Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6973 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 6973  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35512/2019 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente- contro
COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA  della CORTE  D’APPELLO  di CAGLIARI, SEZ.DIST. DI SASSARI, n. 414/2019, depositata il 13/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. NOME NOME COGNOME (cui sono subentrati gli eredi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponendo di essere proprietari di un terreno in Santa Teresa Gallura e che, nell’anno 2005, sulla particella confinante è stata iniziata da parte dei convenuti la costruzione di un fabbricato posto a pochi centimetri dal muro di confine tra le due proprietà, muro che divide i terreni da quasi cinquant’anni. Gli attori hanno quindi chiesto al Tribunale di Tempio Pausania di accertare il mancato rispetto da parte dei convenuti delle distanze legali previste dagli strumenti urbanistici del comune e di condannare i convenuti alla riduzione in pristino dell’area, nonché al risarcimento dei danni subiti.
I  convenuti  hanno  contestato  la  domanda  osservando  che  il confine  tra  i  fondi  non  era  quello  indicato  dagli  attori  ma  quello risultante dalle planimetrie catastali, con la conseguenza che il loro fabbricato  risultava  costruito  a  distanza  di  5,00  mt.  dal  confine catastalmente individuato.
Con la sentenza n. 188/2016, il Tribunale di Tempio Pausania ha accolto  la  domanda  degli  attori  e  ha  accertato  la  violazione  della distanza  legale  e  ha  così  condannato  i  convenuti  ad  arretrare  il proprio  fabbricato,  ‘nel  rispetto  della  distanza  di  mt.  cinque  dal confine, costituito dal muro  a  secco’;  ha,  inoltre, accolto la domanda di risarcimento dei danni e ha condannato i convenuti al pagamento di euro 5.000.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME in proprio e in qualità  di  erede  universale  di  NOME.  La  Corte  d’appello  di Cagliari, con la sentenza n. 414/2019, ha rigettato il gravame.
Per giungere a tale soluzione, la Corte sarda, sulla base dei rilievi compiuti dal consulente tecnico di ufficio, ha attribuito prevalenza
ad  un  muretto  a  secco  piuttosto  che  alle  mappe  catastali  ai  fini della individuazione della linea di confine tra i rispettivi immobili.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, anche quale erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, questi ultimi quali eredi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Memoria è stata depositata sia dal ricorrente che dai controricorrenti.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia ‘violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato’:  il  giudice  di  primo  grado  e  quello  di  appello  hanno violato  l’art.  112  c.p.c.  avendo  accolto  la  domanda  degli  attori  di accertamento  della  violazione  delle  distanze  legali,  procedendo preliminarmente a un accertamento dei confini che non era stato richiesto nell’atto introduttivo del giudizio.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità perché omette di riportare il relativo motivo di gravame con cui faceva valere il vizio di ultrapetizione.
In  ogni  caso,  a  fronte  della  contestazione  da  parte  degli  originari convenuti del diritto degli attori sulla parte di terreno in relazione al quale sarebbero state violate le distanze legali dal confine il giudice di  merito  non  poteva  che  occuparsi  della  questione  e,  in  via preliminare, risolvere il problema della discrepanza tra la situazione di  fatto,  invocata  dagli  attori,  e  quella  invocata  dai  convenuti, risultante dalle mappe catastali.
 Il  secondo  motivo  contesta  violazione  e  falsa  applicazione dell’art. 950 c.c.: nel giudizio di regolamento dei confini il giudice ha un ampio potere di scelta e di valutazione dei mezzi probatori, in  ordine  ai  quali  il  ricorso  alle  indicazioni  delle  mappe  catastali
costituisce  un  sistema  di  accertamento  meramente  sussidiario;  il giudice non può prescindere dall’esame dei titoli di proprietà, così che il riferimento contenuto negli atti di acquisto della proprietà del ricorrente  doveva  costituire  il  criterio  probatorio  cardine  al  quale fare riferimento; il giudice di merito, al contrario, non ha esaminato e valutato tali titoli.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha richiamato il principio espresso dall’art. 950 c.c., in base al quale ogni mezzo di prova è ammesso e il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali in mancanza di altri elementi. Il giudice ha poi accertato (v. pagg. 10 e ss.) che, nel caso in esame, vi è un visibile elemento di demarcazione tra le due proprietà, costituito da un muretto a secco di pietre rimasto immutato da più di cinquant’anni, come d’altro canto riconosciuto dai convenuti, e ha concluso che, a fronte di tali segni di demarcazione, non fosse necessario fare ricorso alle indicazioni contenute nelle mappe catastali, che hanno, appunto, carattere residuale, tanto più che l’attendibilità delle medesime era stata messa in discussione dal consulente tecnico d’ufficio. Il giudice d’appello, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, ha considerato il contratto di acquisto del fondo dei convenuti (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata) e ha considerato anche un altro contratto di vendita di una diversa porzione di terreno tra i convenuti e un terzo. Non è pertanto ravvisabile il vizio di violazione e falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 950 c.c.
3. Il terzo motivo censura la sentenza impugnata, ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e per violazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost., vizio di motivazione: la motivazione  adottata  dalla  Corte  d’appello  è  del  tutto  apodittica, laddove  afferma  che  il  confine  tra  i  fondi  di  proprietà  fosse
costituito dal muretto a secco presente sui luoghi da oltre cinquant’anni,  in  quanto  dall’analisi  del  corredo  probatorio  non  si ravvisa alcun elemento a sostegno dell’accoglimento della tesi degli attori.
Il motivo è inammissibile laddove denuncia, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in quanto ai sensi dell’art. 348 -ter c.p.c. non è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. qualora la sentenza di appello confermi la pronuncia di primo grado per quanto concerne le questioni di fatto. Questa Corte ha poi specificato che nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023), indicazione che manca nel motivo fatto valere dal ricorrente.
Nel motivo si prospetta anche il vizio di motivazione e, al riguardo, va  sottolineato  che,  a  seguito  della  riforma  del  n.  5  dell’art.  360 c.p.c.,  un  tale  vizio  non  è  più  censurabile  davanti  alla  Corte  di cassazione ,  se  non  nei  ristretti  limiti  dell’omesso  esame  circa  un fatto decisivo o di motivazione in contrasto col  cd.  minimo costituzionale  (ipotesi  certamente  qui  non  ricorrente:  cfr,  tra  le tante, SSUU n. 8053/2014).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  al  pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art.  13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto  per  il  ricorso  a  norma  del  comma  1bis dello  stesso  art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  adunanza  camerale  della  sezione