Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31188 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31188 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15205/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME del Foro di Patti, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Messina, con procura speciale in calce a controricorso ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale – nonché contro COGNOME E COGNOME;
-intimati-
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 210/2022 depositata il 31 marzo 2022;
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 26 marzo 2024.
Rilevato che:
con atto di citazione notificato il 10 settembre 2004, NOME COGNOME in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE premesso di avere ricevuto incarico per la creazione di un sito web per l’RAGIONE_SOCIALE, in virtù del quale erano stato realizzato con la predisposizione di 209 pagine .html, assemblando 361 immagini, evocava in giudizio l’Azienda medesima innanzi al Tribunale di Patti per chiederne la condanna al pagamento della somma di euro 6.914,87, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, come compenso non corrisposto dell’attività svolta;
instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, che eccepiva l’incompetenza per territorio del giudice adito in favore del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, espletato intervento adesivo dal socio NOME COGNOME e chiamata in causa la RAGIONE_SOCIALE per essere manlevata o comunque tenuta indenne da ogni responsabilità, il giudice adito, con sentenza n. 427 del 2019, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del COGNOME, accoglieva la domanda attorea;
-in virtù di appello interposto dall’RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Messina, nella resistenza delle società (RAGIONE_SOCIALE, rimasto contumace NOME COGNOME e NOME COGNOME, con sentenza n. 210/2022, dichiarava l’incompetenza del Tribunale di Patti in favore del Tribunale di Barcellona P.G., fissando il termine di tre mesi dalla comunicazione della sentenza per la riassunzione del giudizio;
avverso tale decisione, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per cassazione, basato su due motivi, cui
resisteva l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso contenente anche ricorso incidentale affidato ad un univo motivo;
in data 30 ottobre 2023 il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis, comma 1, c.p.c., per palese inammissibilità del ricorso;
in data 1° dicembre 2023 le ricorrenti hanno depositato istanza per la decisione del ricorso accompagnata, munendosi di procura speciale;
-in prossimità dell’adunanza camerale, entrambe le parti depositavano memoria illustrativa.
Considerato che:
1.Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1182, 2697 c.c. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per non aver il giudice adito tenuto conto che il Tribunale di Patti fosse competente.
Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 50, 91, 92 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non aver il giudice adito motivato gli aspetti salienti in fatto e in diritto che avrebbero condotto alla compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio e alla vinificazione dei costi elevati per le procedure mobiliari azionate e i giudizi di opposizione affrontati.
Il ricorso principale è inammissibile, prima che infondato.
Non è in discussione che la sentenza che abbia pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese di lite debba essere impugnata con istanza di regolamento (necessario) di competenza relativamente al primo capo della statuizione, mentre, se la parte intende impugnare il solo capo attinente alle spese, occorre un’impugnazione da proporre nei modi ordinari, e dunque l’appello nell’ipotesi di impugnazione di sentenza di primo grado ed il ricorso per cassazione nell’ipotesi di sentenza di secondo grado (per tutte
si veda Cass., Sez. Un., n. 14205 del 2005). Hanno affermato le sezioni unite che la sentenza dichiarativa di incompetenza può essere impugnata con un mezzo diverso dal regolamento di competenza, e cioè con il mezzo ordinario di impugnazione consentito avverso le sentenze del giudice che si è dichiarato incompetente (appello o ricorso ordinario per Cassazione) in due ipotesi: «la prima ipotesi è quella in cui il soccombente sulla questione di competenza non contesti la dichiarazione di incompetenza, ma si lamenti soltanto della pronunzia sulle spese, a cui pertanto limita le proprie censure (criticandone, per esempio, la liquidazione)»; la seconda ipotesi «è quella in cui la censura contro la pronunzia sulle spese (contenuta nella sentenza dichiarativa di incompetenza) sia proposta dalla parte che ha avuto ragione sulla questione di competenza (la quale, per esempio, si lamenti della loro liquidazione). Anche qui l’impugnante non pone alcuna questione di competenza, onde manca, nell’impugnazione, la funzione del regolamento di competenza».
In questo quadro è stato successivamente affermato che dopo la modifica apportata all’art. 42 c.p.c. dall’art. 45, comma 4 della legge 18 giugno 2009, n. 69, l’ordinanza che ha pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese processuali deve essere impugnata con il mezzo ordinario di impugnazione previsto avverso le sentenze del giudice dichiaratosi incompetente, sia nel caso in cui la parte soccombente sulla questione di competenza intenda censurare esclusivamente il capo concernente le spese processuali, sia nel caso in cui la parte vittoriosa su detta questione lamenti l’erroneità della statuizione sulle spese, trattandosi di provvedimento decisorio di merito in relazione al quale manca un’espressa previsione di non impugnabilità (Cass. n. 28156 del 2013, ove si legge che «l’istante censura il provvedimento, secondo quanto si legge in ricorso, in relazione alla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 38 c.p.c., comma 2, alla conseguente
condanna alle spese, all’entità delle stesse, e non in relazione alla competenza del Tribunale di Siena; quanto a quest’ultima, ribadisce di aver prestato adesione all’eccezione di incompetenza territoriale e di essere d’accordo nell’individuazione del Tribunale di Siena quale foro competente per territorio»).
