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Reiterazione contratti a termine: quando scade il tempo?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10352/2025, ha stabilito che l’azione per l’abusiva reiterazione di contratti a termine è soggetta a un termine di decadenza e non alla più lunga prescrizione ordinaria. Nel caso esaminato, una lavoratrice del settore forestale ha visto respinta la sua richiesta di risarcimento perché non ha impugnato l’ultimo contratto entro i termini previsti dalla legge, confermando che la certezza dei rapporti giuridici prevale se non si agisce tempestivamente.

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Reiterazione Contratti a Termine: Occhio alla Decadenza!

La gestione dei contratti a tempo determinato è una delle aree più delicate del diritto del lavoro, specialmente quando si verifica una reiterazione contratti a termine per lunghi periodi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per contestare l’abuso, non basta rispettare i tempi della prescrizione, ma è necessario agire entro i più brevi e stringenti termini di decadenza. Analizziamo insieme questa decisione per capire le sue implicazioni pratiche per lavoratori e datori di lavoro.

I Fatti del Caso: una Lunga Serie di Contratti Precari

Una lavoratrice, impiegata per quasi trent’anni da un’amministrazione regionale con una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato, ha deciso di agire in giudizio. La sua richiesta era volta a far dichiarare l’illegittimità di tale prassi per abusiva reiterazione dei contratti e a ottenere il conseguente risarcimento del danno.

Mentre il Tribunale di primo grado le aveva parzialmente dato ragione, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, dichiarando la domanda inammissibile. Il motivo? La lavoratrice non aveva impugnato i contratti, e in particolare l’ultimo, entro i termini di decadenza previsti dalla legge. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decadenza nella Reiterazione Contratti a Termine

Il punto centrale del ricorso verteva sulla corretta interpretazione delle norme che regolano l’impugnazione dei contratti a termine. La lavoratrice sosteneva che la sua azione, essendo finalizzata al risarcimento del danno per il superamento del limite massimo di durata di 36 mesi, dovesse essere soggetta solo al termine di prescrizione ordinario (dieci anni) e non al breve termine di decadenza previsto per l’impugnazione della nullità del termine.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello, seppur con una correzione nella motivazione. I giudici hanno chiarito che il regime di decadenza, introdotto per garantire la certezza dei rapporti giuridici, si applica a tutte le azioni che contestano la legittimità di un contratto a termine, inclusa l’ipotesi di abusiva reiterazione contratti a termine.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la ratio della legge è quella di stabilizzare in tempi brevi le situazioni giuridiche incerte. Consentire di agire per il risarcimento del danno entro dieci anni, senza aver prima contestato la legittimità dei contratti entro i termini di decadenza, vanificherebbe questo obiettivo.

Un chiarimento cruciale fornito dalla Corte riguarda il momento da cui far decorrere tale termine. In caso di una sequenza di contratti, il termine di decadenza per contestare l’intera catena contrattuale e l’abuso che ne deriva decorre dalla cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro. È l’impugnazione tempestiva dell’ultimo contratto che permette al lavoratore di far valere l’illegittimità dell’intera sequenza pregressa.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente rilevato che anche l’ultimo contratto, cessato nel novembre 2014, non era stato impugnato entro i termini di legge. Di conseguenza, l’azione della lavoratrice era preclusa dalla decadenza, e la sua domanda di risarcimento non poteva essere accolta.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, relativo all’eccessività delle spese legali, poiché la contestazione era generica e non denunciava una violazione dei minimi tariffari, unico vizio censurabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. I lavoratori che si trovano in una situazione di precarietà dovuta alla successione di contratti a termine devono essere consapevoli che la tutela dei loro diritti è legata a scadenze molto strette. Per contestare l’abuso e chiedere il risarcimento del danno, è indispensabile impugnare l’ultimo contratto entro i termini di decadenza (generalmente 60 o 120 giorni a seconda dei casi). Attendere oltre, confidando nella prescrizione decennale, significa perdere irrimediabilmente il diritto di agire. Questa decisione sottolinea come il legislatore e la giurisprudenza diano un peso preponderante alla necessità di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, imponendo alle parti oneri di diligenza stringenti.

Il termine di decadenza si applica anche a un’azione per risarcimento del danno da abusiva reiterazione di contratti a termine?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il termine di decadenza previsto per l’impugnazione del contratto a termine si applica anche all’azione volta a far accertare l’abusiva reiterazione e a ottenere il conseguente risarcimento del danno.

Da quale momento inizia a decorrere il termine per impugnare una serie di contratti a termine?
In caso di una sequenza di contratti, il termine di impugnazione, a pena di decadenza, decorre dalla data di cessazione dell’ultimo contratto intercorso tra le parti. È l’impugnazione di quest’ultimo che consente di contestare l’illegittimità dell’intera catena contrattuale.

È possibile contestare la quantificazione delle spese legali decisa dal giudice d’appello se ritenuta ‘eccessiva’?
No, il motivo di ricorso in Cassazione è inammissibile se si limita a lamentare l’eccessività della liquidazione delle spese senza denunciare una specifica violazione dei minimi o massimi tariffari previsti dalla legge. La determinazione delle spese rientra nella discrezionalità del giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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