Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5160 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5160 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 36506-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO , nello studio dell’ AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE SAN NOME DI LECCE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 1150/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 17/10/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 9.9.2009 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME, il Comune di San Cesario, Foggetti Cesario, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, questi ultimi quali eredi di COGNOME NOME, innanzi il Tribunale di Lecce, invocando l’accertamento del confine della sua proprietà, dell’illegittima occupazione, da parte del COGNOME, di parte della stradina laterale posta a confine tra la sua proprietà e quella del NOME, con ordine al medesimo di rilasciare la porzione occupata senza titolo previa la demolizione di quanto edificato sulla stessa, dell’inesistenza del diritto degli altri convenuti Foggetti, COGNOME e COGNOME di passare sulla predetta stradina, nonché del diritto di essa attrice di edificare un muro a confine della sua proprietà.
Si costituiva il COGNOME, resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, l’usucapione in suo favore della porzione eventualmente occupata, ovvero, in subordine, l’accessione invertita ex art. 938 c.c.
Si costituiva NOME, dichiarando di aver ceduto il suo immobile a COGNOME NOME e COGNOME NOME ed eccependo dunque il suo difetto di legittimazione passiva; in subordine, resisteva alla domanda
attrice, chiedendone il rigetto, e in ulteriore subordine invocava la condanna del COGNOME a demolire la parte di edificio realizzata dallo stesso sulla stradina di cui è causa, ripristinandone la larghezza nella misura minima di metri 2,40 e l’accertamento dell’esistenza del suo diritto di servitù di passaggio sulla ridetta stradina, anche per usucapione.
Rimanevano invece contumaci Foggetti Cesario, NOME ed il Comune di San Cesario.
Veniva integrato il contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME, erede di COGNOME NOME, NOME e NOME, nonché di COGNOME NOME e COGNOME NOME. Gli ultimi due chiamati si costituivano a loro volta, resistendo alla domanda attorea ed invocando l’accertamento del loro diritto di transito sulla stradina di cui è causa.
Con sentenza parziale del 7.3.2011 il Tribunale dichiarava la carenza di legittimazione passiva di NOME e cessata la materia del contendere nei confronti di NOME, NOME, NOME e NOME.
Con sentenza non definitiva n. 3981/2015 il Tribunale dichiarava la carenza di legittimazione passiva del Comune di San Cesario, escludendo che la stradina oggetto di causa fosse di proprietà pubblica; accertava l’illecita occupazione di parte del sedime della stradina da parte del COGNOME, ordinandogli di arretrare il suo edificio di 2,30 metri per ripristinare l’originaria larghezza della strada; rigettava la domanda di usucapione e di accessione invertita proposte dal medesimo COGNOME, nonché la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. proposta da NOME e NOME.
Con sentenza definitiva n. 1490/2016 il Tribunale accertava il confine della proprietà COGNOME, in coerenza con quanto risultante dalla figura n. 5 dell’elaborato redatto dal C.T.U.
Con la sentenza impugnata, n. 1150/2019, la Corte di Appello di Lecce accoglieva in parte il gravame principale proposto dal COGNOME avverso la sentenza di prime cure, rigettando invece quello incidentale interposto dal Comune di San Cesario. Rideterminava quindi il confine della proprietà COGNOME limitando la condanna del COGNOME ad arretrare il suo immobile in modo da rispettare la distanza di metri 2.60 dal confine della predetta proprietà COGNOME.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con atto in data 27.11.2023 si è costituito per la parte ricorrente, in unione al precedente difensore AVV_NOTAIO, il nuovo procuratore AVV_NOTAIO.
In prossimità dell’adunanza camerale la parte ricorrente e quella controricorrente hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prima di esaminare i motivi del ricorso va scrutinata, e rigettata, l’eccezione di inammissibilità dello stesso sollevata dalla parte controricorrente (cfr. pag. 12 del controricorso). La procura è a margine del ricorso e conferisce il potere di rappresentanza e difesa della parte nel ‘presente giudizio innanzi alla Corte di Cassazione). Essa è contenuta anche nella copia notificata. Pertanto, per effetto dell’incorporazione al ricorso, in cui è chiaramente menzionata la sentenza da impugnare con tutti gli estremi, non sorge alcun dubbio sul fatto che essa è stata rilasciata prima della notifica del ricorso e dopo la sentenza di appello, nonostante l’assenza della data.
