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Remunerazione medici: inammissibile il ricorso

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un gruppo di medici specializzandi in medicina generale che chiedevano una remunerazione adeguata, equiparata ad altre specializzazioni. Il ricorso è stato respinto perché erroneamente diretto contro l’ordinanza di inammissibilità d’appello e non contro la sentenza di primo grado. La Corte ha inoltre sottolineato la netta distinzione normativa tra la formazione in medicina generale e le altre specializzazioni mediche, escludendo la possibilità di una comparazione retributiva.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Remunerazione medici: la Cassazione sull’appello inammissibile

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della remunerazione medici specializzandi in medicina generale, chiudendo la porta alle loro richieste per un’equiparazione economica ad altre specializzazioni. La decisione, tuttavia, non si fonda sul merito della questione economica, ma su un aspetto cruciale di procedura civile che offre importanti spunti di riflessione sull’arte del contenzioso.

I Fatti di Causa

Un gruppo di medici, dopo aver completato la specializzazione in medicina generale, aveva citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e altri ministeri. La loro richiesta era chiara: ottenere il riconoscimento del diritto a una remunerazione adeguata per il periodo di formazione, ritenendo insufficiente quella percepita. Sostenevano che il loro compenso dovesse essere allineato a quello, più elevato, previsto per gli altri medici specializzandi, in particolare dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 368/1999.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto le loro domande, negando l’esistenza di una base normativa per equiparare i due percorsi formativi e retributivi. Di fronte a questa sconfitta, i medici avevano proposto appello. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva dichiarato il gravame inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter del codice di procedura civile, giudicandolo privo di una “ragionevole probabilità di essere accolto”.

Imperterriti, i medici hanno portato la loro battaglia fino in Cassazione, impugnando sia la sentenza di primo grado sia l’ordinanza della Corte d’Appello.

La Decisione della Corte di Cassazione e la remunerazione medici

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri argomentativi: uno di natura strettamente processuale, che si è rivelato decisivo, e uno di merito, esposto quasi a titolo di chiarimento.

L’errore processuale: impugnare l’ordinanza e non la sentenza

Il punto centrale della decisione è un errore di strategia processuale. I ricorrenti hanno concentrato le loro censure contro l’ordinanza di inammissibilità della Corte d’Appello. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato, sancito anche dalle Sezioni Unite: l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. non è appellabile per errori di giudizio (errores in iudicando), ma solo per specifici vizi procedurali che riguardano la sua stessa emissione (ad esempio, la violazione delle norme che regolano quel particolare procedimento).

Poiché i medici contestavano il merito della decisione del Tribunale (la questione della remunerazione medici), avrebbero dovuto rivolgere le loro doglianze direttamente contro la sentenza di primo grado, come se l’appello non fosse mai stato filtrato. Attaccando l’ordinanza di filtro, hanno sbagliato bersaglio, rendendo il loro ricorso processualmente inaccettabile.

La distinzione normativa tra specializzazioni

Pur essendo l’aspetto procedurale sufficiente a chiudere il caso, la Corte ha voluto precisare anche un punto sostanziale. Ha evidenziato come l’ordinamento italiano distingua nettamente il percorso di formazione in medicina generale da quello delle altre specializzazioni mediche. La prima è regolata da norme specifiche (come la L. 212/1990 e il D.Lgs. 257/1991), diverse da quelle applicabili alle altre scuole di specializzazione (D.Lgs. 256/1991). Questa distinzione è stata mantenuta anche dal successivo D.Lgs. 368/1999, che dedica alla medicina generale un titolo separato (il IV) rispetto alle altre specializzazioni (titolo V). Di conseguenza, secondo la Corte, non esiste alcun fondamento giuridico per una comparazione tra i due regimi retributivi.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Cassazione sono lineari e si articolano su due livelli.

In primo luogo, a livello processuale, il ricorso è inammissibile perché viola la regola fondamentale secondo cui, dopo un’ordinanza ex art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere proposto contro la sentenza di primo grado, e le censure devono riguardare i vizi di quest’ultima. I motivi sollevati dai ricorrenti, invece, si rivolgevano all’ordinanza di appello, contestando la valutazione sulla probabilità di successo, un’argomentazione non consentita in sede di legittimità.

In secondo luogo, a livello sostanziale, la Corte chiarisce che la richiesta di equiparazione della remunerazione medici di medicina generale a quella di altri specialisti è infondata. Le normative di riferimento sono diverse e strutturate in modo tale da non permettere un confronto diretto. I ricorrenti hanno basato le loro tesi su norme non pertinenti alla loro specifica posizione giuridica, rendendo le loro argomentazioni irrilevanti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito sull’importanza della strategia processuale. Anche una causa con potenziali argomenti di merito può naufragare a causa di un errore nell’impostazione dell’impugnazione. La scelta di contestare l’ordinanza di filtro anziché la sentenza di merito si è rivelata fatale. Inoltre, la Corte ha messo un punto fermo, almeno per ora, sulla questione della remunerazione medici in formazione, confermando la legittimità della differenziazione normativa e retributiva tra il corso di formazione specifica in medicina generale e le scuole di specializzazione universitarie. La decisione impone ai ricorrenti non solo la sconfitta legale ma anche il pagamento delle spese processuali e di un ulteriore contributo unificato.

È possibile impugnare in Cassazione un’ordinanza che dichiara l’appello inammissibile per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento?
Sì, ma solo per specifici vizi procedurali che riguardano l’ordinanza stessa (ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c.), non per contestare il merito della causa o la valutazione sulla probabilità di accoglimento dell’appello. Il ricorso sul merito deve essere proposto contro la sentenza di primo grado.

La remunerazione per i medici specializzandi in medicina generale deve essere equiparata a quella delle altre specializzazioni mediche?
No. Secondo la Corte di Cassazione, i percorsi formativi sono regolati da normative distinte e separate (D.Lgs. 257/1991 per la medicina generale e D.Lgs. 256/1991 per le altre specializzazioni). Tale diversità strutturale esclude la possibilità di una comparazione e, di conseguenza, di un’equiparazione della remunerazione.

Cosa succede se un ricorso per cassazione contesta i motivi di merito di una causa invece dei vizi procedurali dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La legge processuale impone che, in questo specifico caso, le censure si rivolgano alla sentenza di primo grado e non all’ordinanza che ha ‘filtrato’ l’appello. Contestare l’ordinanza per motivi di merito costituisce un errore processuale che porta all’inammissibilità del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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