Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31419 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31419 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 38134-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
Oggetto
R.G.N. 38134/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 17/10/2024
CC
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 7279/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 02/07/2019 R.G.N. 922/2012; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Avellino aveva respinto il ricorso presentato da RAGIONE_SOCIALE avverso una cartella esattoriale con cui era stato intimato il pagamento in favore di INPS di € 346.374,97, di cui € 178.407,00 imputati ad un illegittimo conguaglio operato nel periodo aprile 1997/febbraio 2001 avvalendosi di sgravi ex legge n. 183/1976. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 7279/2018, aveva riformato la pronuncia di primo grado solo in punto quantum , rideterminando il debito contributivo nella minor som ma di € 121.071,40.
Avverso detta pronuncia RAGIONE_SOCIALE propone ricorso in cassazione sulla base di due motivi: nullità della sentenza per error in procedendo, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. e nullità della sentenza per error in procedendo, per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ..
In via preliminare, rappresenta: di aver depositato alla Corte d’appello di Napoli in data 18 settembre 2019 ricorso per revocazione della medesima sentenza, con contestuale istanza di sospensione dei termini ex art. 398 cod. proc. civ.; che, con provvedimento del 25 ottobre 2019, la comparizione delle parti
era stata fissata per il 4 dicembre 2019; che il ricorso per revocazione ed il decreto di fissazione di udienza erano stati notificati ad INPS il 7 novembre 2019; che il 4 dicembre 2019 la Corte d’appello aveva respinto l’istanza di sospensione con provvedimento comunicato il successivo 5 dicembre 2019.
Posto che la sentenza impugnata, non notificata, è stata depositata in data 2 luglio 2019 ed il ricorso per revocazione dinanzi alla Corte d’appello di Napoli è stato depositato il 18 settembre 2019, il ricorso in cassazione, notificato il 19 dicembre 2019, sarebbe tardivo.
Parte ricorrente chiede quindi, di essere rimessa in termini ex art. 153 cod. proc. civ., ritenendo che il (pacifico) ritardo nella proposizione del ricorso in Cassazione sia dipeso da fattori esterni alla propria volontà ed a quella dei difensori, ‘imputa bili a disguidi di ufficio della Corte d’appello di Napoli’.
Si è costituito INPS con controricorso, eccependo, in primis , l’inammissibilità del ricorso proposto tardivamente, in assenza delle condizioni per la rimessione in termini.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 17 ottobre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è inammissibile in quanto tardivo.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato, «è principio conforme ad una regola generale affermata da questa Corte quello secondo cui, quando un provvedimento è in astratto assoggettabile a due distinti rimedi
impugnatori aventi diverso oggetto e finalità, ove il legislatore non abbia diversamente disposto dettando una regola diversa, la proposizione di uno di essi con la notificazione, implicando conoscenza legale del provvedimento impugnato ed impugnabile con l’altro rimedio, determina comunque a carico dell’esercente l’impugnazione la soggezione del diritto di esperire quell’altro rimedio non più nel termine c.d. lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., bensì nel termine breve di cui all’art. 325 cod. proc. civ. (sempre che il termine lungo non si consumi nel corso dell’ipotetica durata di quest’ultimo). Questa regola opera anche nel concorso fra la revocazione (naturalmente se trattasi di revocazione ordinaria sempre e se trattasi di revocazione straordinaria qualora la situazione legittimante sia conosciuta nei termini indicati dal primo comma dell’art. 326 cod. proc. civ.) ed il ricorso per cassazione e, pertanto, se la parte proponga la prima in una situazione nella quale, non essendo stato determinato in altro modo, come con la notificazione della sentenza, il decorso del termine breve di cui all’art. 325 cod. proc. civ., la decisione risulti fino a quel momento impugnabile nel termine lungo che ancora sia in corso, la notificazione della domanda di revocazione (se la forma di introduzione sia quella dell’atto di citazione, com’è per il rito ordinario) o il deposito del ricorso (nel caso di previsione in seno al rito processuale cui è soggetta la causa della impugnazione con la forma del deposito del ricorso), determinano a carico del proponente la domanda di revocazione l’inizio del decorso del termine breve per proporre il ricorso per cassazione: tale termine si sovrappone (purché utilmente: cioè a condizione che il suo operare sia irrilevante per il decorso nelle more della sua possibile durata del termine lungo già in corso) al termine lungo fino a quel momento regolatore del diritto di impugnazione (e
ciò sia per revocazione che per il ricorso per cassazione). Altrettale effetto, com’è noto, si verifica per la parte destinataria della revocazione, qualora a sua volta abbia interesse a ricorrere per cassazione contro la sentenza» (Cass., Sez. U, n. 21874/2019).