In ogni caso, se anche vi fosse qualche dubbio, esso può, ad avviso del Collegio, agevolmente risolversi in senso favorevole alla validità proprio in base al principio di conservazione e al fatto che esiste, nella giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte, una tendenza interpretativa volta a valutare con sempre maggiore elasticità il requisito di specialità della procura, anche al fine dichiarato di evitare la definizione delle controversie in base a questioni meramente formali e favorire così la possibilità di pervenire alla loro soluzione sotto il profilo sostanziale». (così, in Sez. U n. 36057/2022 e, da ultimo, Sez. U, n. 2077 del 2024). Del resto – come ricordano sempre le sezioni unite con la sentenza n. 27199/2017 – è una regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale. Né deve dimenticarsi, come le Sezioni Unite abbiano già ribadito nella sentenza n. 10878 del 2015, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e RAGIONE_SOCIALE contro Italia).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione di norme sul procedimento, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità del gravame interposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, perché lo stesso non aveva curato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME, disattendendo l’apposito ordine impartitogli dalla Corte di Appello.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha dato atto che l’integrazione del contraddittorio era stata ordinata ai soli fini della litis denuntiatio , poiché sia l’appello principale che quello incidentale non avevano ad oggetto la parte della pronuncia di prime cure incidente sulla posizione soggettiva della COGNOME. Di conseguenza, la Corte distrettuale ha escluso l’applicabilità, nel caso di specie, della sanzione di cui all’art. 331, secondo comma, c.p.c. (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘La notificazione dell’impugnazione a parti diverse da quelle dalle quali o contro le quali è stata proposta ai sensi dell’art. 332 c.p.c. non ha la stessa natura della notificazione prevista dall’art. 331 c.p.c., relativo all’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, in quanto, mentre in tale ultima norma si tratta di una vocatio in jus per integrare il contraddittorio, in ipotesi di cause scindibili, invece, detta notificazione integra soltanto una litis denuntiatio allo scopo di avvertire coloro che hanno partecipato al giudizio della necessità di proporre le impugnazioni, che non siano già precluse o escluse, nel processo instaurato con l’impugnazione principale; in tale ultima ipotesi, ove sia omessa l’indicata notificazione, l’unico effetto è che il processo, per facilitare l’ingresso dell’eventuale interveniente, è da ritenere in situazione di stasi e di quiescenza fino alla decorrenza dei termini stabiliti dagli artt. 325 e 327 c.p.c., onde la sentenza non può essere utilmente emessa. Ne consegue che, in relazione a cause scindibili, qualora non sia stata disposta la notificazione del gravame alle altre parti, la sentenza d’appello è annullabile dalla Corte di cassazione soltanto se, quando essa è chiamata a decidere, non siano decorsi i termini per l’appello, laddove, se questi sono scaduti, l’inosservanza dell’art. 332 c.p.c. non produce alcun effetto’ (Cass.
Sez. 6 -2, Ordinanza n. 7031 del 12/03/2020, Rv. 657280; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3858 del 06/06/1983, Rv. 428782).
Nel caso di specie, inoltre, la Corte di Appello ha dato atto che erano intervenuti in secondo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, aventi causa dagli eredi di COGNOME NOME, nel frattempo deceduta (cfr. pag. 4 della sentenza). Di conseguenza, l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione è stata giustamente disattesa, dovendosi dare continuità al principio per cui ‘… la spontanea costituzione in giudizio della parte, rispetto alla quale l’impugnazione non era stata proposta, dopo la scadenza del termine assegnato dal giudice per l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, purché non successiva all’udienza fissata con l’ordinanza disponente la litis denuntiatio del medesimo soggetto nei cui confronti l’ordine doveva essere eseguito, esclude l’inammissibilità dell’impugnazione’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22638 del 26/10/2007, Rv. 600069).
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello, nel regolare il confine tra le proprietà COGNOME e COGNOME, avrebbe omesso di considerare l’esistenza in loco , da tempo immemore, di alcune piante poste a dimora dalla COGNOME: circostanza, questa, emersa dall’istruttoria orale esperita nel corso del giudizio di prime cure. Inoltre, il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che la COGNOME aveva anche, in subordine, invocato l’usucapione della fascia di terreno contestata, maturatasi prima dell’acquisto del fondo vicino da parte del COGNOME ed alla realizzazione dell’edificio di quest’ultimo: su tale domanda, la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunziarsi.
Con il terzo ed ultimo motivo, la parte ricorrente lamenta infine l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che il C.T.U., invitato a chiarimenti in prime cure, aveva confermato lo sconfinamento del COGNOME nella proprietà COGNOME, quantificandolo in mt. 0,70 dal confine tra i fondi.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte di Appello ha innanzitutto escluso che la stradina in questione avesse natura pubblica, confermando sul punto la statuizione del giudice di primo grado (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Ha poi affermato che il frazionamento del 13.1.1981, allegato in atti di causa, non era stato allegato ad atti privati, ma redatto direttamente dall’amministrazione comunale in occasione dei lavori di prolungamento di INDIRIZZO e di realizzazione dell’incrocio con INDIRIZZO; che detto atto era l’unico in grado di fornire informazioni in merito all’originaria collocazione della stradina; che esso, pur non potendo di per sé dare certezza sulla detta collocazione, era tuttavia attendibile, sia in raffronto con altri frazionamenti, sia in considerazione della sua coerenza con elementi esistenti in loco, quali le piante di fico d’india poste a dimora dalla COGNOME. In relazione alla larghezza della stradina, invece, la Corte di Appello ha preso atto delle statuizioni contenute, sul punto, dalla sentenza del Tribunale di Lecce n. 824/2004, confermata dalla sentenza della Corte di Appello di Lecce n. 238/2007 (cfr. ancora pag. 9 della sentenza). Sulla base di questa articolata motivazione, la Corte di merito ha individuato il confine tra i fondi, ordinando al COGNOME il conseguente arretramento della sua fabbrica, sino ad una distanza idonea ad assicurare la larghezza della stradina, ormai definitamente accertata nella decisione della Corte distrettuale n. 238/2007 da ultimo richiamata.
L’esistenza in loco delle piante di fico d’india menzionate dalla seconda doglianza, dunque, non è stata trascurata ma, al contrario,
esaminata dalla Corte territoriale, onde nessun profilo di omesso esame è configurabile sul punto.
L’ulteriore questione, prospettata sempre nella seconda censura, secondo cui la COGNOME avrebbe proposto una domanda subordinata di usucapione, non esaminata dalla Corte di Appello, non emerge dalla lettura della decisione impugnata, che non dà conto di tale richiesta; né la parte ricorrente si cura di indicare in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, il tema sarebbe stato introdotto, con conseguente carenza di specificità del motivo.
In sostanza, con le due doglianze in esame la parte ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i
rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Infine, nel caso di specie non si pone neppure un profilo di adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata, poiché quella prescelta, in concreto, dal giudice di merito non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal predetto per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, nei confronti della parte controricorrente. Nulla, invece, per le parti rimaste intimate, in difetto di svolgimento, da parte loro, di attività difensiva nel predetto giudizio.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 1.700,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda