Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2095 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2095 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4164/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , domiciliato in Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 678/2017 de lla Corte d’Appello di Salerno, depositata il 3.11.2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’attuale controricorrente si rivolse al Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del lavoro, impugnando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 90 giorni, inflittagli dalla datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE in esito alla contestazione di tre comportamenti contrari ai doveri d’ufficio: avere violato il divieto di diffondere dichiarazioni non autorizzate relative alle attività istituzionali; avere consentito che nella RAGIONE_SOCIALE, da lui diretta, prestasse servizio una dottoressa esterna all’RAGIONE_SOCIALE, che con questa aveva stipulato soltanto un contratto d’opera per assistenza domiciliare , contratto peraltro già scaduto da diversi mesi; avere omesso di verificare la disponibilità di un posto letto nel suo reparto in un ‘occasione in cui un paziente era deceduto al pronto soccorso dopo essere rimasto in attesa di ricovero per circa 17 ore.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse parzialmente la domanda, accertando la mancanza di prove con riferimento al terzo addebito e riducendo la sanzione ai 46 giorni di sospensione dal servizio che erano già stati scontati al momento in cui era stata accolta la domanda cautelare che il lavoratore aveva presentato prima della domanda di merito.
Solo l ‘attuale controricorrente propose appello contro la sentenza di primo grado e la Corte d’Appello di Salerno, in accoglimento dell’impugnazione , riformò parzialmente la sentenza di primo grado, annullando totalmente la sanzione disciplinare.
Contro la sentenza della Corte territoriale l’ RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il lavoratore si è difeso con controricorso. La ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione ed errata applicazione di legge -Artt. 5, 6 e 10 del Regolamento Disciplinare approvato con delibera dell’ RAGIONE_SOCIALE n. 836 del 12.11.2010».
Il secondo motivo censura un «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio».
I due motivi hanno, nel ricorso, un’illustrazione promiscua e pare che entrambe le critiche siano volte a censurare i separati argomenti con cui la Corte d’Appello ha motivato l’annullamento della sanzione disciplinare con riguardo a ciascuno dei due illeciti rimasti sub iudice dopo la sentenza di primo grado (sentenza che, non appellata dall’RAGIONE_SOCIALE, aveva già escluso la responsabilità diretta del medico per il grave fatto verificatosi al pronto soccorso, dove un paziente era deceduto in attesa di essere ricoverato nel reparto per le malattie infettive).
3.1. Quanto al primo episodio contestato come infrazione disciplinare (rilascio di dichiarazioni agli organi di stampa non autorizzate dall’RAGIONE_SOCIALE), la Corte territoriale ha rilevato un errore nella contestazione dell’illecito disciplinare, in quanto il riferimento all’art. 6, comma 1, lett. a , del
Regolamento disciplinare aziendale presupponeva un addebito di mera inosservanza di direttive interne, escludendo che si intendesse valorizzare anche l ‘efficacia offensiva e diffamatoria delle dichiarazioni rese alla stampa, ciò che avrebbe imposto di inquadrare la fattispecie nell’art. 10 , comma 1, lett. b e c , del medesimo Regolamento. Il giudice del merito ha quindi valorizzato i principî di immutabilità della contestazione e di tipicità degli illeciti disciplinari, per giungere alla conclusione che la contestazione non era stata, in parte qua , rispettosa degli obblighi di specificità e di chiarezza posti dall’art. 7 del CCNL di comparto.
La Corte d’Appello non ha smentito, ma ha anzi mostrato di condividere, l’opinione del giudice di primo grado secondo cui le dichiarazioni diffuse a mezzo stampa dall’attuale controricorrente esorbitavano dai limiti del corretto esercizio del diritto di critica, ma ha valutato che tale aspetto non era stato valorizzato nella contestazione disciplinare e non poteva pertanto essere apprezzato in sede processuale.
3.2. Quanto al secondo episodio (presenza nel reparto di una dottoressa priva di un contratto di lavoro con l’RAGIONE_SOCIALE idoneo e in corso di efficacia) , la Corte d’Appello ha rilevato che, a parte la materialità del fatto, era mancata l’allegazione di un danno subito dall’RAGIONE_SOCIALE , danno che è invece elemento essenziale della fattispecie di illecito disciplinare contestata alla luce del l’art. 10, comma 1, lett. k , del Regolamento disciplinare aziendale.
La Corte salernitana ha in particolare osservato che tale danno non può essere considerato sussistente in re ipsa e che nemmeno può essere individuato nelle retribuzioni versate alla
dottoressa non autorizzata a lavorare nell’RAGIONE_SOCIALE, perché quest ‘ultim a ha comunque ricevuto in corrispettivo il valore economico delle prestazioni lavorative.
Ciò posto, i due motivi sono palesemente inammissibili.
4.1. Il primo denuncia l’errata interpretazione di un atto (Regolamento disciplinare aziendale) che non contiene «norme di diritto» ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Questa Corte ha già più volte affermato che le disposizioni dei regolamenti interni e degli statuti degli enti pubblici non hanno valore normativo, sicché in sede di legittimità sono denunciabili – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. soltanto per violazione o falsa applicazione dei criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c. (Cass. nn. 27456/2017; 12202/2020; 40408/2021; 29620/2023, 30682/2023).
Ebbene, la ricorrente non prospetta, né nella forma, né nella sostanza del l’illustrazione dei motivi , che la Corte territoriale abbia violato alcuno dei canoni legali di interpretazione dei contratti, estensibili all’interpretazione di tutti gli atti giuridici privi del rango di «norme di diritto».
4.2. Il secondo motivo denuncia il vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio», alludendo all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma senza che si comprenda a quale fatto e a quale omissione la ricorrente intenda riferirsi.
La ricorrente non condivide e contesta le valutazioni del giudice del merito in ordine alla correttezza e alla conseguente legittimità delle contestazioni disciplinari mosse al lavoratore, ma in mancanza di censure concernenti la violazione di norme
di diritto, si tratta, appunto, di valutazioni, come tali insindacabili in sede di legittimità. In sostanza, sub specie di denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio la parte ricorrente pretenderebbe dalla Corte di Cassazione nient’altro che un inammissibile riesame dell’accertamento e dell’apprezzamento dei fatti di causa che spettano solo al giudice del merito.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali al 15% dei compensi e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.11.2023.