Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 105 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 105 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29145/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME ed avvocato NOME COGNOME, giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliati in CATANIAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA.F. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t.
-intimato –
avverso la sentenza n. 1258/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 31/05/2019;
e sul riunito ricorso 30259/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), in proprio e quale erede di COGNOME NOME; COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE) quali eredi di COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME ed avvocato NOME COGNOME, giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CF CODICE_FISCALE);
-intimato –
avverso la sentenza n. 1651/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 29/07/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda al vaglio, per quel che qui residua d’utilità, può sintetizzarsi nei termini seguenti.
Il Tribunale rigettò la domanda di NOME e NOME COGNOME, avanzata nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di un appezzamento confinante con quello degli attori, volta a regolare i confini e
condannare i convenuti alla restituzione del terreno facente parte dello stacco attoreo.
Accogliendo l’appello degli attori, la Corte d’appello di Catania regolò i confini e condannò i convenuti appellati a restituire l’area che si apparteneva agli appellanti.
2.1. Questo, in sintesi, il ragionamento sviluppato dalla sentenza di secondo grado:
sulla base della c.t.u. non risultavano rinvenibili in loco affidabili segni di confine (le marcature in calce bianca sui muretti erano inidonei allo scopo, in quanto di epoca incerta e, anzi, potendo essere state apposte in occasione della causa, o, comunque, costituire segnale per non meglio specificata attività agricola, svolta in epoca non conoscibile; non assumeva significato di segno apprezzabile neppure la coltivazione ad agrumeto, esistente sulla particella 21, a fronte della carenza di colture sulla particella 56, in quanto in sé avente natura neutra; né, erano risultate concludenti le testimonianze, poiché in assenza di recinzione, risultava sempre e comunque incerto il fondo sul quale i testi avevano svolto lavori per conto degli appellati e l’unica recinzione esistente fra le particelle 373 e 392 era oggetto di contestazione);
-ciò posto, ai sensi dell’art. 950 cod. civ., occorreva rifarsi ai dati catastali, evidenziati dal c.t.u., che importavano una differenza a favore delle particelle 373 e 21 degli appellanti di mq. 1816;
Avverso la sentenza d’appello gli appellati proponevano sia ricorso per cassazione (R.G. n. 29145/2019), fondato su cinque motivi, che istanza di revocazione.
Dichiarata quest’ultima inammissibile dalla Corte etnea, NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche nella qualità di
erede di NOME COGNOME, proponevano ricorso per cassazione fondato su otto motivi (R.G. 30259/2021).
Preliminarmente occorre far luogo alla riunione dei due procedimenti, dovendo trovare applicazione il principio enunciato da questa Corte, secondo il quale i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione (Sez. L., n. 21315, 6/7/2022, Rv. 665129).
Appare, pertanto, pregiudiziale esaminare per primo il ricorso R.G. 30259/2021, proposto contro la sentenza della Corte di Catania, depositata il 29/7/2021, che dichiarò inammissibile la domanda di revocazione.
La controparte è rimasta intimata.
Il ricorso è improcedibile per le ragioni di cui immediatamente appresso, e ciò esonera dalla necessità di prendere in rassegna le censure.
Dichiarano in ricorso i ricorrenti che la sentenza n. 1651/2021, depositata il 20/7/2021 (rectius, il 29/7/2021), era stata loro notificata dalla controparte in data 21/10/2021.
Sebbene i ricorrenti abbiano allegato la sentenza impugnata, la stessa non risulta corredata della relata di notifica o della copia autenticata di essa.
Deve, pertanto trovare applicazione il principio enunciato da questa Corte, secondo il quale il ricorso per cassazione è
improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di avere ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall’art. 369, comma 1, c.p.c., copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL) e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente (Sez. 6, n. 19695, 22/07/2019, Rv. 654987).
Né, va soggiunto, il ricorso risulta essere stato notificato comunque nei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata: la sentenza, come si è visto, è stata pubblicata il 29/7/2021 e il ricorso avviato alla notifica il 23/11/2021.
Occorre ora procedere all’esame del ricorso R.G. n. 29145/2019 proposto avverso la sentenza della Corte etnea n. 1284/2019, depositata il 31/5/2019, con la quale venne accolto l’appello degli COGNOME.