Per siffatta ragione non si può accedere alla tesi di parte ricorrente che invoca l’applicazione della sentenza di questa Corte n. 13430 del 2020, che attiene a fattispecie diversa, in cui la parte ricorrente aveva impugnato esclusivamente il capo delle spese processuali pronunciata in esito all’accertamento sulla competenza, per quanto appena detto.
Nella specie, censurando -di converso – la ricorrente la statuizione sulla competenza, e dunque quale capo dipendente quello delle spese che verrebbe a cadere per effetto dell’accertamento sul capo da cui dipende (cfr. art. 336, comma 1 c.p.c.), tutto ciò comporta che oggetto di accertamento, idoneo a costituire la cosa giudicata, sia la violazione della disciplina sulla competenza, con la conseguenza che non essendo stato esperito il rimedio del regolamento necessario di competenza, ex art 42 c.p.c., il giudice dell’impugnazione è chiamato a valutare la possibilità di provvedere alla conversione in istanza di regolamento di competenza, purché sussistano i requisiti previsti per legge e qualora lo stesso sia proposto nel termine di trenta giorni decorrenti dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria (Cass. n. 2424 del 2024; Cass. n. 32003 del 2021; Cass. n. 9268 del 2015; Cass. n. 3077 del 2006).
Al riguardo va rilevato che la sentenza impugnata è stata notificata a mezzo PEC in data 20 aprile 2022, per cui il ricorso si palesa tardivo in relazione al termine prescritto dei trenta giorni per il regolamento di competenza, per essere stato notificato solo il 17 giugno 2022.
Il ricorso principale è dunque inammissibile.
2.Dalla inammissibilità del ricorso principale discende l’inefficacia ex art. 334, comma 2, c.p.c. del ricorso incidentale, che con unico motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver il giudice adito errato nel compensare integralmente le spese processuali relative al giudizio davanti al Tribunale di Patti e del secondo grado, senza i presupposti previsti dalle norme evocate.
Il ricorso incidentale è infatti tardivo. Secondo il consolidato principio di diritto di questa Corte «in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale tardivo, proposto oltre i termini di cui agli artt. 325, secondo comma, ovvero 327, primo comma, c.p.c., è inefficace qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che, in senso contrario rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371, secondo comma, c.p.c. (quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale)» (Cass. n. 6077 del 2015).
Tale impugnazione è stata notificata il 27 luglio 2022, quindi ben oltre il termine c.d. breve dei sessanta giorni di cui all’art. 325, comma 2 c.p.c., essendo stata la sentenza impugnata notificata il 20 aprile 2022, in assenza di diverse indicazioni e allegazioni da parte della ricorrente incidentale.
Di qui, appunto, la tardività del ricorso incidentale per gli effetti di cui all’art. 334, comma 2 c.p.c.
Conclusivamente il ricorso principale va dichiarato inammissibile e quello incidentale tardivo inefficace.
In base al principio della soccombenza le ricorrenti principali vanno condannate in solido al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
Essendo state confermate con la presente ordinanza le ragioni poste a sostegno della proposta di definizione anticipata, in base alla previsione dell’art. 380 bis ultimo comma c.p.c., le ricorrenti
vanno, altresì, condannate al risarcimento danni ex art. 96, comma 3° c.p.c. (vedi sulla configurabilità di un abuso del processo valutato sussistente dal legislatore in caso di conformità della decisione alla proposta di definizione anticipata Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023 n. 27195) in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, liquidati in euro 1.500,00, ed al pagamento ex art. 96, 4° comma c.p.c. in favore della cassa delle ammende della somma di euro 600,00.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Diversamente, la controricorrente il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a causa della inammissibilità del ricorso principale non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione (Cass. n. 18348 del 2017; Cass. n. 1343 del 2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso principale, e, per l’effetto, l’inefficacia del ricorso incidentale;
condanna le ricorrenti principali in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.910,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge, nonché al pagamento in favore della stessa controricorrente della somma equitativamente determinata ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c. di euro 1.500,00, oltre al pagamento in favore della cassa
delle ammende ex art. 96, comma 4 c.p.c. della somma di euro 600,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda