e 15520 del 2018).
5.5. L’orientamento circa l’avvenuto congelamento (sin dal 1992) di entrambi i meccanismi di adeguamento previsti dall’art. 6 del d.lgs. n. 257/1991, già « affermatosi trasversalmente, e sulla base di assai numerose pronunce, nelle tre sezioni -la Prima, la Terza e la Quarta n.d.r. -che hanno avuto modo di affrontare ripetutamente la questione » è stato ribadito, come si è accennato, in una recente pronuncia del massimo consesso di questa Corte, il quale rispondendo alla questione posta dalla Sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria 14/3/2024, n. 6998 (evocata dagli stessi ricorrenti nella memoria illustrativa depositata in vista della prima adunanza camerale di questa Sezione), ‹‹ se l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione sia soggetto, per il periodo dal 1° gennaio 1994 al 31 dicembre 1997, all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, del d. lgs. n. 257 del 1991 ››, ha affermato il principio secondo il quale: « l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1992/1993 e il 2005/2006 non è soggetto, né ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, né all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 257 del 1991; ciò per effetto del blocco di tali aggiornamenti previsto, con effetti convergenti e senza soluzione di continuità, dall’art. 7, comma 5, d.l. n. 384 del 1992, convertito nella l. n. 438 del 1992, come interpretato dall’art. 1, comma 33, l. n. 549 del 1995; dall’art. 3, comma 36, l. n. 537 del 1993; dall’art. 1, comma 66, l. n. 662 del 1996; dall’art. 32, comma 12, l. n. 449 del 1997; dall’art. 22 l. n. 488 del 1999; dall’art. 36 l. n. 289 del 2002 » (Cass., Sez. Un., 19/07/2024, n. 20006).
5.6. A tale orientamento, già consolidatosi nella giurisprudenza delle sezioni semplici e autorevolmente riaffermato dalle Sezioni Unite, il collegio intende dare doverosa e convinta continuità.
5.7. Al riguardo, è appena il caso di aggiungere che non può attribuirsi alcuna rilevanza, in senso contrario, all’eccentrico argomento, formulato dai ricorrenti, fondato sulla circostanza che la Commissione Europea avrebbe stigmatizzato la contrarietà al diritto comunitario di norme nazionali che precludono il pagamento di somme a titolo di interessi o rivalutazione, essendo sufficiente rilevare, al riguardo, che il procedimento in cui tale posizione sarebbe stata espressa riguardava soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983, ai quali si è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, peraltro a partire dal 1° gennaio 1983, da liquidarsi negli importi previsti dall’art. 11 della legge n. 370 del 1999 (cfr. la sentenza 3 marzo 2022, in C-590/20, della Corte di giustizia Europea, nonché Cass., Sez. Un., 23/06/2022, n. 20278, cit. ).
In definitiva il ricorso va rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, stante l’ indefensio delle amministrazioni intimate.
Sussistono, invece, i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 10 dicembre 2024.
Il Presidente Rel. ed Est. NOME COGNOME