Gli intimati resistono con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memorie avuto riguardo a entrambi i ricorsi.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Questo, in sintesi, all’assunto impugnatorio:
la sentenza, incorrendo in errore inescusabile, aveva travisato le risultanze della c.t.u., commettendo un <>, in quanto dal grafico, segnato in rosso, allegato alla perizia risultava che tra la particella 373 degli appellati e la particella 392 degli COGNOME, esisteva un muro di confine, che si prolungava a distinguere le particelle 21 e 56 e, quindi, la sentenza si fondava su un fatto non vero;
-il consulente aveva riferito puntualmente dell’esistenza del muro <>, avendo, inoltre rilevato il limite degli alberi dell’agrumeto, nonché i segni di calce sui muretti di pietra (che i convenuti asserivano marcare il confine tra le particelle 21 e 56; soggiungeva il tecnico che sovrapponendo il rilievo cartografico alla planimetria catastale, in linea di massima, il confine esterno dell’insieme dei due lotti corrispondeva, quel che invece non trovava corrispondenza era la linea tra le due particelle a nord (373 e 21) a le altre a sud (392, 310 e 56), nel qual caso il confine avrebbe dovuto determinarsi tenendo conto del muro divisorio, nonché della parte coltivata ad agrumeto, oltre ai segni di calce bianca;
in definitiva, la sentenza aveva affermato, contro il vero, <>;
ove fossero stati esaminati i titoli, nonché la scrittura del 1953, con la quale NOME COGNOME concesse a mezzadria il terreno oggi dei ricorrenti per reimpianto di agrumeto a NOME COGNOME, il quale dichiarò di conoscere i confini, la sentenza avrebbe dovuto concludere diversamente.
9.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità per il concorrere di più ragioni.
Una delle censure mosse con il motivo consiste, all’evidenza, nel contestare che la sentenza abbia travisato il contenuto della relazione del consulente sul punto specifico dell’assenza <>, oltre quella riconosciuta dalla sentenza.
A voler prendere in esame la doglianza, peraltro, aspecifica, per difetto di autosufficienza (avendo i ricorrenti prodotto in questa sede il grafico allegato alla consulenza, ma non quest’ultima), essa si appaleserebbe comunque inammissibile.
Invero, il ricorso per cassazione, fondato sull’affermazione che il giudice di merito abbia travisato le risultanze della consulenza tecnica, è inammissibile, configurandosi in questa ipotesi esclusivamente il rimedio della revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. (Sez. 1, n. 3867, 08/02/2019, Rv. 653090; conf. Cass. n. 7772/2012).
Quanto al resto delle critiche la sentenza, sia pure in forma stringata, ha esaminato quelli che potevano essere (gli altri) segni di confine, che il c.t.u. aveva, peraltro descritto senza prendere una posizione ferma, reputandoli privi di valore univoco. Trattasi di un giudizio di fatto in questa sede non censurabile.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una
differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
10. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omessa <> , in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Con il motivo si sostiene che il Giudice d’appello non aveva esaminato i titoli di provenienza, nonché il grafico allegato al titolo del 4/7/1997 intercorso tra NOME e NOME COGNOME, da una parte, e NOME, NOME e COGNOME, dall’altra, che indicava i confini tra i fondi.
10.1. Il motivo è inammissibile.
L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U., n. 8053, 07/04/2014, Rv. 629831 -01; conf., ex multis, Cass. nn. 8054/014, 25216/014, 9253/017, 27415/018).
Nella specie non risulta essere stato spiegato dove e quando la questione risulti essere stata dibattuta.
11. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.
Viene contestato, in particolare, il travisamento della prova: la Corte di merito, andando oltre la discrezionalità valutativa che le compete, aveva attribuito significato radicalmente diverso dal vero alle deposizioni testimoniali, giudicandole sommariamente scarsamente attendibili e tali da non permettere, <>. Per contro, i testi COGNOME e COGNOME, scrivono gli esponenti, avevano reso precipue e puntuali dichiarazioni, che i ricorrenti sintetizzano in ricorso alle lettere da a) ad h); dichiarazioni, inoltre, circostanziate e contestualizzzate.
La sentenza era ulteriormente incorsa in travisamento documentale a riguardo della produzione fotografica non contestata, che smentiva le conclusioni della stessa, non presa in considerazione.
11.1. Il motivo è nel suo complesso inammissibile.
Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507, 06/04/2023, Rv. 667489).
Sulla base di quanto esposto dai ricorrenti, in astratto, potrebbe configurarsi l’ipotesi del travisamento probatorio, avendo
costoro descritto un’erronea ricognizione della prova orale, raccolta nel contraddittorio, avente valore certamente decisivo.
Osta, tuttavia, al vaglio del motivo in esame la mancata trascrizione testuale delle deposizioni o la loro puntuale allegazione o esatta individuazione topografica. Invero, i ricorrenti, si limitano a riprendere per riassunto sintetico il contenuto delle deposizioni in parola, a loro dire corrispondente a quanto dichiarato. Analogamente non è dato sapere alcunché dell’asserita produzione fotografica, né dove e quando.
