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Regolamento condominiale: quando è inopponibile?

Una società, proprietaria di un immobile, ha contestato una clausola del regolamento condominiale che le vietava di tenere aperte le finestre sul cortile. Il Tribunale di Milano ha stabilito che, sebbene la clausola fosse valida in linea di principio, non era opponibile alla società. La motivazione risiede nel fatto che una limitazione così significativa, qualificabile come servitù, per essere efficace nei confronti di un nuovo acquirente deve essere o trascritta nei registri immobiliari o specificamente accettata nell’atto di acquisto. Una generica accettazione del regolamento non è sufficiente. Di conseguenza, il condominio è stato condannato al pagamento delle spese legali.

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Pubblicato il 2 agosto 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Regolamento condominiale e limiti alla proprietà: quando una clausola è inefficace?

Il regolamento condominiale è un documento fondamentale che disciplina la vita all’interno di un edificio, ma fino a che punto può limitare il diritto di proprietà dei singoli condomini? Una recente sentenza del Tribunale di Milano offre un’analisi chiara sulla distinzione cruciale tra la validità di una clausola e la sua opponibilità a un nuovo acquirente. Il caso riguarda un’attività commerciale che si è vista contestare la possibilità di tenere aperte porte e finestre verso il cortile, in base a una norma del regolamento risalente a molti anni prima del suo acquisto.

Il caso: una clausola restrittiva nel regolamento condominiale

Una società, dopo aver acquistato un’unità immobiliare in un condominio, ha impugnato una clausola del regolamento approvato nel 1996. Tale clausola vietava in modo tassativo ai negozianti di tenere aperte porte e finestre verso il cortile, specialmente se l’attività comportava la produzione di odori o vapori (come nel caso di ristoranti, bar o pasticcerie). La società sosteneva la nullità della clausola e, in ogni caso, la sua inefficacia nei propri confronti, chiedendo anche l’annullamento della delibera originale del 1996 e di una successiva delibera del 2023 che la confermava.

Il condominio si è difeso sostenendo la piena validità della clausola, forte della sua natura “contrattuale” (approvata all’unanimità da tutti i condomini originari) e del fatto che la società acquirente, nell’atto di compravendita, aveva genericamente dichiarato di conoscere e accettare il regolamento vigente.

La decisione del Tribunale: la distinzione tra validità e opponibilità del regolamento condominiale

Il Giudice ha rigettato la richiesta di dichiarare nulla la clausola. Le norme di un regolamento condominiale di natura contrattuale possono legittimamente imporre limiti ai diritti dei singoli proprietari, anche consistenti, configurandosi come “servitù reciproche”.

Tuttavia, il punto centrale della decisione è un altro: il Tribunale ha dichiarato quella specifica clausola inopponibile alla società attrice. Questo significa che, pur essendo la norma valida in astratto, essa non poteva essere fatta valere nei confronti del nuovo proprietario. La decisione ha portato alla condanna del condominio al pagamento delle spese legali.

Le motivazioni della sentenza: il ruolo della trascrizione

La motivazione della sentenza si fonda su un principio consolidato in giurisprudenza. Le restrizioni alle facoltà di godimento della proprietà privata, per essere opponibili ai terzi acquirenti, devono seguire un percorso preciso. Non basta che siano contenute in un regolamento approvato all’unanimità. È necessario che il nuovo acquirente ne sia venuto a conoscenza in modo inequivocabile. Questo può avvenire in due modi:

1. Trascrizione del regolamento: La clausola limitativa deve essere trascritta nei registri immobiliari. Questo atto le conferisce pubblicità legale, rendendola conoscibile e vincolante per chiunque acquisti un’unità nell’edificio.
2. Accettazione specifica nell’atto di acquisto: In assenza di trascrizione, la clausola deve essere specificamente richiamata e approvata dall’acquirente nel rogito notarile. Una menzione generica o una dichiarazione di stile di “conoscere e accettare il regolamento” non è considerata sufficiente per vincolare l’acquirente a servitù così gravose.

Nel caso specifico, il condominio non è riuscito a dimostrare né la trascrizione della clausola né un’accettazione specifica e consapevole da parte della società acquirente. Pertanto, la clausola non poteva produrre effetti nei suoi confronti.

Conclusioni: cosa insegna questa sentenza sul regolamento condominiale

Questa sentenza ribadisce un concetto fondamentale per chi acquista un immobile in condominio: l’importanza di un’analisi attenta non solo dell’atto di acquisto, ma anche del regolamento e della sua storia. Per i condomini, invece, emerge la necessità di assicurare la corretta pubblicità delle clausole limitative (tramite trascrizione) per garantirne l’efficacia nel tempo verso tutti i futuri proprietari. Una clausola, anche se approvata all’unanimità, rischia di rimanere lettera morta se non vengono rispettati i requisiti formali per la sua opponibilità ai terzi.

Una clausola di un regolamento condominiale può vietare a un’attività commerciale di tenere aperte le finestre?
Sì, un regolamento condominiale di natura contrattuale (cioè approvato all’unanimità) può legittimamente contenere clausole che limitano l’uso della proprietà privata, come il divieto di tenere aperte porte e finestre, in quanto queste norme costituiscono servitù reciproche tra le varie unità immobiliari.Perché la clausola, pur essendo valida, non è stata applicata al nuovo proprietario?
La clausola non è stata applicata perché è stata ritenuta ‘inopponibile’. Per essere vincolante per un nuovo acquirente, una clausola così restrittiva deve essere o trascritta nei registri immobiliari oppure specificamente richiamata e approvata nell’atto di acquisto. Nel caso di specie, mancavano entrambe queste condizioni e la generica accettazione del regolamento non è stata considerata sufficiente.

Chi paga le spese legali se una clausola del regolamento condominiale viene dichiarata non opponibile?
Secondo il principio della soccombenza, la parte che perde la causa è tenuta a pagare le spese legali. In questo caso, il Tribunale ha condannato il condominio a rimborsare le spese legali alla società, poiché, pur essendo stata respinta la domanda di nullità della clausola, è stata accolta quella, centrale, sulla sua inopponibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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