Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31902 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31902 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19935-2019 proposto da:
AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE TARANTO, in persona del Direttore Generale pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. 19935/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 07/11/2024
CC
31, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME INTROCASO COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 199/2018 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 04/07/2019 R.G.N. 176/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
l a Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha accolto i gravami, separatamente proposti dagli attuali controricorrenti e intimati, tutti dirigenti medici della Azienda Sanitaria Locale di Taranto, e, in riforma delle rispettive sentenze di primo grado, ha accertato il loro diritto al pagamento delle somme, già oggetto di decreti ingiuntivi, rivendicate a titolo di retribuzione di posizione c.d. variabile aziendale e, per alcuni di essi, di retribuzione di posizione minima;
per quel che qui rileva, la Corte territoriale ha ritenuto: a) quanto all’indennità di posizione cd. variabile aziendale, rispetto alla
quale i medici censuravano l’illegittima decurtazione operata con delibera aziendale del 22 novembre 2006 per i crediti successivi al novembre 2006, non corretta la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario affermata dal Tribunale, considerato che non veniva in rilievo un atto di macro-organizzazione bensì la rivendicazione del diritto alla retribuzione, dunque una posizione di diritto soggettivo tutelabile innanzi al giudice ordinario; affermata la giurisdizione del G.O., è stata accolta la domanda dei dirigenti volta al mantenimento della retribuzione di posizione c.d. variabile aziendale nella misura antecedente; b) quanto alle differenze sulla retribuzione di posizione minima, corrisposta dall’azienda in misura inferiore ai minimi contrattuali, non condivisibile il ragionamento svolto dal primo giudice in ordine alla complessiva percezione da parte dei dirigenti di una retribuzione di posizione non inferiore ai minimi contrattuali, in quanto tale assunto legittimerebbe una compensazione fra somme versate in più a titolo di variabile aziendale e quelle dovute a titolo di retribuzione di posizione minima contrattuale sul presupposto – nella specie errato – che l’azienda avesse effettuato la graduazione delle funzioni ai fini dell’individ uazione della retribuzione complessiva di ciascun dirigente medico; tale adempimento, invece, era stato assolto dall’Azienda Sanitaria Locale di Taranto solo successivamente al 2008, come da delibera in atti, mentre le pretese azionate in sede monitoria riguardavano periodi precedenti, risultando comunque documentalmente provato che la predetta graduazione era stata effettuata ai soli fini dell’individuazione della c.d. variabile aziendale. Sul punto come osservano i giudici d’appello l’art. 24, comma 1 1, del CCNL del 3 novembre 2005, a titolo di interpretazione autentica dell’art. 53 del CCNL 5 dicembre 1996 e dell’art. 40 del CCNL 8 giugno 2000, precisa che la retribuzione di posizione minima contrattuale è corrisposta quale
anticipazione sul trattamento economico dovuto e viene assorbita nel valore complessivamente attribuito all’incarico in base alla graduazione delle funzioni, sicché alla minima contrattuale si aggiunge la differenza necessaria a raggiungere il valore dell’ incarico definito in azienda, con la garanzia che quest’ultimo non può essere inferiore al minimo contrattuale già percepito. Di conseguenza, ai fini della determinazione del trattamento economico spettante ai dirigenti medici, occorre compiere l’operazion e inversa a quella eseguita dal primo giudice: non è la minima contrattuale a doversi aggiungere alla variabile aziendale bensì il contrario, sicché nessuna compensazione poteva effettuarsi fra somme previste a titoli differenti e delle quali alcune inderogabilmente dovute (quelle di posizione minima contrattuale) ed altre dovute solo eventualmente (quelle di variabile aziendale). Pertanto, poiché l’azienda non aveva dimostrato l’avvenuto «recupero» da parte dei dipendenti delle somme percepite a titolo di retribuzione di posizione in misura inferiore a quella stabilita dal CCNL attraverso il pagamento di somme maggiori a titolo di retribuzione di posizione c.d. variabile aziendale, occorreva concludere per la fondatezza della pretesa dei dirigenti anche quanto alla rivendicata differenza sulla retribuzione di posizione minima contrattuale con riferimento al periodo dedotto in giudizio (dal 2002);
avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale di Taranto articolando sei motivi assistiti da memoria, cui alcuni dei dirigenti medici resistono con controricorso illustrato da memoria, mentre altri sono rimasti intimati, secondo quanto indicato in epigrafe.
