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Regolarità contributiva e fallimento: il caso editoria

Un’azienda editoriale fallita si è vista negare i contributi pubblici a causa della mancata attestazione di regolarità contributiva (DURC). La Corte di Cassazione ha stabilito che la dichiarazione di fallimento, imponendo per legge il divieto di pagamenti, costituisce una causa di “sospensione legislativa” che non preclude il diritto a ricevere i fondi. La Corte ha quindi confermato che la società aveva diritto al contributo, poiché il requisito della regolarità contributiva si considera soddisfatto in questa specifica circostanza.

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Regolarità Contributiva in caso di Fallimento: Sì ai Fondi Pubblici

L’accesso ai contributi pubblici è spesso subordinato alla dimostrazione della propria regolarità contributiva, un requisito che attesta il corretto versamento dei contributi previdenziali. Ma cosa accade se un’impresa è dichiarata fallita e, per legge, non può più effettuare pagamenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito questo punto cruciale, stabilendo un principio fondamentale per le imprese in crisi che hanno maturato il diritto a finanziamenti prima della loro insolvenza.

I Fatti del Caso

Una società editrice, dopo essere stata dichiarata fallita, aveva richiesto l’erogazione dei contributi pubblici per l’editoria relativi agli anni 2014 e 2015. L’amministrazione statale competente, ovvero la Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva negato tali fondi. La motivazione del diniego era semplice: la società non aveva potuto produrre l’attestazione di regolarità contributiva (il cosiddetto DURC), in quanto, a causa del fallimento, non era in regola con i versamenti previdenziali.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla società fallita, sostenendo che la dichiarazione di fallimento costituisse di per sé una causa di sospensione degli obblighi di pagamento, esentando di fatto l’impresa dall’obbligo di presentare il DURC. L’Amministrazione statale, non soddisfatta, ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Questione della Regolarità Contributiva nel Fallimento

Il cuore della controversia ruotava attorno all’interpretazione dell’art. 5 del d.m. 24 ottobre 2007. Questa norma prevede che la regolarità contributiva sussista anche in caso di “sospensioni dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative”.

L’Amministrazione ricorrente sosteneva che il fallimento non rientrasse in questa categoria. A suo avviso, l’unica sospensione legislativa rilevante nelle procedure concorsuali era quella prevista per il concordato preventivo con continuità aziendale, una procedura finalizzata al risanamento e non alla liquidazione dell’impresa come nel fallimento. Secondo questa tesi, un’impresa destinata a cessare l’attività non avrebbe dovuto beneficiare di tale eccezione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici supremi hanno stabilito che la dichiarazione di fallimento integra a tutti gli effetti una “sospensione dei pagamenti” riconducibile a disposizioni di legge.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su una solida analisi della legge fallimentare. Con l’apertura del fallimento, scatta un divieto generalizzato per il debitore di effettuare pagamenti di debiti anteriori. Questo divieto, sancito da norme come gli articoli 44, 51 e 52 della legge fallimentare, è posto a tutela della par condicio creditorum, ovvero il principio della parità di trattamento di tutti i creditori. Effettuare pagamenti, anche se per regolarizzare la posizione contributiva, violerebbe questo principio fondamentale.

Questa situazione, hanno affermato i giudici, è pienamente riconducibile all’ipotesi di “sospensione dei pagamenti” prevista dalla normativa sul DURC. Pertanto, la mancata attestazione di regolarità da parte degli enti previdenziali è giustificata dalla procedura fallimentare stessa e non può essere usata come motivo per negare un contributo maturato in precedenza.

Inoltre, la Corte ha sottolineato un aspetto cruciale: i contributi per l’editoria in questione non erano un finanziamento ex ante per sostenere attività future, ma un sussidio ex post, destinato a sovvenzionare le spese già sostenute dall’impresa negli anni di riferimento. Di conseguenza, il fatto che l’impresa fosse ormai destinata alla liquidazione era irrilevante ai fini del diritto a percepire il contributo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza stabilisce un principio di notevole importanza pratica. La regolarità contributiva di un’impresa fallita, ai fini dell’accesso a contributi pubblici maturati, deve essere valutata tenendo conto degli effetti imposti dalla stessa procedura fallimentare. La dichiarazione di fallimento, imponendo un blocco legale dei pagamenti, giustifica l’assenza del DURC senza che ciò pregiudichi il diritto dell’impresa (e, per essa, della massa dei creditori) a incassare fondi precedentemente meritati. La sentenza rafforza la tutela della massa fallimentare, garantendo che le risorse maturate prima della crisi vengano acquisite e distribuite secondo le regole concorsuali, a beneficio di tutti i creditori.

Una società fallita può essere considerata in regola con i contributi previdenziali per ottenere fondi pubblici?
Sì, secondo la Corte di Cassazione. Se la mancata regolarità è una diretta conseguenza della dichiarazione di fallimento, che per legge vieta i pagamenti dei debiti pregressi, la società si considera comunque in una situazione che giustifica l’assenza del DURC, mantenendo il diritto a ricevere i contributi maturati.

La dichiarazione di fallimento sospende l’obbligo di pagare i contributi ai fini del DURC?
Sì. La Corte ha stabilito che la dichiarazione di fallimento determina una situazione di “sospensione dei pagamenti” derivante da disposizioni legislative. Questa sospensione è una delle cause che, secondo la normativa specifica, consente di considerare sussistente la regolarità contributiva anche in assenza dei versamenti.

I contributi pubblici per l’editoria possono essere erogati a un’impresa che ha cessato l’attività a causa del fallimento?
Sì, se tali contributi sono intesi come un sussidio per spese già sostenute in passato (ex post) e non come un finanziamento per attività future (ex ante). Il fatto che l’impresa sia destinata alla liquidazione non è rilevante per il diritto a percepire fondi maturati quando era ancora operativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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