Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20299 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20299 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17848/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 939/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propose nei confronti di NOME COGNOME domanda di reintegra nel possesso, ex artt. 1168 e 1170 cod. civ. e 703 cod. proc. civ., relativamente al passaggio all’interno di un fabbricato sito in Cernobbio, che l’attrice espose di avere da sempre esercitato per raggiungere un appartamento e una cantina di sua esclusiva proprietà
La convenuta chiese il rigetto dell’avversa domanda.
Il Tribunale adito, in sede di reclamo ex art. 669 terdecies cod. proc. civ, accordò la chiesta tutela possessoria.
Per contro, a definizione del giudizio di primo grado, il Giudice monocratico revocò il provvedimento di reintegrazione ottenuto dalla COGNOME, della quale disattese la domanda, ritenendo che i lavori nell’immobile eseguiti dalla convenuta non avessero comportato limitazioni all’esercizio di passaggio dell’attrice, la quale aveva conservato la possibilità di raggiungere il proprio appartamento attraverso altro percorso seppure meno comodo e diretto rispetto a quello originario. Anche l’accesso alla cantina non era rimasto precluso, godendo di un autonomo ingresso dalla pubblica via; inoltre, il rivendicato passaggio attraverso la proprietà altrui non veniva esercitato da anni.
La Corte di Appello di Milano, riformando in toto la sentenza di primo grado, accolse l’appello proposto da lla ricorrente NOME COGNOME e ordinò a NOME COGNOME la reintegra nel possesso della servitù di passaggio esercitato al piano terra e al primo piano dell’immobile sito in Cernob bio, onde consentire all’appellante di raggiungere l’appartamento di sua proprietà e la cantina.
Per giungere a tale conclusione, la Corte d’Appello rilevò :
-l’appellante, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, aveva assolto al proprio onere probatorio; la stessa, infatti, aveva fornito la prova sia dell’esercizio del proprio possesso relativamente al transito nelle aree indicate – corroborato da opere visibili e permanenti -, sia del possesso dell’appartamento sito al primo piano e della cantina al piano terra <> ;
la COGNOME aveva mantenuto il possesso ‘ animo et corpore ‘ sino al suo trasferimento e aveva mantenuto un possesso solo ‘ animo ‘ una volta recatasi presso l’abitazione della sorella gemella nel 2014;
-nel caso di specie, sussisteva, altresì, l’ulteriore requisito soggettivo dell’ ‘ animus spoliandi ‘ in capo alla convenuta ;
-i lavori eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE avevano comportato l’impossibilità per la COGNOME di utilizzare il passaggio per raggiungere l’appartamento attraverso il percorso originario, essendone stato approntato altro più disagevole; la cantina era divenuta irraggiungibile dalla parte interna del fabbricato e accessibile solo dalla strada;
-l’azione intrapresa dalla RAGIONE_SOCIALE configurava un vero e proprio spoglio con caratteristiche proprie legittimanti l’azione di reintegra;
-l’accoglimento della domanda di reintegrazione nel possesso non poteva che comportare la rimozione delle opere realizzate in violazione di legge; ogni altra soluzione, infatti, avrebbe reso più scomodo e gravoso il passaggio.
La RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione con sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria. Resiste con controricorso la COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Preliminarmente, va rilevato che la controricorrente ha eccepito la nullità della procura speciale rilasciata dalla ricorrente per non essere stato espressamente indicato il nominato procuratore.
L’eccezione è destituita di giuridico fondamento.
Con la procura spillata al ricorso la ricorrente ha puntualmente e specificamente nominato quale proprio difensore e rappresentante nell’incoato giudizio di cassazione l’avvocato NOME COGNOME indicando, per altro compiutamente, la sentenza d’appello impugnata.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi la ricorrente, pone la questione della partecipazione dei giudici ausiliari al collegio della Corte d’appello.
Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto modo di condivisamente affermare che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62-72 della l. n. 98 del 2013, in relazione all’art. 106, commi 1 e 2 Cost., nella parte in cui consentono la partecipazione di un giudice ausiliario al collegio di corte d’appello, atteso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 41 del 2021, ha ritenuto la “temporanea tollerabilità costituzionale” per l’incidenza di concorrenti valori di rango costituzionale, della formazione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questi magistrati onorari, fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, nei tempi contemplati dall’art. 32 del d. lgs. n. 116 del 2017 (Sez. 1, n. 15045, 28/05/2021, Rv. 661401 -01).
Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 , co. 1 nn. 3 e/o 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 705 cod. proc. civ. , dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 25/1992.
Secondo la ricorrente, la sentenza dovrebbe considerarsi nulla perché ha disposto la reintegra nel possesso richiesta dalla COGNOME prescindendo da ogni valutazione in merito alle prerogative riconosciute dalla legge al diritto di proprietà fatto valere dalla RAGIONE_SOCIALE, senza valutare che dall’esecuzione della decisione possessoria sarebbe derivato un pregiudizio irreparabile alla stessa.
Il motivo è manifestamente destituito di giuridico fondamento.
La doglianza è eccentrica: la pronuncia d’incostituzionalità parziale, come noto, investi la norma nella parte in cui subordinava l’esperimento dell’azione petitoria dopo la compiuta esecuzione del provvedimento possessorio. Evenienza che qui non ricorre affatto perché non risulta che la convenuta in possessorio abbia mai proposto domande di natura petitoria volte a fare dichiarare l’inesistenza di servitù di passaggio a favore dell’immobile della ricorrente in possessorio.