CONSIDERATO CHE:
può farsi richiamo al precedente di questa Corte in fattispecie sovrapponibile (Cass., Sez. L, n. 22359 del 7 agosto 2024), alla cui motivazione si fa conseguentemente rinvio, anche ex art. 118 att. cod. proc. civ.;
con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c., in combinato con la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 386 c.p.c., agli artt. 60 del CCNL 1994-1997 e 50 del CCNL 1998-2001, agli artt. 2, comma 1, e 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché all’art. 2112 c.c., per avere affermato la giurisdizione del giudice ordinario in luogo che quella del giudice amministrativo, già dichiarata dal giudice di primo grado;
2.1. preliminarmente, si precisa che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione in oggetto in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018, emanato in attuazione dell’art. 374, comma 1, c.p.c., in quanto essa rientra, nel l’ambito delle materie di competenza della Sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte;
2.2. la censura è infondata, in quanto la sentenza impugnata si è attenuta alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in ordine all’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario allorché venga in rilievo, come nella specie, la rivendicazione del diritto alla corretta corresponsione della retribuzione in base alla contrattazione collettiva di riferimento (così, fra molte, Cass. Sez. L., 5/12/2023, n. 33975, che ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario nella controversia in cui il dipendente contesti la legittimità dei provvedimenti adottati dalla P.A. datrice di lavoro sulla ripartizione o determinazione del fondo per il
finanziamento della retribuzione di risultato, ai sensi della contrattazione collettiva di riferimento, sul rilievo che la relativa posizione giuridica soggettiva va qualificata in termini di diritto soggettivo alla corretta liquidazione della retribuzione, di cui la retribuzione di risultato è parte; in linea di continuità con Cass. Sez. U, 11/11/2022, n. 33365, Cass. Sez. U., 28/6/2019, n. 17568, e 8/7/2019, n. 18262);
3. con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 353 c.p.c. (omessa rimessione al primo giudice per motivi di giurisdizione), in combinato con la violazione ex art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c. (motivi attinenti alla giurisdizione) ed ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 386 c.p.c., agli artt. 60 del CCNL 1994-1997 e 50 del CCNL 1998-2001, agli artt. 2, comma 1, e 63 d el d.lgs. n. 165 del 2001, nonché all’art. 2112 c.c.);
3.1. la censura è fondata;
i nfatti, ai sensi dell’art. 353, comma 1, c.p.c., nella versione applicabile alla fattispecie in esame, anteriore all’abrogazione disposta con il d.lgs. n. 149 del 2022, in quanto trattasi di impugnazione anteriore al 28 febbraio 2023 (art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 149 del 2022), «Il giudice d’appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice»; n e consegue che, la Corte d’appello, riformata la decisione del giudice di primo grado in ordine alla declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario, con riferimento alla rideterminazione della retribuzione di posizione c.d. variabile
aziendale, non poteva procedere a valutare nel merito la relativa pretesa dei dirigenti medici, ma doveva rimandare le parti davanti al primo giudice; la sentenza impugnata va dunque cassata sul punto, con conseguente rinvio della causa, per quanto attiene alla predetta voce retributiva, al Tribunale di Taranto;
4. con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (vizio di extrapetizione) ex art. 112 c.p.c., nonché per violazione dell’art. 329 c.p.c.; si contesta alla Corte d’appello, da un lato, di avere pronunciato condanna al pagamento di somme corrispondenti agli importi recati dai decreti ingiuntivi opposti e revocati, a fronte di domande volte ad ottenere soltanto il rigetto dell’opposizione; dall’altro lato, di avere affermato la giurisdizione del G.O. nonostante l’assenza di specifici motivi d’appello volti a contestare il diniego di giurisdizione nella sentenza di primo grado; la censura è completata con una denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.);
4.1. il motivo, nei termini formulati, è inammissibile per difetto di specificità, come da consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo; pertanto, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del tantum devolutum quantum appellatum , è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità, che nel ricorso stesso siano riportati gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare
il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (fra molte, Cass. Sez. 6- 1, 25/9/2019, n. 23834);