Di tal chè, «l’art. 398, comma 4, secondo inciso, c.p.c. deve interpretarsi nel senso che l’accoglimento, da parte del giudice della revocazione, dell’istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione determina l’effetto sospensivo (come, del resto, l’eventuale sospensione del corso del giudizio di cassazione, se frattanto introdotto) soltanto dal momento della comunicazione del relativo provvedimento, non avendo la proposizione dell’istanza alcun immediato effetto sospensivo sebbene condizionato al provvedimento positivo del giudice».
E’ stato, poi, puntualizzato che «il testo vigente dell’art. 398, comma 4, c.p.c. esclude che l’impugnazione per revocazione sospenda automaticamente il termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento, essendo necessario un apposito provvedimento del giudice della revocazione, in mancanza del quale i due giudizi procedono in via autonoma, potendo il ricorso per cassazione essere discusso anche prima che giunga la decisione sull’istanza di sospensione» (Cass., Sez. U., 26 maggio 2020, n. 9776; Cass., 11 settembre 2020, n. 18913).
Ancora più di recente, Cass. 15926/2024 ha ribadito che «secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per
cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398, comma 4, c.p.c. (Sez. 5, Ordinanza n. 22220 del 05/09/2019, Rv. 654828 -01; Sez. 3, Sentenza n. 7261 del 22/03/2013, Rv. 625600 -01; Sez. 3, Sentenza n. 309 del 12/01/2012, Rv. 620538 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 10053 del 29/04/2009, Rv. 607914 -01; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 19/06/2007, Rv. 596981 – 01)»
Alla luce di tali consolidati principi, non può trovare accoglimento l’istanza di rimessione in termini avanzata dalla ricorrente e motivata dal fatto che il provvedimento con cui la Corte d’appello ha respinto la domanda di sospensione del termine per proporre ricorso in cassazione è stato comunicato solo in data 5 dicembre 2019, poiché le ragioni addotte a sostegno dell’istanza non integrano gli estremi di una causa non imputabile alla parte in quanto causata da fattori estranei alla sua volontà, che pres enti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà come richiesto da costante giurisprudenza di legittimità.
Infatti, le SSUU di questa Corte hanno da tempo chiarito che, se «è vero che l’istituto della rimessione in termini, in entrambe le formulazioni che si sono succedute (artt. 184 bis e 153 c.p.c.), trova applicazione non solo con riguardo alla decadenza dai poteri processuali interni al giudizio, ma anche a situazioni esterne e strumentali al processo, quale la decadenza dal diritto di impugnazione (Cass. 15 aprile 2014, n. 8715; 2 marzo 2012, n. 3277) tuttavia deve trattarsi pur sempre di un errore
derivante da causa non imputabile perché cagionato da un fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, che presenti il carattere dell’assolutezza e non della mera difficoltà, in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Cass. 6 luglio 2018, n. 17729; 27 ottobre 2015, n. 21794; 16 ottobre 2015, n. 20992; 4 aprile 2013, n. 8216; 28 settembre 2011, n. 19836). Alla nozione di «causa non imputabile» è estraneo, invece, l’errore derivante dalla scelta processuale della parte, seppure determinata da una difficile interpretazione di norme processuali nuove o di complessa decifrazione, risolvendosi in un errore di diritto che, di regola, non può giustificare la rimessione in termini per evitare o superare la decadenza da un termine processuale e per giustificare impugnazioni tardive (Cass. 8 marzo 2017, n. 5946; 22 aprile 2015, n. 8151; Cass. 19 settembre 2017, n. 21674, quest’ultima nel senso che l’applicazione di una novella processuale non può integrare un errore scusabile da parte dell’avvocato)» (SSUU n. 4135/2019, già prima SSUU n. 32725/2018; poi Cass. n. 25228/2023, n. 19384/2023, n. 3340/2021 ex multis).
Né «la parte … può invocare la rimessione in termini ex art. 153 cod. proc. civ., quando il ritardo sia dovuto a fatto imputabile al difensore, costituendo la negligenza di quest’ultimo un evento esterno al processo, che attiene alla patologia del rapporto con il professionista rilevante solo ai fini dell’azione di responsabilità nei confronti del medesimo, senza che ciò comporti alcuna violazione dell’art. 6 CEDU, poiché l’inammissibilità dell’impugnazione, che consegue all’inosservanza del termine, non integra una sanzione sproporzionata rispetto alla finalità di salvaguardare elementari esigenze di certezza giuridica (Corte EDU, 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia) (Cass., sez. 1, 10/02/2021, n. 3340)» (Cass. n. 19384/2023).
Non potendo, ai fini della rimessione in termini, costituire causa di forza maggiore l’impedimento addotto dal difensore dell’odierna ricorrente, la proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli è tardiva e deve pertanto ritenersi inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17 ottobre