Con la terza doglianza viene denunciata violazione degli artt. 11681170 cod. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ.
La sentenza di secondo grado sarebbe nulla per avere accolto la domanda di reintegrazione nel possesso proposta dalla resistente, erroneamente ritenendone sussistenti i presupposti, nonostante la sentenza di primo grado, non impugnata né contraddetta sul punto, avesse accertato che la ricorrente aveva
agito alla luce del sole ottenendo tutti i permessi amministrativi per l’esecuzione delle opere nonché preavvertendone la COGNOME.
La doglianza è infondata.
La Corte di merito ha accertato, con vaglio di merito in questa sede non censurabile, che lo spoglio fu clandestino perché avvenuto durante l’assenza della controparte (delle lettere che la ricorrente assume aver inviato non vi è traccia di ricezione) e la spogliata agì tempestivamente dopo l’avvio dei lavori che ne pregiudicavano il possesso (lavori iniziati nel febbraio e azione possessoria intrapresa a giugno).
Infine, è appena il caso di soggiungere che non è dato riscontrare nessun giudicato sul punto, non versandosi in presenza di autonoma statuizione non impugnata.
L’improprietà dell’asserto risalta evidente alla luce del consolidato opinamento di questa Corte, la quale ha spiegato, con la decisione n. 30459/2018, che: <>.
Nel caso in esame l’impugnazione ha investito nel suo complesso la decisione di primo grado, con la conseguenza che non v’è modo di rilevare la sussistenza d’una autonoma statuizione minima divenuta irrevocabile.
Con il quarto motivo si censura la decisione di secondo grado per violazione degli artt. 1168-1170 cod. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.
La sentenza gravata sarebbe nulla per avere accolto la domanda di reintegrazione nel possesso della quale non sussistevano i presupposti, nonostante la sentenza di primo grado avesse accertato, e la COGNOME non contestato, l’evidente situazione di abbandono in cui versavano gli immobili della stessa. Di ciò la sentenza non avrebbe tenuto conto, così violando l’art. 2729 cod. civ., che detta i criteri ai quali il giudice deve attenersi in materia di presunzione.
Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
La ricorrente, per vero, non coglie la ‘ratio decidendi’: non rileva che le unità immobiliari, alle quali la controricorrente accedeva attraverso il percorso del quale era stata spogliata, fossero più o meno in buono stato (in particolare la cantina), né si discute dello spoglio di esse unità, ma appunto del percorso che
permetteva di giungere ad esse. Inoltre, l’incuria di un immobile non equivale a mancanza di possesso e la Corte di merito ha accertato in fatto il possesso e l’animus (v. pagg. 14 e 15 sentenza).
Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 112 e/o 345 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., nonché violazione del principio di preclusione e/o del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in quanto la Corte di appello avrebbe omesso di dichiarare inammissibile e avrebbe invece successivamente accolto il secondo motivo di appello della COGNOME con il quale erano state inammissibilmente introdotte nuove allegazioni in fatto e nuove domande e per l’effetto aveva ritenuto sussistente, e oggetto di spoglio, il possesso del corridoio al piano terra e al primo piano e la scala preesistente, rispetto ai quali la COGNOME aveva solo dedotto la sussistenza (e chiesto la tutela) del possesso di una servitù di passo.
Il motivo è inammissibile.
In disparte dalla impropria pretesa di una nuova e alternativa ricostruzione in fatto, basti osservare che l’oggetto della domanda resterebbe comunque immutato: trattandosi di azione di spoglio spoglio e non di mera molestia ed è irrilevante che a monte della pretesa attorea si rappresenti una situazione possessoria simulacro del diritto di comproprietà, oppure del minor diritto di servitù di passo.
Con il sesto motivo, infine, si censura la decisione per violazione degli artt. 1160-1170 cod. civ., 111 co. 6 Cost, e 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3, e/o 4 e/o 5 cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente la sentenza sarebbe affetta da nullità per aver, con motivazione mancante e/o apparente e/o
insufficiente ai sensi di Cass. SS.UU. 8053/14, sulla base di un giudizio di fatto scorretto, incongruo e contraddittorio, ai sensi di Cass. 16502/17, nonché omettendo l’ esame circa il fatto decisivo consistente nella concreta conformazione tecnica del percorso alternativo predisposto dalla ricorrente, escluso che fosse realizzato il ripristino della situazione anteriore tramite l’utilizzo del percorso alternativo predisposto dalla stessa in favore della resistente con la realizzazione della nuova scala, assumendosi erroneamente che tale scala fosse più scomoda.
Il motivo è in parte infondato e per altra parte inammissibile.
Davanti al Giudice della legittimità non è ammesso rivalutare l’apprezzamento di fatto operato dal giudice del merito.
Inoltre, qual che sia la soluzione alternativa proposta è certo che lo spoglio si sia avuto, essendovi stata l’evidente immutazione e, anzi, occlusione dei luoghi sui quali la COGNOME esercitava il possesso per lo meno costituente effigie di un diritto di servitù di passo.
Il vizio di motivazione apparente nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimità (v. per tutte, SSUU n. 2767/2023 in motivazione) non ricorre perché il fondamento della decisione è senz’altro percepibile.
Rigettato il ricorso nel suo complesso, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente con distrazione, come richiesto.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per compensi, in favore di NOME COGNOME, in euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge con distrazione in favore del difensore.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 maggio