Questa Corte ha avuto modo di spiegare che ove venga (…) dedotto vizio di motivazione per incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per mancata o insufficiente od erronea valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t.u., ecc.) è imprescindibile, al fine di consentire alla Corte di effettuare il richiesto controllo, anche in ordine alla relativa decisività, che il ricorrente precisi -pure mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso- le risultanze che asserisce decisive o insufficientemente o erroneamente valutate, in quanto per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la S.C. accesso agli atti del giudizio di merito (Sez. 3, n. 12984, 31/05/2006, Rv. 591353 -in parte -; conf. Cass. n. 9245/2007).
In definitiva, il motivo risulta aspecifico per difetto di autosufficienza, invocando, nella sostanza, un pieno riesame di merito delle emergenze di causa precluso al Giudice della legittimità.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano omessa motivazione, con violazione degli artt. 111 Cost e 132, co. 2, n. 4, cod. proc. civ.
Si afferma che la sentenza era corredata da una motivazione solo apparente, contenente affermazioni tra loro inconciliabili: la sentenza sosteneva che occorreva rifarsi alle mappe catastali, mancando riferimenti certi in loco, stante che <>. Affermata la sussistenza di una recinzione non era logicamente compatibile sostenere che non vi fossero elementi utili ai sensi dell’art. 950 cod. civ.
Di poi, l’argomento del Giudice diveniva ulteriormente contraddittorio ove si affermava che le dichiarazioni testimoniali, in assenza di delimitazione fissa, non permettevano di confermare le delimitazioni indicate dagli appellati.
Soggiungono ancora i ricorrenti che l’apparenza motivazionale sarebbe derivata dalla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., essendo stato omesso ogni vaglio probatorio; non era stata neppure citata la documentazione prodotta. Apodittico, infine, l’asserto che svalorizzava i segni in calce bianca.
12.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo vanno richiamate la massima e le sentenze riprese al § 10.1.
Deve, inoltre soggiungersi che la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il
ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145, ex multis; ma già S.U. n. 22232/2016);
a tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto;
siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Nel caso in esame non è ipotizzabile, ovviamente sulla base del costrutto argomentativo sposato dal Giudice del merito, la irriducibile inconciliabilità delle affermazioni di cui in sentenza. La svalorizzazione dei segni in calce bianca risponde a un ragionamento, condivisibile o meno, logicamente incensurabile; del pari la circostanza della coltivazione ad agrumeto sulla particella 21 e sulla carenza di colture sulla particella 56; il vaglio probatorio risulta incensurabile per le ragioni che già sopra si sono esposte; la riconosciuta sussistenza di una recinzione fra le particelle 373 e 392 viene giudicata non significativa, in quanto oggetto di contestazione fra le parti e, pertanto, apprezzata nel merito.
Va, per completezza, infine soggiunto che la denuncia di violazione di norme costituzionali è inammissibile, stante che la violazione di tali norme non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017; conf. n. 3709/2014).
13. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 950 cod. civ., derivata dalla <>, specificando che con la sentenza n. 23682/2015 questa Corte aveva affermato che il giudice ha ampio potere di scelta e valutazione dei mezzi di prova, restando sussidiario il ricorso alle mappe catastali.
13.1. Anche l’ultimo motivo non supera la scrutinio d’ammissibilità.
Stabilisce l’ultimo comma dell’art. 950 cod. civ.: <> . All’evidenza, la valutazione della sufficienza e idoneità degli elementi probatori è di esclusiva competenza del giudice del merito. Non costituendo il giudizio di legittimità un terzo grado di merito la valutazione di cui detto non è in questa sede censurabile.
Per completezza è utile richiamare il principio enunciato da questa Corte, secondo il quale in tema di regolamento di confini, il ricorso al sistema di accertamento sussidiario costituito dalle mappe catastali è consentito al giudice non soltanto in caso di mancanza assoluta ed obiettiva di altri elementi, ma anche nell’ipotesi in cui questi (per la loro consistenza, o per ragioni attinenti alla loro attendibilità) risultino, secondo l’incensurabile apprezzamento svolto in sede di merito, comunque inidonei alla determinazione certa del confine (Sez. 2, n. 14020, 06/06/2017, Rv. 644478).
Piuttosto palesemente, la critica, nella sostanza, risulta inammissibilmente diretta al controllo motivazionale, in spregio al contenuto del vigente n. 5 dell’art. 360, cod. proc. civ., in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
In definitiva il ricorso deve essere nel suo complesso rigettato.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ‘ratione temporis’ (essendo stati entrambi i ricorsi proposti successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per entrambi i ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
riunito al processo n. 29145/2019 il processo n. 30259/2021, dichiara improcedibile il ricorso di cui al n. 30259/2021 di R.G. e rigetta il ricorso di cui al n. 29145/2019 di R.G.; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per entrambi i ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 13