4.2. il motivo sarebbe comunque inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 2, c.p.c., perché è evidente e costituisce principio consolidato che la domanda di rigetto dell’opposizione e conferma del decreto ingiuntivo implica la domanda di condanna al pagamento della somma recata dal decreto, o eventualmente di quella inferiore in caso di accoglimento parziale (ex multis: Cass. Sez. 6-L, 28/5/2019, n. 14486), mentre la riproposizione in appello della medesima domanda di merito implica la volontà dell’appellante di riaffermare la giurisdizione negata dal giudice di primo grado;
4.3. quanto alla denuncia di omesso esame di un fatto decisivo, in realtà la ricorrente pretende di attribuire anche tale (impropria) veste alla asserita mancata decisione sull’eccezione di giudicato, che essa avrebbe «tempestivamente mosso … nei confronti della maggior parte (sic) degli appellanti»;
con il quarto motivo si deduce la violazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in riferimento agli artt. 60 del CCNL 1994-1997 e 50 del CCNL 1998-2001, agli artt. 2, comma 1, e 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché all’art. 2112 c.c., in relazione alla retribuzione di posizione cd. variabile aziendale;
5.1. l a censura è assorbita dall’accoglimento del secondo motivo e della cassazione della sentenza impugnata sul punto relativo alla retribuzione di posizione c.d. variabile aziendale, con rinvio al giudice di primo grado;
6. con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., quanto alla pretesa della corresponsione della differenza per retribuzione di posizione minima, siccome prevista dal CCNL. Nell’illustrazione del motivo si assume che correttamente il primo giudice aveva ritenuto che la retribuzione minima contrattuale è assorbita nel valore complessivo dell’incarico, cosicché, una volta stabilita la specifica graduazione delle funzioni (da effettuare caso per caso), viene poi assorbita dall’importo complessivo spettante, con l’unico limite inderogabile dell’irriducibilità al di sotto dei minimi contrattuali complessivamente stabiliti; peraltro, altrettanto esattamente il Tribunale aveva evidenziato come la ASL avesse versato somme comunque superiori all’ammontare minimo, senza alcuna contestazione da parte dei medici;
6.1. la censura, per come è articolata, è inammissibile perché, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (fra tutte, Cass. Sez. 6-3, 14/4/2017, n. 8758); nella specie, la doglianza tende in maniera inammissibile a censurare l’accertamento di merito svolto dalla Corte territoriale, sia in ordine alla mancata corresponsione di somme maggiori a titolo di retribuzione di posizione c.d. variabile aziendale, sia con riferimento all’avvenuta graduazione delle funzioni da parte della ASL di Taranto in epoca successiva rispetto ai fatti di causa. In questo modo, peraltro, la doglianza mostra di non cogliere neppure l’effettiva ratio decidendi addotta nella sentenza impugnata, in cui si sottolinea come, sino a tale graduazione, la retribuzione di posizione minima assolva ad
una funzione di anticipazione rispetto al valore economico complessivo successivamente attribuito all’incarico proprio in base alla graduazione delle funzioni, valore che, in ogni caso, non può essere inferiore al minimo contrattuale;
i nfine, con il sesto motivo si deduce il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 1241 e segg. c.c., per l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine alla impossibilità di compensare voci previste a titolo differente, senza considerare le risultanze delle delibere aziendali, dalle quali emergevano chiaramente gli importi analiticamente corrisposti ai singoli medici;
7.1. a nche l’ultima censura non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità, considerato che, come già osservato in riferimento al quinto motivo, dietro lo schema della dedotta violazione di legge si mira in realtà a censurare l’accertamento di fatto condott o dal giudice di merito in ordine alla mancata corresponsione da parte dell’azienda di somme aggiuntive, atte a compensare la minore erogazione a titolo di retribuzione di posizione minima contrattuale, comunque dovuta e garantita;
in definitiva, va accolto solo il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il quarto, respinto il primo, inammissibili gli altri motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvio della causa al Tribunale di Taranto, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il quarto, respinto il primo mezzo ed inammissibili gli ulteriori, cassa la sentenza
impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Taranto anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro